di Linda Santilli
Come nell’avvio di ogni processo creativo, come nel mettere al mondo, con la stessa spericolatezza ed eccesso di volontarismo e in un groviglio inimmaginabile di limiti e impossibilità, abbiamo costruito il primo pezzo dell’archivio del partito, quello iconografico e multimediale, che oggi qui a Napoli, apre i suoi cassetti per la prima volta.
E’ l’approdo di un lavoro di mani laborioso, e di cuore, durato due anni, a scartare pacchi di carte polverose, sfogliare fotografie e manifesti, maneggiare ricordi, i nostri, nello sforzo di ricongiungerli con il presente. Collegare i documenti tra loro. E’ il nesso tra le carte che fa l’archivio, non altro. Ci vuole scrupolo, e noi nel nostro piccolo ne abbiamo impiegato tanto.
Nel metodo e negli strumenti di archiviazione utilizzati siamo stati rigorosi, sapendo bene quanto rischioso sia essere “archivisti di se stessi” perché forte diventa la tentazione che sistemando le carte, riguardando al passato, rivedendosi in quel passato, si voglia dare un senso alle cose fatte, si voglia reinterpretarle alla luce del presente spostando e accorpando i materiali diversamente da come si presentavano all’origine. Nel nostro caso abbiamo utilizzato come paradigma privilegiato di conservazione il legame del documento o del corpo dei documenti con il soggetto che li ha versati, rispettando il più possibile l’ordine in cui le carte si presentavano all’origine davanti ai nostro occhi. Ebbene, questa bussola metodologica ci consente di vedere con straordinaria evidenza, attraverso l’inventario di prossima pubblicazione e il nome delle singole unità archivistiche oltre che dei fondi, quanto il patrimonio documentario di rifondazione, seppur recuperato al momento solo in minima parte, sia più che il frutto di una consapevole e metodica conservazione a livello centrale di quanto si andava producendo, frutto della cura di tanti singoli compagni e compagne che non lo hanno disperso. Da qui siamo partiti nella sfida di ricostruire il puzzle di una vicenda collettiva ampia e corposa perché non andasse dispersa. Da pezzetti di storie, frammenti, granelli, a volte solo una fotografia, oppure un gadget, un appunto, piccole parzialità donate con grande generosità, e con la resistenza commovente di chi fatica a distaccarsi da qualche cosa che ha conservato tanto a lungo.
Li abbiamo rassicurati questi compagni, spiegando che tutti i materiali sono vincolati dallo Stato e che l’archivio non potrà mai più essere smembrato né disperso, neanche l’ultimo foglietto in esso conservato. Che è collegato agli archivi del 900 italiano, istituti storici e fondazioni nazionali. Ma la motivazione di fondo che ha convinto tutti coloro che hanno donato i propri ricordi a distaccarsene fisicamente è stata l’idea di partecipare ad una piccola grande impresa: mettere a disposizione un patrimonio di lotte per renderlo bene collettivo a cui poter attingere tutti e tutte, iscritti e non, di oggi e di domani, per ricostruire la storia contro la smemoratezza imposta dal questa contemporaneità slabrata, per orientarci meglio nel futuro, per parlare del presente angusto in cui ci dibattiamo. Perché, come affermava Gramsci “Scrivere la storia di un partito significa scrivere la storia generale di un paese da un punto di vista monografico.”
Questa premessa vuole essere in primo luogo un ringraziamento ai nostri militanti, senza cui nulla del poco che siamo riusciti a costruire sarebbe stato possibile.
E a chi del gruppo dirigente ha sostenuto e favorito questo progetto dandoci fiducia senza riserve.
Sui binari delle parole di Gramsci abbiamo dunque proceduto, trovandovi una motivazione in più di appiglio nel presente ma anche nel futuro: l’ancoraggio dentro una visione storica senza la quale non si può osare nulla di grande.
Ma Gramsci ci è venuto in soccorso una seconda volta: “Il compito del rivoluzionario è provare e riprovare”. Lo sappiamo che sono parole pesanti come macigni, ma noi ce ne siamo appropriati, un po’ indebitamente ma con umile modestia e senza ardire, per calarle in una iniziativa come questa.
Proverò a spiegarne il senso, procedendo a zig zag, seguendo lo stesso itinerario circolare e discontinuo dei frammenti sparsi da cui nasce l’archivio, e di questa istallazione singolare a cui abbiamo dato il nome, appunto, Provare e riprovare.
Se per rivoluzione non intendiamo l’assalto al Palazzo d’Inverno, ma il gesto ostinato individuale e collettivo di costruire il cambiamento dell’esistente anche quando risulta essere una impresa che ha dell’impossibile perché il corso degli eventi prende una piega opposta, non possiamo negare che anche la vicenda che le immagini qui provano a narrare ne sono una rappresentazione viva. Prende corpo, benché sotto un profilo appena abbozzato, una storia ostinata di resistenza, fatta di radicalità e di realismo, di gesti di rivolta e di riflessione, una storia che va oltre i gruppi dirigenti, oltre gli stessi militanti del partito, e che è storia di resistenza di un popolo che mai ha cessato in questo paese di opporsi alle leggi del capitalismo, alle guerre, alle molteplici forme di sfruttamento, neanche quando è giunto il monito della fine della storia e del pensiero unico vincente.
Aprendo i cassetti di casa nostra scopriamo quanta ricchezza è stata prodotta negli anni gelidi e bui del “post” che ancora non trovano fine, ed il coraggio ostinato di chi decisamente ha saputo dire secchi no camminando e camminando. Provando e riprovando, dove il procedere è segnato da difformità, mescolamenti. E’ circolare, come le immagini del nostro archivio ci pare mettano in evidenza.
Come gruppo di lavoro, che nasce all’interno del Dipartimento Organizzazione, abbiamo concordato che bisognava trovare una modalità che non cadesse nell’autocelebrazione, né che trasmettesse un intento didascalico, di ricostruzione cronologica, tematica, degli eventi storici, dell’evoluzione del Prc, fare cioè la mostra sui 20 anni del partito. Noi possiamo solo presentare immagini, frammenti, appunto, ciò di cui disponiamo, ci siamo detti. Organizzare una istallazione assai parziale. E ci siamo arenati.
L’apporto di Roberto Gramiccia, intellettuale comunista, militante e critico d’arte, ha rappresentato la risorsa decisiva per uscire dall’impasse. Roberto, con la passione per le sfide e quel po’ di incoscienza che lo contraddistingue, ci ha traghettato nel mondo dell’arte, da cui abbiamo attinto a piene mani spunti ed idee, e soprattutto la possibilità di costruire la nostra presentazione esattamente come volevamo: non seguendo un itinerario che alludesse alla linearità ma alla circolarità, come il provare e riprovare suggerisce e richiede. La felice combinazione tra arte e politica è stata infine la nostra strada.
Un ringraziamento assai sincero va alle artiste e agli artisti che hanno messo a nostra disposizione il loro talento unicamente per passione e generosità.
Cristian Coniglio è l’architetto che ha curato l’allestimento con cura e pazienza, dando forma a ciò che noi volevamo rappresentare. Anche lui, per passione.
L’agorà è il luogo simbolico della politica come confronto tra differenze, come presa di parola pubblica, come visibilità dei soggetti del conflitto in lotta. La piazza è lo spazio in sui si colloca la nostra vicenda.
L’istallazione dunque riproduce alcune piazze in cui i materiali che abbiamo selezionato, quasi interamente riprodotti su digitale, scorrono sui monitor.
Sono centinaia di manifesti, fotografie e filmati che ci restituiscono alcuni flash del nostro protagonismo, attraverso le immagini e le parole di tanti compagni e compagne che lanciarono l’impresa del Movimento per la Rifondazione Comunista e che costituirono pochi mesi dopo il Partito. Alcuni di loro purtroppo non ci sono più e vogliamo ricordarli anche in questa maniera.
Dunque il Brancaccio e il Palaeur, Il Congresso fondativo, passando per i primi appuntamenti di piazza, le prime iniziative nei circoli. In questo spazio è allestita una teca che contiene alcuni documenti significativi di quei giorni.
Ci sono poi le immagini delle manifestazioni che hanno segnato questi anni, dalla prima grandissima del 29 giugno del 1991 a Milano a quella del 12 ottobre a Roma “L’opposizione torna in piazza”, alle manifestazioni immense degli anni successivi, contro la guerra, per la difesa del lavoro, per i diritti, fino agli anni più recenti.
Uno spazio abbiamo voluto dedicarlo ai giorni di Genova 2001: uno spartiacque, un punto di non ritorno, una ferita aperta, un patrimonio di idee per il futuro.
C’è, sempre presente a testimoniare un pensiero critico sugli accadimenti, il nostro quotidiano Liberazione.
Non spettava a noi che curiamo l’archivio, ed oggi la mostra, raccontare la storia del Prc. Questo compito ambizioso e difficile spetta a chi si occupa di ricerca storica.
La speranza però è di riuscire a proseguire il lavoro per poter mettere a disposizione di chi vorrà approfondire, l’intero nostro patrimonio documentario.
Sarà questo l’impegno per il futuro.