Costruire l’opposizione di classe
La crisi economica ha suscitato in tutto il mondo, dagli Stati Uniti a Israele, dalla Gran Bretagna al movimento degli indignati in Spagna, una straordinaria opposizione sociale, che, seppur in prevalenza priva di rappresentanza politica, è lontana dal dissiparsi.
Il rischi di crollo dell’euro e la crisi dei debiti sovrani impone al capitale la difesa di un “interesse generale” che non ammette articolazione e opposizioni al suo interno. Negli ultimi vent’anni le tre forze principali europee: popolari, liberaldemocratici e partito socialista europeo sono state protagoniste della costruzione dell’Europa delle banche, da Maastricht al Trattato di Lisbona. Oggi questo fronte vede un ulteriore sviluppo nella gestione comune e autoritaria dei piani di austerità con una forte spinta a governi di unità nazionale (Grecia, Italia) e in ogni caso a una gestione indistinguibile fra governi di destra e di centro sinistra. A tale spinta la socialdemocrazia europea si è completamente piegata.
Il vasto movimento di scioperi generali in Grecia ha trovato del tutto impermeabile la socialdemocrazia al governo. E dopo il divieto imposto all’ex presidente Papandreu da Francia e Germania di sottoporre a referendum popolare la decisione di ulteriori tagli alla spesa pubblica, la socialdemocrazia persevera con la sua politica liberista sostenendo il governo di unità nazionale insieme a Nuova democrazia e persino all’estrema destra del Laos.
Anche in Spagna la conclusione della passata legislatura ha visto la convergenza fra Pp e Psoe nell’inserire nella Costituzione l’obbligo della parità di bilancio. Di questa politica ha fatto le spese il Psoe, forza di governo uscente, la cui crisi ha consentito un significativo rilancio della sinistra sul piano elettorale.
Allo stesso modo in Italia il Partito democratico unisce il suo sostegno a quello del PdL e del Terzo Polo al governo Monti il cui programma è dettato dalla Bce e dal Fmi: vendita di patrimonio pubblico, privatizzazione delle società e dei servizi pubblici, innalzamento dell’età pensionabile e destrutturazione dei diritti del lavoro, a partire dall’abolizione del contratto nazionale.
La soddisfazione per la caduta di Berlusconi e l’allineamento di tutte le forze politiche parlamentari, con l’eccezione strumentale della Lega a sostegno del governo Monti consente a quest’ultimo di godere di un certo consenso nei sondaggi. Anche la Cgil ha rimodulato la propria iniziativa trasformando la manifestazione del 3 dicembre in un’assemblea nazionale.
Le misure in fase di discussione ed approvazione spazzano ogni possibile illusione sulla sbandierata “equità” del nuovo governo. Attacco alle pensioni di anzianità, passaggio per tutti al contributivo, blocco dell’indicizzazione, attacco al pubblico impiego, privatizzazioni e liberalizzazioni forzate, aumento dell’Iva, attacco allo Statuto dei lavoratori, reintroduzione dell’Ici: il governo Monti prosegue e approfondisce i tratti più antisociali della politica di Berlusconi.
Il Partito della Rifondazione Comunista è quindi chiamato ad organizzare la più ampia opposizione sociale e politica al governo Monti e ad affermare con nettezza la propria totale alternatività strategica al presente quadro delle forze rappresentate in Parlamento.
Il Partito della Rifondazione Comunista si impegna a promuovere una battaglia con tutte le forze sociali e politiche, a partire dai movimenti e dalle vertenze in atto e si propone punto di riferimento.
All’inesistenza dell’opposizione politica si contrappone infatti un vasto fronte sociale e di movimento che non può accodarsi alla fanfara dell’unità nazionale. Il movimento operaio, dopo due anni di resistenza al modello Marchionne, deve oggi rispondere a una ulteriore demolizione di diritti e condizioni. Continuano le rivolte per la difesa del lavoro e del patrimonio industriale; larghi settori di manodopera immigrata sfidano con sempre maggior determinazione la condizione di doppio sfruttamento e privazione dei diritti di cittadinanza. Prosegue una modifica strutturale delle condizioni di lavoro nel pubblico impiego, in tutte le sue articolazioni. Abbiamo lottato contro l’innalzamento dell’età pensionabile alle donne del pubblico impiego, abbiamo denunciato lo svilimento delle donne e del loro lavoro da parte del governo Berlusconi. La riduzione salariale, la minaccia di mobilità del lavoro (mobilità e perdita del lavoro), la precarietà dilagante nel pubblico impiego fanno della condizione lavorativa femminile lo strumento principe con il quale l’ideologia patriarcale costringe le donne a una vita umiliante e subalterna, corpi che non devono vivere autonomamente.
Nel movimento che si è espresso il 15 ottobre scorso ci confrontiamo anche con una generazione di giovani e giovanissimi che sta formando la propria visione del mondo in netto antagonismo ad un sistema del quale conoscono innanzitutto la crisi senza precedenti. Una generazione che a differenze della precedente, cresciuta nel clima ideologico del “crollo del comunismo” e della “fine della storia”, vede svilupparsi sotto i propri occhi la crisi mondiale del sistema capitalista.
Il movimento a tutela dell’ambiente, del territorio, dei beni comuni, a partire dal movimento No Tav fino a quello a difesa dell’acqua pubblica, indicano una crisi di consenso senza precedenti alle politiche liberiste.
Il Partito della Rifondazione Comunista si impegna a sostenere il conflitto sociale, a partire da questi settori di movimento, per far vivere un’ampia opposizione di massa al governo Monti.
Punti dirimenti per la costruzione dell’opposizione sono: a partire dalla rivendicazione noi il debito non lo paghiamo, no alle privatizzazioni e ai tagli alla scuola pubblica e allo stato sociale, no alla vendita del patrimonio pubblico, no all’inserimento del vincolo del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, no alla precarietà e allo smantellamento dei diritti del lavoro, del contratto nazionale a partire dal rifiuto dell’accordo fra le parti sociali del 28 giugno scorso, contro le mafie e il malaffare del bipolarismo, coinvolto negli scandali e negli interessi economici.
In tutta Europa il sostegno bipartisan ai piani di austerità ha suscitato forti mobilitazioni dei lavoratori costringendo le organizzazioni sindacali a convocare ripetuti scioperi anche generali. Significativamente sia in Grecia che in Gran Bretagna essi non hanno ricevuto il sostegno delle socialdemocrazie. Questo scenario investirà anche il movimento sindacale in Italia: il gruppo dirigente della Cgil che aveva puntato le sue carte sull’alternanza di governo si trova privo di una strategia nel bel mezzo della peggiore offensiva antioperaia da decenni. È decisivo investire tutte le nostre forze affinché dai luoghi di lavoro sorga un forte movimento di lotta che rompa gli indugi esiziali delle burocrazie sindacali che subordinano l’urgenza di una forte mobilitazione alle contorsioni del quadro politico.
La perfetta identità di vedute e azione tra il governo, Confindustria e la Fiat di Marchionne impone al movimento operaio la costruzione di una strategia complessiva: non esistono piani separati tra il contrasto alle politiche di austerità, la difesa dell’occupazione e delle aziende minacciate di smantellamento, la riconquista dei contratti nazionali di categoria e della democrazia nei luoghi di lavoro e la lotta contro provvedimenti quali l’articolo 8, la cui logica è completamente fatta propria dal presente governo.
Dobbiamo pertanto impegnarci nel promuovere e sostenere tutte le iniziative di autorganizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori volte a mettere in campo quelle forme di lotta radicali rese indispensabili dalla durezza dell’attacco. Sono questi gli strumenti attraverso i quali il movimento può mettere in crisi logiche burocratiche e compatibiliste e costruire il terreno più avanzato di unità nella lotta fra tutti i settori del sindacalismo di classe nel nostro paese.
Sempre a tal fine il Partito della Rifondazione Comunista si impegna ad uniformare a questa battaglia a sostegno dei movimenti di lotte le scelte dei nostri rappresentanti istituzionali, i quali sono tenuti ad esprimere coerentemente con il voto la non accettazione dei vincoli del patto di stabilità nelle sue ricadute sui diversi livelli istituzionali e amministrativi.
La costruzione dell’opposizione non può essere considerata una passaggio imposto dalle contingenti vicende parlamentari. La caduta del governo Berlusconi non è un fulmine a ciel sereno, ma il compimento di un processo di logoramento già emerso con piena evidenza nella giornata del 14 dicembre 2010. Le basi di consenso della maggioranza sono state erose da due anni di mobilitazioni sociali, dalle lotte per il lavoro, ai referendum, fino allo scorso 15 ottobre. È stato un anno segnato anche dalle sconfitte nelle elezioni amministrative, che hanno evidenziato la crisi di consenso del premier e della sua coalizione, compresa la Lega nord.
Solo la inettitudine e la pusillanimità delle opposizioni parlamentari ha permesso che il governo trascinasse la sua agonia per quasi un altro anno, aprendo così uno spazio di manovra nel quale si sono inserite le pressioni del grande capitale, nazionale ed internazionale, che ha potuto così preparare la svolta. Ancora una volta quindi i frutti di una mobilitazione di massa vengono raccolti da chi, socialmente e politicamente, rappresenta l’esatto opposto delle istanze che hanno animato due anni e più di lotte contro questo governo.
La crisi della destra è profonda, la frattura fra Lega e Pdl non sarà facile da ricomporre; nello stesso Pdl si allargheranno le contraddizioni. Il Pd verrà profondamente logorato dal sostegno al governo, mentre il Terzo Polo si propone di guadagnare a spese di entrambi gli schieramenti. Il bipolarismo viene pertanto messo come minimo in discussione. Più che mai in questo quadro la nostra strategia deve proporsi di rendere evidente l’esistenza di una sinistra fuori e contro il quadro politico dato al di là delle forme che potranno assumere gli schieramenti politici. Il problema non è la tattica elettorale, bensì quello di dare forma e sostanza alla rappresentanza politica di classe. Questo è il terreno che Sel rifiuta, in quanto concepisce la fase attuale come una sgradevole parentesi da superarsi al più presto nella ricostituzione di quel centro sinistra che ambiva ad egemonizzare.
L’opposizione sociale deve trovare una chiara espressione politica. Non ci sarà futuro per chi tenti di stare un giorno nelle piazze e il giorno successivo ai tavoli delle alleanze elettorali. Il Prc si propone di costituire, fuori e contro gli schieramenti che sostengono il governo di unità nazionale, un polo della sinistra di classe che sia riferimento per l’opposizione sociale al governo Monti e che fin da subito lavori anche sul piano elettorale alla costruzione di uno schieramento alternativo. Deve emergere con chiarezza l’esistenza di una netta alternativa a sinistra, per l’oggi e per il domani. Tale necessità non può essere subordinata a considerazioni tattiche legate al possibile cambiamento della legge elettorale o alle scadenze delle elezioni stesse, peraltro terreni sui quali oggi non abbiamo alcuna possibilità di influire.
La richiesta di elezioni anticipate si lega quindi non solo a una generale rivendicazione democratica, ma deve essere legata a una prospettiva concreta: rivendichiamo elezioni perché oggi nel parlamento, al di là delle divisioni di schieramento, esiste di fatto una voce sola: quella delle banche, quella del capitale; rivendichiamo elezioni affinché anche col voto si possa esprimere ciò che si è espresso nelle piazze di questi anni. Questo è possibile solo se la sinistra, a partire dal nostro partito, rompe ogni ambiguità rispetto al Pd e al centrosinistra, oggi elemento portante dell’operazione Monti-Napolitano. Non si tratta quindi di una tattica destinata a mutare una volta che cambi il quadro politico e si ritorni a una “normale” dialettica fra centrodestra e centrosinistra; si tratta invece di una impostazione che assumiamo come strategica.
Il voto con il quale il Pd ha permesso senza colpo ferire l’introduzione nella Costituzione dell’obbligo di pareggio di bilancio segna in maniera inequivocabile come il suo sostegno al governo Monti non sia contingente ma si fondi su una completa assunzione delle compatibilità dettate dalla crisi. Ogni ipotesi di fronte democratico col centrosinistra viene sepolta dai fatti, per l’oggi e per il domani.
La nostra proposta deve quindi muovere dal ruolo che intendiamo svolgere nei confronti dei lavoratori e dei nostri referenti sociali.
Nella Federazione della sinistra la caduta di Berlusconi ha fatto emergere una crescente spinta centrifuga, lacerando il velo di una fittizia unità politica costruita sulla base dei minimi comuni denominatori fra linee politiche in realtà divergenti. Nessuna ambiguità può essere tollerata non solo riguardo al governo Monti, ma anche e soprattutto rispetto agli sbocchi che intendiamo perseguire con la nostra opposizione a tale governo. L’ambizione unitaria non può essere sacrificata alle equivoche diplomazie che hanno retto il percorso della Fds fin dal suo esordio. Oggi la Fds è un impedimento alla costruzione di quel polo di classe indispensabile all’opposizione sociale e alla sua necessaria espressione politica.
Il Partito della Rifondazione Comunista alla prova del suo VIII congresso conferma di essere la principale aggregazione nel campo della militanza della sinistra. Praticare la costruzione del partito di classe e del movimento, in un contesto tanto conflittuale, sottopone i gruppi dirigenti e la militanza alla necessità di una rottura con il modello di partito prevalentemente fin qui praticato. Abbiamo visto la lenta consunzione del partito elettoralista, che raccoglie un’adesione spesso passiva, incapace di reggere la propria struttura sul sostegno militante; può vivere viceversa un partito motore del conflitto, capace di intervenire nei più diversi ambiti, grazie alla forza che trae dalla sua prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società.
Franco Bavila
Donatella Bilardi
Sonia Previato
Jacopo Renda
Dario Salvetti
Roberto Sarti
Marco Veruggio
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