Tribuna XII congresso PRC - SE

Roberto Musacchio

Per un rilancio serve un bilancio

L’errore più grande che potremmo fare è ridurre questo congresso ad una specie di referendum sul rapporto col Pd. Sarebbe il segno di una doppia subalternità, quella per cui la propria identità si definisce in rapporto negativo con un'altra. E quella per cui è centrale il momento elettorale come se fosse quello a definire strutturalmente la natura di un soggetto. Una involuzione della problematica del rapporto col governo che tanto ha segnato la nostra vita.

E da cui per altro in questa fase siamo esclusi più che per scelta per inessenzialità della nostra dimensione politica. Si insiste molto sul fatto che sia stato il rapporto col governo a creare le tante divisioni della nostra Storia. Ma in realtà diverse sono avvenute, soprattutto con le frazioni politiche dotate di piccola dimensione culturale propria, per temi di cultura politica, indotte anche dal venir meno di quella dimensione quantitativa e qualitativa che rese attraente Rifondazione. E molti abbandoni individuali probabilmente derivano anche dalla perdita sempre più marcata di efficacia politica e di complessità culturale. Rendere la discussione monotematica su come si va alle elezioni è per me del tutto subalterno ad una logica elettoralistica che surroga identità e pratica politica.

Una forma per altro di riduzionismo del pensiero che ci omologa ai tanti altri riduzionismi di questa fase che però sono agiti da poteri forti e non da una forza ormai molto piccola. Rifondazione ha avuto un importante peso elettorale con quasi tre milioni e mezzo di voti raggiunti e molti milioni che l’hanno votata almeno una volta. Quasi 150 mila iscritte/i almeno per un periodo. Avendo partecipato alla sua nascita mi sono sempre interrogato sulla sua natura. Io venivo da un percorso che avendo superato la logica presente nella sinistra cosiddetta rivoluzionaria di mai nel PCI (il mai col PCI era stato violato da Lotta Continua che scelse in un caso il voto a quel partito per fare esplodere le contraddizioni) entrò nel PCI del dopo compromesso storico.

A mio avviso tardi perché Berlinguer era morto. Ma in tempo per fare la lotta contro lo scioglimento (personalmente anche quella contro il nucleare) e poi fondare il Prc. Che fece da calamita e nacque con una dimensione che mai nessun gruppo alternativo aveva avuto. Dicevo del mio interrogarmi sulla natura di Rifondazione. Un interrogarsi in corso d'opera perché gli eventi erano stringenti. Una forza intermedia, di resistenza e prospettiva, di confluenza di culture e generazioni, alle prese con durissime fasi di cambiamento strutturale del contesto storico.

Una forza che aveva bisogno di complessità e di un prevalente forte che puntasse a crescere. Libertini diceva almeno il 10% se no non sei un partito. Si è provato ad essere all'altezza cercando soluzioni che coniugassero unità e radicalità, movimento e politica, identità e innovazione, strategia e tattica, anche spregiudicata. Provenendo non da un grande fatto storico come la Rivoluzione d’Ottobre (ma non tutti i fatti storici producono soggetti storici, neanche il '68 lo fece) ma da un mix di difesa e ripartenza e da assemblaggio tra militanti già PCI, con pochi dirigenti, e altre formazioni come DP la capacità di darsi una dimensione storica non era facile. Per un buon periodo siamo stati un esempio per l’Europa, fondatori del Partito della Sinistra europea, ma contemporaneamente non sono mancate separazioni per me tutte impoverenti, da Magri a Cossutta.

Lo dico non da fuori ma avendo contribuito e portandone pena. La pena più grande la sento, come ho più volte detto, per la separazione di Chianciano, cui ho partecipato. Credo di essermi assunto l'onere del ripensamento. Ma resto però convinto che non riuscimmo a discutere di ciò che era accaduto e che semplificammo in modi non positivi. A 15 anni di distanza lo dico non certo per rivendicare ma per responsabilità sull’oggi. Io sono tornato a scegliere Rifondazione per quel nesso tra unità e radicalità e quella capacità di impresa politica che ho ritrovato con l'altra Europa con Tsipras, progetto a cui ho dato vita sin dalla sua invenzione.

Oggi ne apprezzo la capacità di essere la forza politica tra tutte quelle della Sinistra europea ad essere lucida ed attiva contro la guerra, erede del grande movimento pacifista da Comiso all’Irak, capace di una lettura non meramente geopolitica ma di pace come alternativa di società. Una cosa grande e preziosa rispetto allo sbandamento impressionante delle sinistre europee. Una cosa che doveva stare in Parlamento europeo perché serviva dannatamente.

Perché se hai al centro della tua ragione politica la sua necessità e la sua efficacia devi dedicare il prevalente del tempo alla azione politica e considerare importante riuscire ad agirla anche dentro le istituzioni. La politica non è una fotografia dello status quo, né tantomeno un selfie per fb. La politica è dura, e intelligente, lotta per il cambiamento che riguarda milioni di persone. Per questa ricerca di un bilancio, da fare con spirito unitario tra compagne e compagni, per un rilancio ho sottoscritto il documento del segretario Acerbo.

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