Tribuna XII congresso PRC - SE

Cesare Martina

Un partito finalmente adulto

Sono passati 16 anni dal 2008. Anni intensi, pieni di appuntamenti elettorali, politici, riunioni, scioperi, lotte, impegno. Non siamo stati a guardare.
Un’analisi matura e non consolatoria ci restituisce un partito indebolito. Calano gli iscritti, la presenza territoriale e quella nelle istituzioni. I partiti della nostra area, nessuno escluso, sono piccole sacche di resistenza, verso un mesto declino, che prelude ad una sostanziale ininfluenza. Non guardare la realtà, illudendosi che negandosela possa cambiare, non ci è utile. Bisogna essere adulti, prenderne atto, non abbattersi e lavorare per invertire la tendenza. Partendo da cosa non ha funzionato. Non per dividerci le colpe. Ma per fare meglio (o finalmente) quello che ci serve. Partiamo da tre temi (non esaustivi ma importanti):

  1. Unità a sinistra: difficile negare che 16 anni di tentativi unitari hanno prodotto il massimo di divisione. Ci abbiamo provato dall’alto, dal basso, ecc…. Non ha funzionato. Nella foga di “unirci” sembriamo aver smarrito il ruolo tattico dall’unità (ci uniamo per fare qualcosa…). L’unità ha assunto un ruolo strategico, identitario, ci “uniamo per essere qualcosa”. Sembriamo passati da una unità con un fine ad una unità come fine. Gli elettori sembrano tiepidi sulla prima e disinteressati alla seconda. Ed abbiamo sbiadito la nostra di identità. Noi abbiamo costruito la gabbia. Noi dobbiamo trovare le chiavi per uscirne. Ripartire dall’unità, quando possibile, come mezzo per ottenere obiettivi chiari, espliciti e comprensibili agli elettori, aiuterebbe a farci percepire come meno politicisti e più interessanti.
  2. Le lotte ed i movimenti: uno sguardo non partigiano al contesto italiano ci restituisce un quadro non facile. Poche lotte, disperse, fragili e spesso preda, per disperazione, di manovre elettorali. Grandi mobilitazioni concentrate su temi divisivi solo nella narrazione mainstream. Viversi sempre alla vigilia di moti rivoluzionari o scommettere sul peggio, sperando di risalire la china, si è dimostrato poco produttivo. Meglio provare a svolgere un ruolo più ordinato, metodico e di lunga lena per costruire consapevolezza nella classe. Ad esempio, con un lavoro organico e strutturato nel sindacato. Il nostro rapporto con i movimenti è spesso caratterizzato da una subordinazione alle loro parole d’ordine. E’ un errore. Un partito si rapporta alle altre realtà pretendendo pari dignità. Farsi rispettare, senza diventare prepotenti, ci restituisce fiducia ed autorevolezza. Ed aiuta gli altri ad avere una visione meno autoreferenziale e più collaborativa delle battaglie che combattiamo insieme.
  3. Gli appuntamenti elettorali: dovremmo accettare la realtà. Gli elettori sembrano poco interessati ai nostri affanni nella costruzione del polo dell’alternativa. C’è insoddisfazione per l’offerta politica (l’astensione è un sintomo). Ma questa insoddisfazione non si traduce in voti. Le spiegazioni del nostro insuccesso si dividono invariabilmente intorno alla tattica elettorale e, più di recente, in una dicotomia mortifera ed accusatoria tra chi ci vede subalterni al PD e chi a Pap. Tanto da aver trasformato le elezioni in un nodo strategico del nostro agire. Incomprensibile e pericoloso per un partito comunista. Meritiamo di meglio che dividerci tra due opposte interpretazioni, che sono in realtà due facce della stessa, subalterna, medaglia. Gli elettori meritano una proposta politica dignitosa, magari parziale, ma che sia riconoscibilmente nostra. E su questa non dobbiamo aver paura di cercare convergenze con tutte le forze antifasciste. In alcuni casi ci saranno le condizioni per alleanze ampie. In altre no. Ma la scelta sarà nostra. Non subordinata alle richieste, legittime, di altri. Mai dovremmo accettare di coalizzarci per forza. Mai di non farlo per non sporcare una presunta purezza che agli elettori pare non interessare. Recuperare una nostra identità ed autonomia sembra urgente.

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