EMERGENZA ECONOMICA
CAMPAGNA SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA

Tribuna XII congresso PRC - SE

Rino Malinconico

A proposito del Contesto Storico e dei Paesi BRICS

La cosa che più mi ha positivamente colpito nel documento proposta dalla maggioranza del CPN è il tratteggio dell’attuale contesto storico. Ma proprio in relazione al contesto storico, ritengo che forse dovremmo prestare maggiore attenzione al lessico che usiamo. Noi diciamo spesso, ad esempio, che viviamo in una fase di tendenziale guerra imperialista. E però occorrerebbe subito precisare che per “guerra imperialista” intendiamo “guerra inter-imperialistica”. L’imperialismo, infatti, può essere richiamato anche da chi, assolvendo il proprio Paese e lo schieramento in cui si posiziona, dice che le “nazioni imperialiste” sono quelle degli altri. Esclusivamente quelle degli altri. Lo faceva, come si ricorderà, Mussolini, parlando delle “potenze plutocratiche” dell'Occidente e indicando nella Gran Bretagna, la “perfida Albione”, il soggetto che più metteva in crisi la pace mondiale. La metteva in crisi perché ostacolava, nella logica dei fascisti, le “giuste aspirazioni” di altre potenze (Italia e Germania, più tardi il Giappone) al loro “spazio vitale”. Insomma, io userei sempre, oggi come oggi, l'espressione "guerra inter-imperialistica".

Aggiungo, a tal proposito, che mi lascia molto perplesso l'idea, contenuta nel secondo documento, che il PRC dovrebbe dire all'Europa di “entrare nei Brics”. L’obiettivo - a scala europea, o anche a scala semplicemente italiana - di “entrare” nel club dei Brics faccio davvero fatica a leggerlo in sintonia con l'aspirazione solidaristica e pacifista che caratterizza la visione comunista dei rapporti tra i popoli e le nazioni..
Immagino che una tal proposta presupponga - e però si tratterebbe di un presupposto del tutto immotivato - l'esistenza, in quel club, di condizioni di coesistenza immuni dalle normali pulsioni della sopraffazione capitalistica e imperialistica. Ma basterebbe semplicemente elencarli i 9 attuali Paesi Brics - Russia, Cina, India, Brasile, Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopa e Iran - per capire, a colpo d’occhio, che non stiamo parlando, per la gran parte di essi, di Stati vocati al pacifismo: i primi tre sono potenze nucleari, con visibili interessi strategici ad ampio raggio; e almeno altri tre di questi Stati (Emirati, Etiopia e Iran) sono tuttora impegnati, a vario titolo, in bracci di ferro, anche militari, coi loro vicini.

Intendiamoci: è ben certo che possano esserci concretissimi e legittimi interessi, da parte di uno Stato qualsiasi, a collegarsi con il club dei Brics. È una cosa più che normale nelle relazioni politiche, economiche e di possibili cooperazione militare tra Stati. Normale, cioè, nell'ambito dei rapporti politico-diplomatici tra assetti statali e nell’ambito delle sostanziali ragioni capitalistiche di cooperazione e di scambio. Non a caso, diversi altri Paesi hanno esplicitato attenzione in tal senso, anche Paesi di un certo peso geopolitico come l'Indonesia o la Nigeria. E stanno opportunamente valutando la cosa anche Paesi come Venezuela e Cuba, che subiscono da decenni la durissima pressione economica e politica, condita da provocazioni di ogni tipo, degli Stati Uniti. Ma anch'essi la stanno valutando, come è ovvio, in una logica di relazione tra Stati sovrani.
E dico di più.

Non si può neppure escludere che l'Italia, o persino l'Europa nella sua interezza - ammesso che le cose restino ferme al quadro di oggi -, possano un domani trovare effettiva convenienza se non a una collocazione diretta, almeno a una intesa cordiale coi Brics. Del resto, i Brics sono già ora, sul piano economico, una realtà estremamente significativa. E se riuscissero a trovare una convergenza monetaria lo diverrebbero ancora di più.
Ma detto questo, che senso può mai avere, per un Partito comunista europeo, lanciare oggi la parola d'ordine: "entriamo nei Brics"? Forse che così si rafforzerebbe la pace e si contrasterebbero meglio la tendenza alla guerra e la corsa agli armamenti? O che magari in quell’ambito avanzerebbero più facilmente i diritti di cittadinanza, le libertà democratiche e la prospettiva della giustizia sociale?

È noto, peraltro, come gli stessi Brics non siano affatto esenti da contraddizioni. Tra India e Cina esistono contenziosi spinosi e solo accantonati, mentre l'Egitto e l'Iran camminano molto raramente nella stessa direzione. Così, quando noi diciamo che c'è oggi un mondo multipolare registriamo un dato reale, e cioè che per ora c'è davvero un modo multipolare. Non c’è, o perlomeno non c’è ancora, un mondo bipolare. E questo dato, per chi si propone di andare oltre le forme capitalistiche dell'economia e le forme borghesi della politica, è senz'altro un bene.

Lo dico in maniera ancora più chiara. Allorché, nel giugno del 2009, Cina Russia Brasile e India decisero di dar vita a un loro specifico collegamento intergovernativo (estesosi nel 2011 al Sudafrica e nel 2024 agli altri quattro Paesi), si determinò un indubbio spartiacque storico. Veniva sancito anche formalmente quanto già avvenuto nei fatti: e cioè l’archiviazione del mondo unipolare affermatosi alla fine della guerra fredda, incentrato sugli Stati Uniti, sul combinato disposto di G7 e NATO e sui processi di globalizzazione delle produzioni e dei mercati. E la cesura formale con quel gigantesco mondo unipolare rimane sicuramente un merito dei Brics.

E però, se possono senza difficoltà apprezzare la pars destruens dell'azione Brics, i comunisti dovrebbero guardare con intelligente diffidenza alla pars construens. Nell'orizzonte dei Brics, e in particolare nell'orizzonte dei due Paesi che attualmente guidano questa organizzazione intergovernativa, cioè Cina e Russia, non c'è l’ideale di un mondo multipolare bensì quello, molto più angusto, di un mondo bipolare. Ma mentre un mondo multipolare è senz'altro un bene nella prospettiva dell’anticapitalismo e dei valori di uguaglianza e libertà che ci caratterizzano, non lo è affatto un nuovo mondo bipolare. In sostanza, è solo in un mondo multipolare che possono trovare effettivo spazio le nostre proposte di superamento della forma-stato e la concreta costruzione di molteplici confederalità democratiche, connesse in rete a vari livelli in una logica di solidarietà e cooperazione egalitaria.

Io, dunque, non sono contrario ad avere, come comunisti, una chiara proposta di fase sull’ordine mondiale. E se fosse necessario dare anche una indicazione immediata di "politica estera", suggerirei di partire linearmente dalle nostre tradizionali (e giuste) parole d'ordine sullo scioglimento della NATO, sulla denuclearizzazione del Mediterraneo e sul rinnovamento democratico dell'ONU, col superamento dei membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza. Inoltre, per quanto riguarda l'Europa e l'Italia, spingerei programmaticamente, come appunto fa il documento di maggioranza, affinché mantengano relazioni aperte in tutte le direzioni e su un piano di effettiva parità e cooperazione, che depotenzi, e progressivamente superi, le chiusure identitarie, le logiche militari e le pratiche perverse di suprematismo politico ed economico a danno dei Paesi poveri. In altre parole, un mondo senza blocchi e che abbia nell’ONU il suo riferimento principale (un ONU, ovviamente, con funzionamento democratico ben più effettivo di quanto non lo sia adesso): questa è la prospettiva per cui dovremmo agire.

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