EMERGENZA ECONOMICA
CAMPAGNA SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA
Tribuna XII congresso PRC - SE
Dino Greco
Nel contributo di Paolo Ferrero al dibattito congressuale convivono più registri discorsivi, talvolta contraddittori, tali cioè da accontentare, secondo necessità, opposte esigenze, tutte presenti all’interno del partito della cui linea politica egli si erige a strenuo difensore, di fronte ai “barbari” che ne vorrebbero demolire le fondamenta. Da questo essenziale assunto, deriva tutto il resto.
Il pericolo di capitolazione politica – dice Ferrero - è massimo e lo schieramento di cui egli è il fondamentale ispiratore è il solo che può guidare il partito fuori dalle secche in cui l’attuale gruppo dirigente, ed in primis il suo attuale segretario, l’ha portato.
Dopo il colpo al cerchio, ecco, a bilanciarlo, quello alla botte: con autorevole piglio rassicurante Ferrero promette che, ove il secondo documento dovesse risultare, lui si impegnerà “a restare nel partito e a non fomentare scissioni”. E – aggiungo io - a rimettere il nostro dissestato convoglio sui binari da cui è deragliato.
L’uso sistematico del falso
La tesi, del tutto falsa, ma spacciata reiteratamente per vera, è che la differenza fra i due documenti è, in definitiva, che mentre il secondo documento è contro il Pd, sempre e comunque, quanti sostengono il primo vogliono invece rilanciare l’alleanza con il centrosinistra, persino nelle forme più gregarie.
Si tratta di una manovra insidiosa costruita su un semplice sillogismo, falsificato nel suo termine mediano: “il Pd fa schifo ogni giorno di più, quelli del primo documento vogliono ricondurre il partito da quelle parti, dunque la loro linea porta ad una nuova subalternità del Prc al centrosinistra e all’annientamento del partito.
Ciò che il primo documento realmente dice a proposito del Pd è totalmente ignorato, rimosso, sostituito da un “tagliaincolla” di singole frasi decontestualizzate.
Il tema politico di come, in determinate situazioni e a determinate condizioni, salvaguardando la nostra autonomia, sia possibile (e doveroso) realizzare accordi elettorali tattici che possano consentire di fare muovere le cose in una direzione utile agli strati popolari che vogliamo rappresentare, non ha cittadinanza nel bagaglio politico del secondo documento, sempre più legato ad una idea di politica dove il raggiungimento di un risultato, anche parziale, deve cedere il passo alla “testimonianza”, alla “propaganda”, fine a se stessa.
Prima di tutto la pace, contro la guerra
Che la costruzione di un vasto e plurale movimento per la pace e contro la guerra rappresenti il principale obiettivo per il quale spendere ogni nostra energia è cosa certa. Non a caso, con il segretario del partito abbiamo lanciato, da subito, la parola d’ordine di una “coalizione popolare” contro la guerra.
Il rischio di un conflitto totale si fa sempre più vicino, ma se vi è una certezza, di fronte al delirio guerrafondaio dell’Unione europea, del mondo occidentale e dei governanti corrivi del nostro Paese, è che o si riesce a mettere in campo e fare agire con continuità un grande movimento di massa, oppure la deriva verso un esito catastrofico non sarà arrestata. Questo è stato l’obiettivo tentato, con tutti i limiti che l’hanno caratterizzato, anche con la lista PTD, profondamente osteggiata da chi avrebbe voluto continuare nella solipsistica presentazione di Unione popolare. Il fuoco di sbarramento opposto da Pap sin dalle prime battute, in perfetta sintonia con una parte del gruppo dirigente del partito, ha impedito che si pervenisse ad una diversa e più adeguata definizione programmatica della lista e della gestione della campagna elettorale. Resta il fatto che la costruzione di un fronte ampio contro la guerra, paragonabile, per dimensione e qualità a quello che si realizzò in Italia, nel 1949, con i “Partigiani della pace” e, ancora nel ’62 e nell’83, con la richiesta, davvero di massa, del disarmo nucleare, rimane la bussola che deve guidare la nostra azione. L’esatto opposto degli steccati sistematicamente elevati da Pap, persino nei confronti della Cgil e dell’Anpi e mai contrastati da quella parte del gruppo dirigente di Rifondazione che ritiene strategica e condizionante sopra ogni altra cosa la costruzione di Unione popolare.
Amnesie
E qui arriviamo ad un altro punto chiave, quello delle alleanze strategiche (non degli accordi tattici), che Ferrero richiama in quanto decisivo: ovvero, con chi andare e per fare cosa. Solo che una volta enunciato l’argomento, e una volta dichiarata l’avversione al Pd, senza se e senza ma, Ferrero si blocca, come preso da un’amnesia. Eppure è proprio su questo che da un anno a questa parte si è consumata fra noi una rottura molto seria, precisamente da quando la cosiddetta “costituente” di Up giunse di fronte al nodo “cruciale” di come e cosa si decide in quella sede. L’ipotesi sul tavolo fu molto chiara e Ferrero, che personalmente vi contribuì come membro della commissione incaricata di formulare un’ipotesi di statuto, la fece sua senza riserve, almeno sul punto di gran lunga decisivo, là dove si stabiliva che ogni decisione, anche sui temi politici di maggiore rilevanza, sarebbe stata presa, in ultima istanza, a maggioranza semplice. La direzione del partito si riunì il 22 novembre dello scorso anno e Ferrero pretese che fosse messo ai voti e approvato, a maggioranza, un documento che aderiva a questa soluzione e impegnava il partito a proseguire. Fu inutile fare presente che perseguire questa strada equivaleva ad una vera e propria cessione di sovranità del Prc ad un organismo terzo, ad essa sovraordinato, di nome Unione popolare, in definitiva ad un altro partito. Come fu inutile, in quella sede, protestare contro una scelta che equivaleva ad espropriare Rifondazione della propria autonomia, facendone una sorta di “bad company” e abbandonandola su di un binario morto per confluire nella società parallela in formazione.
Se la Commissione nazionale di garanzia non avesse dichiarato impraticabile questa strada e se il successivo Cpn non l’avesse definitivamente respinta, quale congresso staremmo celebrando oggi? Quello per un rilancio di Rifondazione comunista, oppure quello con a tema esplicito il suo scioglimento?
Al dunque, ecco il punto: Rifondazione deve sciogliersi per fondersi con Pap, malgrado a questo o poco altro si sia ormai ridotta Unione popolare? La nostra prospettiva politica deve essere affidata ad una “ridotta” che fa della predicazione estremistica, dell’autoisolamento, dell’idea che si cresce in solitudine, per “partenogenesi”, contemplando la propria immagine riflessa dallo specchio, oppure, come ci hanno insegnato i nostri maestri e tutta la storia migliore della tradizione comunista, muovendosi con duttilità nei processi politici, sapendo cogliere e sfruttare le contraddizioni che si aprono nel campo avverso?
E’ dunque vero quello che scrive Ferrero a conclusione del suo intervento: siamo oggi davvero chiamati a scegliere tra due proposte politiche radicalmente diverse.
Il correntismo, malattia terminale del Prc
Il modello di partito che ci viene proposto è quello che abbiamo visto materializzarsi in questi anni nella guerra senza quartiere scatenata contro il segretario del partito: un mosaico di correnti e sottocorrenti, di capi e sottocapi, dove le sedi decisionali non sono luoghi dove si discute e si elabora, ma solo dove ci si conta. A pensare e ad ordinare le truppe bastano pochi, tendenzialmente uno solo. E’ mia profonda convinzione che o questa situazione viene superata, ma al momento non ne vedo gli indizi, oppure non c’è futuro.
Concludendo, da dove ho iniziato
Ferrero ha voluto fare capire che, ove il secondo documento prevalesse, il governo del partito sarebbe totalmente appannaggio di chi vince; a chi perde andrebbero gli organi di garanzia, La presidenza della Cng e quella del Cpn. Sono parole chiare, che vanno prese molto sul serio. E’ la piena parlamentarizzazione del partito, dove tutti gli strumenti di gestione sono ricondotti ad una mano sola, quella vincente, e dove l’unica dialettica possibile è quella fra governo e opposizione. Perché se le linee politiche che si confrontano sono alternative e non componibili lungo una linea di compromesso, allora la sintesi diventa impossibile, essendo troppo grande la faglia che le divide.
Certo tutto ciò pare in evidente contrasto con l’affermazione di Ferrero che dice di volere “un partito di tutti e di tutte”, ma si sa, nelle lotte di potere le parole pesano come l’aria che si respira.