EMERGENZA ECONOMICA
CAMPAGNA SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA

Tribuna XII congresso PRC - SE

Giovanna Capelli

Sovranità del Partito e autonomia dei territori

Rifondazione Comunista nella sua fase costituente ha prodotto una innovazione concreta della struttura del Partito del 900’, cercando di eliminare la contraddizione base/ vertice con un approfondimento della democrazia interna. Il corpo del nostro Partito si radica nei circoli territoriali, intreccia pensieri, sentimenti, aspettative, azioni dei singoli e delle singole dentro una comunità politica.

Il nostro Partito non è un’idea astratta, ma è questo processo materiale complesso per cui la base discute, costruisce la linea generale, sceglie le opzioni strategiche e poi le realizza con una motivazione forte. La linea del Congresso infatti si decide nei Circoli e gli organismi eletti a tutti i livelli la devono inverare perseguendo gli obiettivi che il Congresso si è dato. Non c’è una linea imposta dall’alto ma un processo, attraverso cui la base afferma la propria sovranità e incarna nei territori quello che ha deciso secondo le regole della democrazia interna.

La prima grave ferita alla sovranità del Partito si è data quando non si è attuata e poi si è abbandonata la linea decisa dal XI Congresso quella di lavorare per la costruzione del terzo polo Un gruppo dirigente serio, se pensa che sia necessario cambiare la strategia sulla quale è stato eletto, dovrebbe porre il problema nella sua chiarezza. Così non è stato: per due anni si è accusato di frazionismo chi denunciava il cambiamento di linea e intanto si sono distrutte le relazioni politiche e sociali con chi convergeva con noi nella collocazione fuori dallo schema bipolare.Ma ora si compie un ulteriore grave scardinamento della sovranità del Partito, perché i compagni e le compagne non sono chiamati a scegliere fra opzioni chiare e nette, condizione necessaria per l’esercizio della libera scelta.

Infatti, mentre il documento due dice inequivocabilmente che vuole costruire il terzo polo, il documento uno manifesta una palese contraddizione tra gli argomenti che vengono usati e le aspettative che si sollevano. Da un lato si magnificano gli effetti positivi del possibile accordo con il centro sinistra (nostra presenza nelle istituzioni a tutti i livelli, la sconfitta delle destre, una alleanza qualificata da elementi programmatici etc) e dall’altra si nega a parole la volontà di accordo con il PD.

Il documento uno accompagna con reticenza il partito verso una svolta, che non viene esplicitata nella sua organicità e nel suo spessore: la rinuncia ad agire come comunisti e comuniste in Europa nella fase della guerra, contro il partito trasversale della guerra che sostiene la Nato, la continuazione del conflitto, la economia di guerra e un sistema politico sociale bipolare funzionale al neoliberismo. L’unica certezza per il documento uno è l’addio irreversibile al terzo polo.

Prende molto spazio nelle argomentazioni dei presentatori del documento la denuncia di una rigidità centralistica e settaria che ci ostacolerebbe nel fare politica e che dovrebbe essere rimossa in quanto avrebbe pregiudicato “le possibilità di azione del Partito rendendo sempre più difficile un reinsediamento sociale sui territori”. Si narrano le inesistenti chances elettorali perdute a causa della imposizione di una linea rigida sulle elezioni locali che ci avrebbe impedito di partecipare a molte coalizioni di centro sinistra ,senza ricordare che il problema dei nostri circoli e anche della Federazioni è per il 90 % la difficoltà a presentarsi alle elezioni, a comporre una lista senza andare a coinvolgere compagni/e dei territori vicini, a raccogliere le firme, cioè la debolezza del radicamento, delle relazioni politiche, dell’azione nel territorio, la fatica nel dare continuità a una presenza politica e sociale del PRC fra una elezione e l’altra.

Si arriva così alla richiesta di riformulazione dell’articolo 12 dello Statuto, che attualmente dice che c’è una linea nazionale da seguire anche dal punto di vista della collocazione elettorale :Se c’è la linea generale ( quella decisa dal Congresso ), si possono discutere le eccezioni, i casi particolari (un comune dove siamo particolarmente forti da poter sfidare nell’alleanza il centro sinistra, un lavoro sociale costruito nel tempo che ci rende distinguibili, utili e determinanti, una comunità che si ricostruisce in una lotta comune. etc ) Ma la linea generale nazionale nel documento uno non c’è, deliberatamente.

Si cavalca in modo plebiscitario la libertà dei territori di scegliere le alleanze elettorali e si trasforma il congresso in una delega al gruppo dirigente a fare quel che meglio crede dopo aver privato il partito di una linea politica chiara e alternativa Non ci si impegna con un mandato preciso neppure per le prossime elezioni nazionali, con la scusa che i mutamenti di in questa fase sono imprevedibili e repentini.

Se non è il cuore di una coalizione popolare contro la guerra, il fascismo, la distruzione ambientale e il neoliberismo il PRC diventa uno dei tanti partitini a sinistra del centro sinistra, a trazione PD. Un partito certamente più sicuro della propria sopravvivenza economica, tutto impegnato nella tattica elettorale, senza visione strategica. e profilo alternativo operante. Si torna nel bipolarismo, nella logica dell’alternanza fra centro destra e centro sinistra., non si contempla neppure la possibilità e la necessità della rottura e dell’uscita da questa gabbia. Una scelta disperata, senza alcuno sbocco politico, di rassegnazione e paura Non solo è la dissoluzione del carattere decisionale di questo congresso, della sovranità della base, ma della idea di comunismo che abbiamo cercato di far vivere con Rifondazione Comunista.

chiudi - stampa