EMERGENZA ECONOMICA
CAMPAGNA SOTTOSCRIZIONE STRAORDINARIA

Tribuna XII congresso PRC - SE

Stefano Amann

Quando “Alternativa”, tattica politica e realismo erano il pane quotidiano del partito.

C’era un tempo non lontano in cui l’intelligenza collettiva del Partito conduceva analisi ed elaborava proposte politiche che oggi - per alcuni – sono un tabù. Si parla molto del congresso di Chianciano del 2008, ma qui concentro l’attenzione su un altro momento: il congresso del 2011. Leggendo la tesi largamente maggioritaria (80%) – prima firma Paolo Ferrero – emergono cose interessanti.
Il 2011: Berlusconi alle corde, piegato dalla crisi del debito e condannato dalla BCE. Il Partito, già da anni fuori dal Parlamento, al congresso di Napoli licenzia un documento profondo nella valutazione delle condizioni reali della politica e della società italiana nonché dei vincoli europei che all’epoca sovradeterminavano l’azione dei governi esautorando la sovranità popolare. Mutatis mutandis, esattamente come oggi. (Ri) leggiamo assieme cosa scrivevamo nel 2011.

Si poneva “come asse strategico della nostra linea politica l’uscita a sinistra dalla crisi nella costruzione di un’alternativa di società”
Nessuno sconto al PD , già largamente compromesso sulla guerra (vedi Libia): “schierato con la NATO, a favore di tutte le guerre fatte dall’Italia negli ultimi decenni. Convinto sostenitore dell’Unione Europea liberista e portatore di una idea di etica pubblica di tipo europeo. […]. In sintesi, il baricentro politico e culturale del gruppo dirigente del centrosinistra non tende alla costruzione dell’alternativa”
Caustico il giudizio dei governi col centrosinistra che “ha fallito in Italia, sia nella prima che nella seconda esperienza di governo. Nelle elezioni che si sono succedute dopo quelle esperienze, la vittoria delle destre è stata schiacciante. Il contrario di quanto aveva ipotizzato – sbagliando - Rifondazione Comunista prima del secondo governo Prodi”.

Pur tuttavia il partito individuava le contraddizioni nel centro sinistra, e tra questo e il blocco sociale di riferimento: “il PD promotore delle riforme istituzionali ma anche attento alle regole e alla difesa della Costituzione. Interlocutore di Confindustria […] ma anche attento alle istanze della Cgil e dei lavoratori. Bipolare ma diviso tra chi punta al bipartitismo e chi ad una maggiore articolazione democratica. Questa contraddittorietà alberga nello stesso rapporto tra i gruppi dirigenti e il “popolo” del centro sinistra. […]. Esiste un popolo di sinistra […] a cui occorre avanzare una proposta politica coerente con le sue aspirazioni e con la necessità di uscire da sinistra dalla crisi”.

La tesi fissava 2 pilastri strategici in nessun caso considerati antitetici o contraddittori, tutt’altro. Da un lato la costruzione dell’alternativa che “non consiste nella denuncia dei cedimenti altrui ma nella concreta capacità di definire percorsi praticabili di accumulo di forze e di trasformazione. Per questo – nel permanere e per certi versi nell’approfondirsi delle differenze tra le due sinistre - proponiamo la costruzione di una opposizione unitaria, la rottura del bipolarismo e la costruzione di un polo della sinistra di alternativa. Il nostro progetto di fondo, la nostra ragion d’essere, è l’alternativa di società. Siamo uomini e donne che si battono per la fuoriuscita dal capitalismo e dal patriarcato in direzione di una società comunista”. Dall’altro lato il partito coniugava quella progettazione della sinistra di massa con la necessità di mettere “a rendita politica” tale progetto, conferendone una solidità atta a rendere praticabile sotto il profilo dell’efficacia l’ipotesi dell’alternativa come progetto, attrattivo per la classe: “E’ necessario innanzitutto costruire l’opposizione sociale, culturale e politica contro le destre e le politiche di gestione capitalistica della crisi, a partire dall’aggressione alla democrazia e al lavoro”.

Si enucleava l’obiettivo strategico nel rafforzamento del partito nella costruzione di una vera sinistra diversa e distante dal PD, di cui si denunciavano tutte le ambiguità e contraddizioni; contemporaneamente si collocava il partito in sintonia col sentimento e l’ aspettativa popolare di cacciata delle destre, allora ritenute – a ragione - eversive (chissà cosa avremmo detto se allora ci fosse stato un governo Meloni-Salvini-LaRussa e il DL 1660….). Una postura politica (“spregiudicata”?) con l’obiettivo di neutralizzare la destra: “Rifondazione Comunista si pone quindi l’obiettivo di far cadere da sinistra il governo Berlusconi […] rappresenta una priorità assoluta, sul piano sociale come su quello democratico e dell’etica pubblica”.

La tattica elettorale (da nessuno considerata “politicismo” come invece oggi dicono i compagni della mozione 2) era consapevole della gabbia del bipolarismo; apriva la strada ad accordi utili a: (1) praticare l’obiettivo di fase (liberarci dalla destra al governo) e (2) l’obiettivo strategico (costruire la sinistra di alternativa), assumendo che i 2 dovessero coesistere: “Nel quadro dell’attuale legge elettorale maggioritaria proponiamo di dar vita ad un Fronte democratico tra le forze di sinistra e di centro sinistra per sconfiggere le destre e porre condizioni migliori per difendere e rilanciare la democrazia e la Costituzione, contrastare gli effetti sociali negativi della crisi e superare il bipolarismo. Il contrasto radicale alle destre è costitutivo del profilo politico e culturale di Rifondazione. La nostra valutazione di fase sull’impraticabilità di un accordo di governo non rende al tempo stesso meno necessaria la battaglia per la qualificazione programmatica dell’alleanza contro le destre [….] ponendo al centro la questione dei programmi. Avanziamo questa proposta sapendo che la sconfitta di Berlusconi non coincide con la costruzione dell’alternativa”.

Le analogie tra il 2024 e il 2011 sbalordiscono. Ancor più sorprendente è come una parte del gruppo dirigente del partito oggi non sappia, o non voglia, uscire dal manicheismo che appiattisce l’orizzonte della politica ad un mero esercizio ideologico: “sei con me o contro di me”, che rifiuta ogni sfumatura o approccio dialettico. Atteggiamento che non appartiene alla tradizione dei partiti comunisti in generale: basti guardare alle esperienze di governo in Spagna del PCE coi socialisti che han prodotto l’aumento del salario minimo da 750 a 1150 euro (senza raccogliere firme, ça va sans dire).

Oggi Ferrero (colui che firmò la linea del 2011) propone di abbandonare tutta la nostra preziosa capacità di immaginarci motore di un progetto di alternativa che tenga anche conto delle condizioni reali. Soprattutto per questo motivo è necessario votare la mozione 1: il panorama politico è più complesso dello slogan\anatema “mai col PD\vuoi andare col PD”. Servono strumenti politici idonei ad intercettare le possibilità che la politica - fluida per sua natura - offre ai\alle comunisti\e per tornare ad incidere nella vita reale della classe si pretende di rappresentare; pare banale, ma rassicuro tutti\e che al mondo non esiste solo il PD. La mozione 2, al contrario ci impone di stare alla finestra in attesa di cogliere i frutti della (prossima) radicalizzazione delle masse: cioè lo stesso errore del 2008, quando la crisi globale ci illuse che in Italia avremmo assistito ai medesimi fenomeni di radicalizzazione visti in Spagna, Francia o Grecia. Sbagliammo allora, sbaglieremmo oggi.

Sostengo questa posizione sapendo che può essere strumentalizzata da chi appiattisce il confronto congressuale all’anatema “vuoi andare col PD”, che poi è il mantra, stucchevole e privo di fondamenti, che i sostenitori della mozione 2 utilizzano nelle discussioni. Spero si legga il contributo per ciò che è: ricordarci che il partito ha capacità analitiche per formulare una proposta politica degna della enorme complessità del momento (guerra mondiale, crisi della rappresentanza, povertà, etc..) come fu nel 2011, senza scadere nel narcisismo tipico delle posizioni autoreferenziali, e rivoluzionarie a chiacchiere. Qualcuno dirà che dopo il 2011 sono arrivati Renzi e i 5stelle, e noi siamo più piccoli; ma l’analisi politica di un partito comunista, deve vertere esclusivamente sulle condizioni esistenti nella società a prescindere dal livello di consenso di cui si gode. Se si è fatto nel 2011, a maggior ragione si deve fare oggi.

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