Rifondazione mensile di politica e cultura
Ottobre 1998

FARFALLE E URAGANI

CARNE TREMULA di Sabina Morandi

SNella vicenda di Mucca pazza c'è di tutto: i ricatti delle transnazionali, l'ipocrisia dell'Unione europea, la mafia russa e la sfida tra scienziati. E intanto la malattia avanza
Una storia di successo è fatta di molteplici ingredienti: traffici misteriosi, personaggi originali e, obbligatoriamente, una morale, meglio se trascendente - una bella punizione divina per esempio - che ti faccia riflettere sui tuoi peccati. Con tutti i requisiti al posto giusto la storia della "Mucca pazza” sembra destinata a diventare una parabola esemplare. Il leitmotiv non è originale: il solito vecchio trucco dei profitti di pochi pagati dalla collettività. Nella sua corsa forsennata verso la riduzione dei costi l'industria dell'allevamento ha finito col risparmiare sui controlli sanitari e sulle misure di sicurezza a scapito dei consumatori. E' un fenomeno generalizzato di cui il caso inglese è solo quello più eclatante. Ma in realtà nella favola di Muccapazza, c'è un senso profondo che chiama in causa un po' tutti. Qualcuno disse che l’uomo capitalista è per definizione carnivoro. Dello smodato consumo di carne abbiamo usufruito tutti, trasformando interi paesi del Sud del mondo in terre espropriate per far posto alle mandrie o alle coltivazioni da allevamento. Se fino a due generazioni fa la carne era un lusso adesso pasteggiare a manzo è un'abitudine. E per avere una fettina al giorno, sono necessari gli allevamenti industriali con il loro inquinamento, lo spreco energetico e uno smodato aumento dello squilibrio della ripartizione alimentare planetaria. Alla fine si è proceduto addirittura alla conversione dei pacifici erbivori in carnivori-cannibali: un peccato dal sapore biblico che sembra meritare bibliche punizioni. Per avere la carne più rossa, più magra e più economica si sono date in pasto agli animali le carcasse degli appartenenti alla loro stessa specie.
L’ultima frontiera del mercato sembra attestarsi proprio qui, in una sorta di vertigine cannibalica che assomiglia molto alla Modesta proposta con cui Swift pensava di risolvere il problema dei bambini poveri: semplicemente mangiandoseli. Un’idea che comincia a diventare pericolosamente concepibile. Nel circuito fagocitante del consumo vengono lanciate merci fino a ieri considerate tabù: placente umane per le creme di bellezza, carcasse di animali domestici nelle scatolette per nutrire i suddetti, e poi feti, organi e sangue in vendita fino agli stessi geni, brevettati e rivenduti super-accessoriati. La parabola della Muccapazza, comunque andrà a finire, sembra un’esemplificazione perfetta, degna di una tragedia greca, di come il supremo tabù del cannibalismo può correre incontro alla sua nemesi.

Altopiani Orientali, Nuova Guinea, marzo 1957

Quando il dottor Carleton Gajdusek, pediatra e virologo americano, arrivò in Nuova Guinea non pensava che quella tappa sulla via del ritorno casa gli avrebbe cambiato la vita e fatto scoprire una nuova malattia. Invece fu proprio ciò che accadde. La malattia si chiamava kuru ed era diffusa soprattutto fra alcune tribù che vivevano a uno stadio estremamente primitivo, i Fore che pensavano fosse causata dalla stregoneria. I giornali australiani l’avevano ribattezzata “la morte che ride” perché fra i vari sintomi, come la perdita di coordinazione motoria, i tremiti e la demenza, c’era anche un’ilarità incontrollata dovuta a sospette lesioni cerebrali. Gajdusek pensò sulle prime che si trattasse di una malattia ereditaria ma in seguito, quando ottenne i risultati delle autopsie, cominciò a formarsi l’ipotesi di un’epidemia: le lesioni cerebrali assomigliavano a quelle prodotte un rarissimo morbo, il Creutzfeldt-Jakob, una strana “infezione” del cervello che colpiva soprattutto chi aveva assunto gli HGH, gli ormoni della crescita umana ricavati dai cadaveri che venivano dati ai bambini affetti da nanismo. In comune con il CJ il kuru non aveva solo i sintomi ma anche il fatto di non provocare alcuna reazione da parte del sistema immunitario cosa che invece accade sempre in presenza di un’infezione. Inoltre i Fore avevano un’altra particolarità in comune con i malati di CJ anche loro si “cibavano” di cadaveri: i Fore, infatti, erano cannibali.

Londra 1959

Verso la fine del luglio ‘59 Gajdusek ricevette una lettera da un ricercatore veterinario americano, William J. Hadlow, che aveva svolto una ricerca su di una vecchia malattia delle pecore presso il British Agricultural Research Council di Londra. La scrapie, conosciuta almeno dal settecento, era una “virosi nervosa degenerativa”, cioè un’infezione del sistema nervoso. Quando Hadlow andò a visitare la mostra itinerante di Gajdusek sul kuru rimaste sconvolto dalla somiglianza fra le fotografie degli ingrandimenti che mostravano sezioni di cervello dei pazienti morti di kuru e quelle della scrapie: entrambi recavano traccia di una degenerazione spongiforme, cioè di una serie di buchi come in una spugna.

Bethesda, Maryland, 1963

Da quella lettera, spedita nel luglio del ‘59, nacque una collaborazione intorno all’idea che kuru e scrapie potessero essere manifestazioni di una sola malattia, un’infezione del cervello capace di saltare le barriere di specie. Gajdusek e Hadlow cominciarono a lavorare su questa ipotesi che presentava però almeno due grandi problemi. Prima di tutto bisognava dimostrare che la mallattia passava davvero da una specie all’altra, cosa in genere molto rara come dimostra il fatto che difficilmente posso prendermi il cimurro dal mio cane. A Bethesda si cominciò a sperimentare sugli animali di laboratorio la possibilità del contagio fra specie diverse e si scoprì che la scrapie non era così difficile nella scelta dell’ospite: topi, visoni e piccoli roditori si ammalavano facilmente. Il secondo problema riguardava il decorso molto particolare delle due malattie. Normalmente le malattie infettive possono essere acute o croniche. Al primo tipo appartengono il morbillo, l’influenza o la poliomelite, causate da microbi che si stabiliscono nell’organismo, vi si moltiplicano e si diffondono. Nel giro di pochi giorni compaiono i sintomi insieme alle reazioni difensive dell’organismo che ingaggiano una guerra dagli esiti incerti alla fine della quale l’organismo muore o guarisce. Nelle infezioni croniche come la tubercolosi o la malaria, invece, la guerra può durare anni, talvolta per sempre. La scrapie e il kuru potevano vantare molte particolarità. Un esito tutt’altro che incerto, prima di tutto, che portava quasi sempre alla morte dopo un decorso ben definito e un periodo di incubazione insolitamente lungo. Venne così coniata la definizione di una nuova classe di virus, i “virus lenti” e, una volta provato che la patologia poteva saltare le barriere fra le specie, venne coniata anche la definizione generale: encefalopatia trasmissibile, cioè malattia contagiosa del cervello.

New York 1971-1974

Si chiamano iatrogene quelle malattie che sono causate involontariamente dal medico. Il primo caso di trasmissione di un’encefalopatia spongiforme fra due esseri umani, al di fuori della tribù dei Fore, fu appunto di natura iatrogena. Il dottor Arthur DeVoe, specialista in chirurgia oftalmica, eseguì un semplice trapianto di cornea su di una donna. L’operazione riuscì ma, nel giro di un anno e mezzo, la donna cominciò a manifestare i primi sintomi di Creutzfeldt-Jakob e due anni dopo l’intervento era morta. Quando il caso arrivò alla sua attenzione Gajdusek aveva già cominciato a studiare l’ipotesi di contaminazione con il morbo CJ attraverso la prassi chirurgica e aveva trovato forti riscontri che l’avevano indotto a mettere in guardia la classe medica. I suoi tentativi di isolare il virus però, erano rimasti senza successo e quindi lasciavano l’encefalopatia trasmissibile nel fumoso regno delle ipotesi. Il Nobel per la medicina, arrivato nel ‘76, rese Gajdusek più noto e quindi più degno di ascolto ma la sua marginalità nei confronti del mondo accademico lo rendeva inaffidabile. Gajdusek girava il mondo dando inizio a ricerche sperimentali e lasciandole a metà per tornare nella sua Nuova Guinea da cui riportava, dopo ogni viaggio, frotte di adolescenti che faceva studiare a sue spese. Era, insomma un tipo strano. Il kuru era una faccenda esotica, il CJ una malattia rara e la scrapie un problema di pastori. Niente, insomma, che riguardasse la gente comune.

Gran Bretagna 1985 -1995

Il primo caso di BSE - l’encefalopatia trasmissibile bovina - segnò l’inizio del coinvolgimento della “gente comune” sebbene nessuno pensò d’informarla, almeno in principio, su ciò che stava accadendo. Grazie ai tagli della signora Thatcher il sistema di controllo veterinario inglese venne praticamente distrutto. Già da qualche anno nella dieta dei bovini erano state introdotte proteine animali per far crescere le bestie di più e più in fretta. Sotto forma di farine ricavate dalle carcasse di altri animali, prevalentemente ovini, i mangimi venivano lavorati, sterilizzati, e dati in pasto alle mucche. La carenza di controlli consentì agli allevatori di risparmiare qualche sterlina, per esempio abbassando la temperatura con cui venivano cotti i mangimi per sterilizzarli. In questo modo la scrapie saltò facilmente la palizzata e passò ai bovini.
Il morbo della mucca pazza si diffuse in modo silente, complici le autorità sanitarie che fecero di tutto per tenere un basso profilo, e questo fece sì che la ricerca scientifica sulla BSE cominciasse con un ritardo decennale. I rapporti degli organismi veterinari vennero puntualmente ignorati sebbene gli epidemiologi fossero in allarme perché, alla fine del 1987, c’erano già 420 casi di malattia confermati. Il Rapporto Southwood, dell’89, prevedeva una punta massima di 15-20 mila casi di BSE per il ‘93 e rassicurava governo e opinione pubblica sul fatto che l’epidemia, esclusivamente bovina, sarebbe scomparsa entro il ‘95. Il rapporto sbagliava in pieno: all’inizio del 1995 le mucche pazze erano già 150 mila, e il collegamento con il CJ comincia a non essere più soltanto una fissazione di Gajdusek perchè la gente aveva cominciato a morire.

Bruxelles 1996

Quando il 27 marzo il Comitato permanente veterinario europeo si riunì già molti paesi avevano deciso il blocco delle importazioni di carne inglese. Ammettendo che “non si può escludere la possibilità di trasmissione dell’agente della BSE all’uomo”, il Comitato suggerì alcune misure abbastanza drastiche come l’abbattimento di circa 4 milioni di capi e il blocco dell’esportazione della carne. Tali misure, pur facendo infuriare il governo inglese, non erano poi così drastiche: veniva lasciata fuori tutta la questione dei mangimi, le famigerate farine in cui venivano riciclate le carcasse delle pecore o anche quelle delle stesse mucche affette da BSE, così come venivano ignorati i prodotti derivati dalla lavorazione della carne, come le gelatine e il collagene. Eppure gli scienziati considerano unanimemente i prodotti derivati molto più a rischio della carne. La legge comunitaria, comunque, decretò che la carne inglese non poteva più venire esportata finché non fossero stati abbattuti tutti i capi di più di 30 mesi. Naturalmente ci sono eccezioni. La Comunità europea, guidata dalla presidenza italiana, autorizzò la vendita di carne inglese ai paesi extracomunitari che s’impegnavano a non rivenderla a noi. La moralità di una decisione simile non merita commenti. Merita invece attenzione il fatto che non venisse creato nessun organismo internazionale di controllo per evitare che la carne venisse reintrodotta illegalmente in Europa. Intanto, comunque, ci si preoccupava della moralità di Gajdusek, che aveva preso ad accusare l’industria zootecnica europea di “tentata strage”: fu arrestato sotto l’accusa di pedofilia, per via dei suoi giovani protetti neozelandesi.

Italia1997-1998

Nel luglio ‘97 scoppiò l’allarme contrabbando. La Commissione europea denunciò l’esportazione illegale di almeno 1600 tonnellate di carne bovina inglese potenzialmente infetta. I giornalisti del settimanale francese Le canard enchainé, citando un documento segreto dell’Interpol, scrissero che la rotta del contrabbando partiva dall’Inghilterra e, passando per Irlanda e Belgio, arrivava in Italia. Si calcolava che erano destinate al nostro paese almeno 700 tonnellate di carne. Il metodo era semplicissimo: alcune ditte belghe, grazie alle autorità sanitarie compiacenti, immagazzinavano i carichi in Olanda, falsificavano i timbri e rivendevano la carne, a prezzi stracciati, a ditte di esportazione francesi e spagnole. Delle rimanenze, dirette verso i mercati dell’Europa dell’Est, si occupava la mafia russa. Chi non ci stava, come un veterinario belga, finiva morto ammazzato.
Gli allevatori italiani, naturalmente, si affrettarono a precisare che nel nostro paese non era mai arrivato niente essendo stati sequestrati in Olanda tutti i carichi in partenza. Palmiro Villa, presidente dell’Associazione allevatori italiani, dichiarò: “l’Italia non figura fra i paesi coinvolti in questo traffico”. Nell’estate ‘97, però, si susseguono i sequestri: 570 agnelli scozzesi sequestrati a Nola, in provincia di Napoli, 19 mucche inglesi in Piemonte. A Milano vennero indagate per evasione fiscale 44 imprese collegate con compagnie olandesi, belghe e francesi. Il Procuratore della Repubblica, Raffaele Guariniello, che aveva aperto un’indagine sul contrabbando di carne in Silicia dovette aspettare dei mesi per ottenere i campioni di cervello da fare analizzare al centro BSE di Torino e alla fine, quando i reperti giunsero a destinazione, risultarono danneggiati in modo irreparabile. Nello stesso periodo finirono sotto inchiesta alcune imprese toscane per la produzione di mangimi e gelatine che utilizzavano materie prime di ignota provenienza.
Se il controllo del traffico di carne in Europa si dimostra molto difficile, in Italia sembra addirittura impossibile. I timbri e gli orecchini di cui vengono dotati gli animali sono facilmente falsificabili, moltissime imprese affittano celle frigorifere a terzi, declinando ogni responsabilità sul loro contenuto, come l’Eurfrigo Vernate, una ditta indagata per i suoi collegamenti con il contrabbando belga e poi letteralmente scomparsa nel nulla. Il tariffario della carne inglese di contrabbando, 2.000 lire al chilo contro le 7.000 del prezzo della carne regolare, gira anche fra i grossisti onesti. E quando c’è un tariffario c’è un mercato... E d’altronde come si può controllare un commercio che, solo fra il '95 e il ‘96 ha emesso fatture false per 4.242 miliardi? Secondo l’Associazione commercio carne almeno il 25 per cento evade il fisco. In queste condizioni è estremamente difficile eseguire dei controlli su ciò che si trasporta, ciò che si vende in macelleria e, alla fine, ciò che si mangia. Forse sono proprio questi i motivi che hanno spinto la Commissione europea, il 10 giugno scorso, ad annunciare la proposta di una parziale eliminazione dell’embargo sulla carne inglese. Certo non possono essere state le notizie che provenivano dagli scienziati svizzeri che, negli stessi giorni, dichiaravano: per ogni bovino malato ci sono almeno cento portatori sani, cioè una mandria di circa 460.000 mucche pazze a pascolare sulle nostre tavole: se non si riesce a far rispettare il blocco tanto vale toglierlo. Alla faccia dei consumatori e dei commercianti onesti.

Muccassassina

Il consumo di carne in Italia è cresciuto negli ultimi trent’anni a un ritmo vertiginoso: da 18,8 chili a persona negli anni Cinquanta a 83,8 chili degli anni Ottanta. Ciò è stato reso possibile dalla separazione degli animali dall’azienda agricola tradizionale e dalla creazione di mega-allevamenti intensivi “senza terra”. In questo modo si è riusciti a realizzare un sostanziale abbattimento dei costi e quindi l’offerta sul mercato di una maggiore quantità di prodotti a prezzi più bassi per i consumatori. Questo, insieme all’aumento del reddito delle famiglie, ha consentito l’esplosione dei consumi ma anche l’emergere di nuovi problemi.
L’ambiente. La separazione degli allevamenti dall’azienda agricola ha creato un paradosso: quella che era una ricchezza - il letame utilizzato come concime naturale - è diventato un rifiuto potenzialmente inquinante e molto difficile da gestire. L’uso di concimi chimici, diserbanti, e pesticidi nelle coltivazioni intensive di cereali e di leguminose destinate all’alimentazione animale contribuisce in maniera enorme all’inquinamento agricolo e rende il letame tossico per le colture.
La salute. Un ampio utilizzo di sostanze farmacologiche - estrogeni, antibiotici, sulfamidici - è stato reso necessario dalla concentrazione degli animali (per un controllo preventivo sulle malattie) oppure scelto come scorciatoia per ottenere risultati produttivi più rapidi e redditizi. Queste e altre sostanze, come i pesticidi o i metalli pesanti, possono essere presenti come residui nelle carni e negli altri prodotti di origine animale comportando parecchi rischi per la salute dei consumatori. Nello stesso tempo l'aumento dei consumi ha favorito l’insorgere di una serie di malattie che sono fra le più importanti cause di morte dei paesi ricchi, come le malattie cardiovascolari o i tumori dell’apparato digerente.
Spreco energetico e ripartizione delle risorse alimentari. Circa il 38 % della produzione mondiale di cereali è destinata all’alimentazione degli animali mentre potrebbe essere destinata direttamente all’alimentazione umana. In alcuni paesi, che pure hanno gravi problemi alimentari, terreni e risorse vengono destinati all’allevamento per l’esportazione oppure alla produzione di vegetali da esportare per l’alimentazione animale. Un ciclo interamente gestito dalle grandi società transnazionali che penalizza l’agricoltura di sussistenza dei piccoli coltivatori locali e incrementa la distruzione delle foreste tropicali per fare spazio ai pascoli e alle colture.
Rifondazione mensile di politica e cultura
Liberazione giornale comunista
Partito della Rifondazione Comunista