Alfonso Gianni
Hai parlato - in diverse riunioni di partito della
necessità di definire un programma generale del Partito della Rifondazione
Comunista. Vuoi spiegare meglio cosa intendi per programma generale del
Prc?
Fausto Bertinotti
Intanto, credo valga la pena di mettere laccento sull'originalità,
rispetto alla vicenda del movimento operaio italiano, di tale obiettivo,
che appartiene più alla tradizione classica e al movimento operaio
tedesco.
Si potrebbe cominciare prendendo lo stesso Manifesto
del Partito Comunista, che è, direi, il programma generale per antonomasia:
esso delinea un apparato storico, un apparato critico della formazione
economica e sociale capitalistica, individua i soggetti del cambiamento
e insieme il programma del cambiamento. Lelemento portante di un programma
fondamentale è quindi, direi, proprio la critica al capitalismo
e, insieme a questa, lidea generale che può guidare una formazione
politica in un processo di trasformazione.
Il programma è però anche un momento di
formazione culturale e di definizione di unidentità, di classe
e della formazione politica. E al riguardo si può ricordare la precisione
filologica e definitoria usata da Marx nella sua Critica al programma di
Gotha, proprio a significare lesigenza di costruire una cultura politica
attraverso il programma.
Nel secondo dopoguerra il tema del programma è
tornato ancora in Germania, seppure con un segno revisionistico di destra
(per usare unaccezione classica). Penso a Bad Godesberg, dove venne definito
il profilo della socialdemocrazia tedesca, durato poi trentanni (lultimo
programma della SPD è infatti del 1989). In Italia, da parte della
sinistra classista, si è irriso a quella vicenda con un atteggiamento
liquidatorio. Daltra parte veniva registrata la tendenza ad allontanarsi
definitivamente dallesperienza comunista. Tuttavia quel programma ha avuto
un rilievo; che non ha avuto il programma del 1989.
In Italia, invece, lidea togliattiana del partito nuovo,
assai più del programma, ha ispirato la formazione e la costruzione
del Pci. Nel Partito Socialista ci sono stati momenti di ragionamento attorno
a questioni teoriche e politiche, ma sono stati animati soprattutto da
singoli esponenti e da istituzioni parallele. La Cgil nel Congresso del
1990 ha provato a costruire un programma, ma pur impegnando uomini di primissimo
ordine e un apparato di grande consistenza, non ha sortito un grande risultato
dal punto di vista dellimpatto. E qualcosa fu tentata anche da parte del
Pci. Penso al Progetto a medio termine del 77 o al tentativo programmatico
dellultimo Pci, che potrebbe però essere assunto come esempio al
negativo. Ricordo in quella fase Claudio Napoleoni, quando disse in unoccasione:
«se assumete quella piattaforma allora vi conviene cambiare il nome
di Partito Comunista e darvi pace». Una frase sferzante che anticipava
la svolta della Bolognina e che individuava, non casualmente, un nesso
tra lispirazione del programma e la definizione di sé.
Insomma, diciamo che è unoperazione che punta
non solo a tracciare un programma per lazione politica ma anche a contribuire
alla definizione di sé attraverso il connotato programmatico. Non
sarà esaustivo della definizione di sé, come sappiamo bene,
perché entrano in questa moltissimi altri elementi, che riguardano
la vita organizzata del partito, le sue culture, il suo modo di essere,
le sue aspettative, persino i suoi miti, ma ne è uno degli elementi
fondamentali.
Ed è un impegno che richiede la definizione di
un metodo e di un tempo di lavoro che siano congrui allimpresa. Anzi,
il problema del metodo e quello del tempo sono già elementi che
costituiscono una parte importante dellidea di programma fondamentale.
Perché non si può pensare di realizzarlo in una sorta di
autosufficienza dei gruppi dirigenti o, peggio ancora, di un ufficio studi
o di un gruppo di tecnici.
Alfonso Gianni
Vorrei provare ad approfondire questo aspetto del metodo
e del tempo.
Fausto Bertinotti
Per parlare non in astratto ma del partito, direi che
questo lavoro deve scavalcare un congresso, quindi deve investire anni
di lavoro. Il prossimo congresso può essere loccasione per discutere
un primo semilavorato. Anche perché lassise congressuale coinvolge
largamente il partito, costituisce un fatto politico nazionale e quindi
crea le condizioni per interloquire con aree di intellettualità
e con soggetti sociali importanti. E poi penso a unassise successiva,
molto solenne, in cui la solennità sia anche espressione di una
democrazia forte e di un impegno straordinario. È difficile dire
se ci vorranno due o tre anni, ma larco temporale mi sembra grosso modo
questo.
Questo lavoro dovrà essere costruito attorno a
strumenti di partito ed essere presieduto, credo, proprio dalla Direzione,
che potrebbe affrontare anche in maniera seminariale alcuni passaggi della
sua costruzione. Alla stessa Direzione devono far capo sia il Comitato
scientifico che lUfficio di programma, le due sedi vocate alla ricerca
programmatica, valorizzando la diversità dei due organismi e le
differenti propensioni; e su questa base va costruito progressivamente
un vero e proprio sistema. Penso a una rete di relazioni con esperienze,
soggetti, testimoni attivi di esperienze di movimento e anche organizzazioni
esterne con cui interloquire mantenendo relazioni diversamente coinvolgenti
e diversamente critiche. Insomma un programma fondamentale non lo si fa
da soli, in una condizione di autosufficienza di partito e neppure di autosufficienza
di un'area culturale relativamente omogenea come quella che può
esserci, diciamo così, attorno al partito nella sinistra alternativa.
Si deve interloquire e confrontarsi anche con le altre culture e in particolare
con le altre culture critiche, quelle cioè di cui abbiamo parlato
nel nostro Congresso: le culture cristiane e quelle provenienti dallesperienza
delle donne, quelle provenienti dalla pratica ecologista e ambientalista,
quelle espressione di parti rilevanti delle nuove generazioni.
Il punto centrale da attivare nella discussione credo
sia quello del lavoro. Non come banalmente si pensa, in unaccezione pur
necessaria, sulla base di un approccio sociologico o di diagnosi delle
condizioni di disagio, ma il lavoro inteso come fattore costitutivo della
realtà sociale, della fisionomia di una società e della sua
natura. E insieme la critica al lavoro salariato, la sua riattualizzazione
di fronte alla mutazione radicale che il lavoro salariato, che pure resta
tale, sta tuttavia subendo nella composizione sociale di classe, nel suo
rapporto con i vissuti, nel suo rapporto con la società, nella sua
proposizione per una prospettiva rivoluzionaria.
Questultima è una proposizione molto ambiziosa
e molto impegnativa, e sento tutto lo scarto tra la nostra capacità
di elaborazione e la questione che essa propone, che è quella della
rivoluzione in Occidente. Il tema si è affacciato per lultima volta
sulla scena della politica italiana, europea e del mondo nel biennio 68-69,
e richiede ormai una ridefinizione, non solo sulla base di quellultima
grande esperienza di cambiamento, ma anche alla luce del nuovo ciclo capitalistico
e di questa modernizzazione, di cui la "globalizzazione" delleconomia
capitalistica (una definizione sempre più sottoposta a critica,
ma che ha anche una capacità definitoria, almeno approssimativa)
costituisce un tratto essenziale.
Non si può dire heri dicebamus; non si può
dire soltanto: «noi siamo anticapitalisti perché dallorigine
siamo contro lo sfruttamento delluomo sulluomo». Il problema fondamentale
non è di ribadire questa premessa, indispensabile, ma è di
tradurre questa premessa in una critica delleconomia capitalista del nostro
tempo: riaggiornare, cioè, le categorie dello sfruttamento e dellalienazione
come strumenti critici di questa specifica fase storica; e la critica alla
formazione economica e sociale capitalistica rispetto a questo specifico
processo di modernizzazione, che viene prendendo corpo dal superamento
del ciclo precedente, spesso definito taylorista-fordista-keynesiano.
E anche per questo che penso che la dimensione nazionale
sia necessaria ma non sufficiente, perché è proprio questo
mutamento della scena su cui si riorganizza il capitale che impone lassunzione,
come dimensione dellagire politico diretto, della dimensione europea.
Laddove naturalmente quella indiretta coinvolge il mondo, coinvolge tutte
le esperienze che possono prendere corpo contro le politiche neoliberiste,
che sono quelle più invocate da questo processo di modernizzazione
capitalistica. Quindi il programma fondamentale sarebbe bene fosse inteso,
anche sotto questo aspetto, come un lavoro in progress fino a investire
il rapporto con le altre forze della sinistra comunista e antagonista dEuropa
per poter fare insieme a loro un pezzo di strada assieme, nonostante le
diversità rilevanti.
Nerio Nesi
Sono daccordo: dobbiamo darci un programma generale,
perché programma generale vuol dire identità. E perché
la nostra identità di partito si è espressa finora più
in termini di negazione che di proposizione. Concordo anche sul fatto che
il problema fondamentale che noi dobbiamo affrontare è lidentificazione
di una concezione del lavoro che, per noi, si accompagna alla definizione
di una società nella quale il mercato non sia il padrone assoluto;
e da questa concezione deve derivare, secondo me, anche unidentificazione
di valori, diversi e opposti rispetto al profitto che è, invece,
la base morale di tutta lattività nel mondo capitalistico. E unutopia,
ma penso che lutopia sia necessaria nella conduzione generale di un partito
politico.
Dobbiamo anche formulare una nostra concezione dello
sviluppo, dire cosa intendiamo per sviluppo, non soltanto economico, ma
sociale, culturale, familiare. Infine, dobbiamo chiarire come, a nostro
parere, si può reggere e regolare la società contemporanea,
identificando valori e presupposti diversi. Finora il capitalismo italiano
forse anche quello di altri paesi, seppure in misura minore è
stato retto da due forme di capitalismo: quello dello Stato e quello familiare.
Adesso sono entrati entrambi in crisi. Questo vuol dire che verranno meno
nei prossimi anni le formule sulle quali si è retta questa società.
Identificare formule diverse è un compito difficile, ma anche affascinante.
In questo senso anche la concezione del rapporto del mondo del lavoro col
mondo della produzione e delle imprese diventa un fatto non soltanto sindacale
ma anche culturale.
Fausto Bertinotti
Credo ci sia sempre un riferimento non solo nella realtà
che indaghi ma anche nellorganizzazione del pensiero e/o della politica
che funziona al negativo e che serve a ridefinirti. Oggi noi questo lo
abbiamo. Non è un ritorno allantico, ma il fatto è che le
socialdemocrazie europee sono impegnate esse stesse in una sorta di ridefinizione.
Sostanzialmente si muovono nella società due tendenze: una neosocialdemocratica,
che lavora sullapparato culturale, ideologico, critico della socialdemocrazia
di questo mezzo secolo; laltra, invece che muove verso un orizzonte liberale.
In Europa la soggettività politica che oggi viene chiamata socialdemocrazia,
finirà per essere influenzata a seconda di quale di queste due prevarrà.
E quella neoliberale ha purtroppo molte chances, perché ha dalla
sua il fatto di essere la più lucidamente apologetica delle tendenze
della modernizzazione capitalistica. Non voglio dire che sia in grado di
immaginare gli esiti di queste tendenze, ma che sceglie decisamente il
versante del loro appoggio. Noi abbiamo, rispetto a questa tendenza liberale,
un atteggiamento programmaticamente alternativo. Mentre siamo interessati
a delle convergenze con lala neosocialdemocratica sul terreno del fare
politica.
Sul terreno del programma fondamentale, però,
siamo altrove anche rispetto alla componente neosocialdemocratica: per
rispondere a una domanda generata da altri bisogni, diciamo così,
da unaltra necessità. Questo elemento su cosa poggia? Secondo me
sul punto essenziale e dirimente del programma, che è la critica.
Su questo la lezione di Marx è vitalissima. Il punto è la
critica alleconomia capitalistica, allo sfruttamento delluomo sulluomo.
Senza questo elemento ci si muove lungo sentieri che non configurano nessuna
possibilità concreta di sottrarsi a quel destino, se non per testimonianza
individuale o per spostamento del dissenso sul terreno etico-morale o religioso.
Il secondo elemento di differenza è che noi dobbiamo assumere un
punto di vista drammatico nei confronti di questa modernizzazione, nella
quale si contrappongono, sotto delle apparenze che ne nascondono la drammaticità
alternativa, da un lato il bisogno di socialismo e dallaltra il rischio
di una regressione della civiltà del lavoro. Lalternatività
è determinata dal trend lungo di processi economici e sociali e
non da catastrofi anche generali della politica, come è stato con
il nazifascismo. Ma il vecchio socialismo o barbarie mi pare si riproponga
con una drammatica attualità.
Vorrei anche dire che abbiamo già tanti elementi
analitici, ma ricostruire un apparato critico vuol dire anche raggiungere
un punto di sintesi. A partire dalla domanda, difficilissima, ma senza
la quale non si fa il programma fondamentale: «chi è il soggetto
della trasformazione?». Cioè qual è il blocco storico
(che pure è una categoria che non mi convince più), laggregazione
che, muovendo da una discriminante di classe, è in grado di aprire
un processo di trasformazione e di ripensamento delle politiche, e della
politica. Domanda alla quale non si risponde semplicemente con lenunciazione
di obiettivi, ma costruendo un telaio di obiettivi e insieme di soggetti
e di modalità di lotta.
Nel far ciò penso che dovremo rivisitare alcuni
obiettivi dei punti alti della politica riformatrice di questo secolo.
Facciamo l'esempio della piena occupazione. Non può esistere un
programma fondamentale del Prc che non parta dalla piena occupazione. Bene,
ma ciò vuol dire una nuova idea di pieno impiego: perché
pieno impiego e nuova idea dello stesso sono oggi due termini imprescindibili.
Oltre allelemento quantitativo del tutte e tutti occupati; occupati come?
E per che cosa? Dove? Per produrre cosa e per chi? Questi tornano a essere
i grandi quesiti; ed è anche lunico modo per rispondere alla svalorizzazione
del lavoro, oggi in corso. Questioni che a loro volta ripropongono il tema
di un nuovo stato sociale e di un altro modello di sviluppo entro cui
il mercato smetta di essere lelemento dominante nei rapporti tra le persone,
tra le merci, tra le persone e le merci.
E ciò vorrei aggiungere chiama in causa anche
un problema irrisolto, anzi omesso, nella nostra elaborazione, cioè
quello della proprietà. Nonostante il fallimento delle esperienze
dei paesi post-rivoluzionari dellEst europeo, che avevano incorporato
lidea di una statalizzazione di tutte le forme di proprietà, non
possiamo pensare di lavorare semplicemente di lima sulla proprietà
privata, operando qualche correttivo. Il tema della proprietà ci
si propone strategicamente, e anche nei tempi medi.
Marco Berlinguer
Direi che il problema si pone anche dal punto di vista
analitico. Come osservava anche Nesi, sta saltando ciò che ha regolato
il funzionamento di un ciclo lungo dello sviluppo capitalistico: e anche
nelle forme capitalistiche di proprietà ci sono delle trasformazioni
da indagare. Basti dire che negli Stati Uniti i principali proprietari
di mezzi di produzione sono diventati i fondi pensione. Vorrei però
affrontare il problema dellorganizzazione del nostro lavoro. Quale può
essere il percorso?
Fausto Bertinotti
Secondo me servono in partenza più discussioni
di impianto. Bisogna tener conto che siamo in una situazione molto immatura
e di fronte a unesperienza del tutto inedita. Cominciamo ad accumulare
pareri, opinioni informali attorno alla questione del programma fondamentale
di un partito della rifondazione comunista. La domanda per cominciare è:
«secondo te, oggi, un programma fondamentale per il Partito della
Rifondazione Comunista di che cosa deve parlare; se tu dovessi proporre
un ordine argomentativo, qual è questo ordine?» E poi procediamo
per approssimazioni. Io stesso ho enunciato dei temi che ometterei nellambito
della discussione, perché rappresentano unaccelerazione.
Angelo Tria
Come può la stessa costruzione del programma diventare
attività viva, vera di tutto il partito?
Fausto Bertinotti
Un tempo queste erano grandi operazioni pedagogiche.
Il partito aveva un programma e lo illustrava, lo insegnava sia attraverso
processi formativi veri e propri, sia attraverso processi formativi informali:
dalla riunione al comizio, alla scuola di partito. Questa modalità
funzionava in unaltra società, con altra compattezza, con altri
moduli di formazione, di scolarizzazione, oggi è impraticabile Perché
diventi attività del partito bisogna che si stabilisca un rapporto
bi-univoco tra il programma fondamentale e il partito, e anche lazione
pratica dei movimenti. Programma, partito e movimenti devono incrociarsi
ed è fondamentale che questo avvenga già nel processo costruttivo
del programma, che in questo senso non deve nascere soltanto qui, ma anche,
per esempio, da quellinizio di movimento che lotta per le 35 ore.