Forse esiste davvero "l'anima del mondo". Ce lo
dice, addirittura, la biologia molecolare che trova nei nostri geni le
tracce del passato dell'intero pianeta.
Cera una volta una creatura. Come tutte le creature viventi
perseguiva due scopi principali: sopravvivere e riprodursi. E, come tutte
le creature, doveva riuscire a farlo in un ambiente mutevole, talvolta
ostile. Decise - sempre che si possa chiamare decisione un atto intrapreso
senza una coscienza - di attuare un metodo molto semplice: differenziarsi
il più possibile. Se mi riciclo sotto varie forme - avrà
pensato la creatura - sicuramente qualcosa di me riuscirà a sopravvivere.
Riuscì così a scovare innumerevoli metodi,
fra i più disparati. Rimanere single oppure aggregarsi in grandi
comunità dove ogni singola parte si sarebbe a sua volta specializzata.
E già che cera, si provò a differenziare ancora tali comunità
secondo la loro specifica vocazione: quelle che amano vivere a lungo, rimanere
immobili, ben radicate nel terreno a nutrirsi di minerali e luce solare,
come i vegetali; quelle che amano andarsene in giro e nutrirsi di altre
creature, come gli animali. Oppure certe bestie particolari che suppliscono
alle ridotte capacità fisiche con una spiccata vocazione a intervenire
sullambiente che li circonda, come gli esseri umani.
In questottica, e senza farsi sviare dallentrata in
scena del nostro personaggio preferito - cioè lumano - tutta la
biosfera, cioè tutta lincredibile varietà degli organismi
viventi, sarebbe solo il mezzo con cui una creatura originaria, il DNA
ancestrale, è riuscita a sopravvivere. Prova ne è quel quaranta
per cento di genoma che condividiamo con lultimo verme della terra, allinsegna
del principio universale e imperituro che squadra che vince non si cambia:
quando un dato gene funziona per produrre una data proteina resta quello,
nei millenni dei millenni. Per dirla più scientificamente: Ci si
rese conto - scriveva nel 1992 Maxine Singer, biologo molecolare - che
proteine che svolgono una stessa funzione in organismi diversi hanno anche
sequenze amminoacidiche molto simili e quindi le conoscenze di cui attualmente
disponiamo circa la struttura del Dna e i processi genetici suffragano
la teoria di una storia evolutiva comune per tutti gli esseri viventi del
nostro pianeta.
Vecchie favole
Cera una volta una favola, antica quasi quanto la filosofia,
traghettata fino a noi dalle più differenti tradizioni culturali,
religiose e filosofiche. Lidea che il mondo sia una sorta di grande animale
dotato di anima arriva dritta dritta dal Timeo di Platone che a sua volta
laveva tratta dalle antiche cosmologie mistiche di origine orientale.
La fertilità, la vitalità e la tendenza allequilibrio come
caratteristiche dellorganismo-mondo attraversano tutto il pensiero greco
e fondano la certezza di una corrispondenza fra macrocosmo e microcosmo,
certezza che, a sua volta, è alla base delle teorie astrologiche
e mediche sopravvissute, nella cultura occidentale, per quasi 1500 anni.
Lanima mundi resiste nel pensiero cristiano, identificandosi
talvolta con Dio stesso, talvolta con la creazione concepita in un vincolo
di fratellanza universale - come nella religiosità di San Francesco
- mentre, nello stesso tempo, permea la tradizione eretica del pensiero
magico rinascimentale, le sperimentazioni degli alchimisti e il vitalismo
degli organicisti. Alla fine, recitano i libri scolastici, con il trionfo
del razionalismo scientifico del XVII secolo, lanima del mondo si estingue
dopo un breve canto del cigno nella filosofia romantica della natura, Schelling
valga per tutti. E si sarebbe estinta definitivamente. Ma è davvero
così?
Sotto mentite spoglie
In realtà il modello dellanima mundi appare un
concetto tuttaltro che esaurito. Non lo è certamente per tutto
quel filone di pensiero che, rifacendosi alla critica della scienza degli
ultimi trentanni, oppone al riduzionismo la teoria della complessità,
la scienza dei sistemi che si autoregolano, lo studio delle complesse interazioni
eco-logiche.
Nel 1972 Gregory Bateson, lo psichiatra, filosofo, antropologo
e quantaltro, che raggiunse la notorietà con il suo Verso un'ecologia
della mente, andò a ripescare una variante più raffinata
di quel concetto medievale che era stato un po troppo romanticizzato dai
poeti-filosofi dellottocento. Lisomorfismo (dal greco, stessa forma)
di matrice medievale diventa una griglia concettuale attraverso cui ridisegnare
unindagine scientifica di tutto rispetto e, nello stesso tempo, su cui
fondare la critica al riduzionismo scientifico. Forte di una metodologia
interdisciplinare e del postulato dell'isomorfismo fra la struttura della
mente e quella della natura, Bateson recupera suggerimenti di Wittgenstein,
la teoria dei tipi logici di Russell, la filosofia matematica di Whitehead,
le teorie degli insiemi di Carnap e i modelli cibernetici degli anni 50
per fondere il tutto in un'unica "visione". L'isomorfismo gli permette
di considerare allo stesso modo un organismo vivente nel suo funzionamento
biologico, un sistema culturale o l'individualità di un malato di
mente. Abbiamo, secondo Bateson, sempre a che fare con sistemi omeostatici,
cioè unità autocorrettive che elaborano informazioni per
utilizzarle in una tendenza prevalentemente conservativa. In linea di massima
dobbiamo ammettere di avere una conoscenza solo approssimativa di tali
sistemi e di essere ancora lontanissimi dalla comprensione dell'interazione
fra di essi. Sappiamo cioè poco (e le teorie della psiche ce lo
dimostrano) del sistema-uomo, poco del sistema-natura (la tragica prova
è nel disastro ecologico) e del sistema-lingua, come ben sanno i
linguisti. E questo è dovuto soprattutto al fatto che, sostiene
Bateson, le patologiche dicotomie della cultura riduzionista hanno sbarrato
il passo alla comprensione di ogni sorta di interazioni.
James Lovelock riprese, nell'81, le teorie di Bateson
per farne una parola dordine. Nasce lidea di definire un concetto, Gaia,
per indicare il sistema che regola la vita e lequilibrio del pianeta.
Sebbene Lovelock si affretti a circoscrivere il concetto solo allambito
scientifico, perché ha una paura più che giustificata di
vederlo utilizzato a scopo deterministico (cita, a proposito luso sociale
che venne fatto di Darwin) lidea di un pianeta animato era troppo potente
e troppo evocativa per non trovare una vasta eco fra ambientalisti ed ecologisti
militanti.
Le preoccupazioni di Lovelock non sono peregrine. Ogni
qual volta si aggancia lumano al naturale si possono ottenere effetti
estremamente discordanti: riempire di senso etico, di umana pietas il nostro
rapporto con la natura oppure, allopposto, reintrodurre la ferocia dello
stato naturale nelle relazioni umane.
In fondo anche lo scienziato più riduzionista
è un isomorfista sotto mentite spoglie: la semplice speranza di
poter descrivere i fenomenti naturali attraverso un linguaggio prodotto
dalla mente umana è basato su una certa fiducia, per quanto latente,
che natura e cervello siano fatti della stessa pasta.
Altro è immaginare il mondo come un unico grande
animale di cui noi stessi facciamo parte: idea romantica, foriera di un
senso di fratellanza universale e di responsabilità verso tutte
le creature - umane e non umane - ma, nello stesso tempo, aperta al riaffermarsi
delle teorizzazioni più pessimiste sulla natura umana. Non bisogna
dimenticare quanto questa idea abbia permeato e affascinato una certa mistica
di destra e quanto, come ricorda lo stesso Lovelock, il determinismo biologico
abbia costituito una valida giustificazione dello sfruttamento selvaggio
dei meno adatti mentre i più adatti trovano giustificazione
nellimpietosa legge della selezione naturale.
Il gene egoista
Lungi dallessere superato il determinismo biologico
si riaffaccia nellepoca del boom del Dna. Dopo cinquantanni di ostracismo
parole come eugenetica non fanno più paura: i campi di concentramento
sono lontani e ancora più lontana è lideologia che li ha
preceduti. Ecco perché una teoria come quella di Richard Dawkins,
peleontoologo e star del neo-darwinismo, è diventata subito molto
popolare.
Parliamoci chiaro, dice Dawkins, la vita tutta è
governata dallegoismo dei geni che pensano solamente a riprodursi e a
vincere la battaglia della competizione universale e siccome, come continuamente
viene sottolineato dai media, siamo determinati esclusivamente dai geni,
le conclusioni sono facili da trarre. Non è un caso che Dawkins
professi un darwinismo rozzo, prima maniera, orgogliosamente riduzionista:
il ruolo del caso e quello dellinterazione con lambiente vengono assolutamente
lasciati ai margini di questa lotta per la sopravvivenza del più
adatto. E non è un caso che degli scienziati di sinistra e nientaffatto
riduzionisti come Stephen Jay Gould e Richard Lewontin lo vedano come il
fumo negli occhi. Ma si sa, le teorie semplificanti sono più facili
da digerire e da trasformare in slogan di quelle complesse, specie quando
si accordano alla perfezione con lideologia dominante. In realtà,
se proprio vogliamo utilizzare la favola isomorfista, nel campo della biologia
molecolare ci sono state scoperte evocative di scenari molto diversi da
quello prospettato dal paleontologo autore di Il gene egoista. Scenari
di collaborazione e di compartecipazione reciproca.
La cellula altruista
Le cellule sono in realtà tuttaltro che semplici
mattoni degli organismi: esse stesse sono dei microscopici organismi forniti
di piccoli organi (detti organuli) altamente specializzati nella produzione
di energia, per esempio, nella contrazione (come per le cellule muscolari),
nella trasmissione di informazione e nella duplicazione del genoma contenuto
nel nucleo. Secondo alcune teorie sullorigine delle cellule degli eucarioti
(organismi dotati di cellule con un vero e proprio nucleo) la cellula stessa
sarebbe una specie di società di mutuo soccorso fra microscopici
organismi, alcuni probabilmente parassitari, che poi si sono trovati, come
dire, talmente bene fra loro che non si sono più separati.
Gli esempi di simili collaborazioni sono tantissimi.
Per il corretto funzionamento della flora intestinale noi utilizziamo il
lavoro di un bacillo, Escherichia coli, presente nellintestino di ogni
singolo essere umano in miliardi di individui, più o meno quanti
sono gli esseri umani che popolano il pianeta. Se Escherichia coli avesse
una coscienza cosa penserebbe dellambiente in cui vive? Sarebbe contento
di avere un territorio naturale da sfruttare allinfinito o penserebbe
magari di abitare un grosso animale dotato di anima?
Quei fossili dentro di noi
Una suggestione affascinante proviene dalle più
recenti scoperte sulla struttura dei virus. I virus sono delle creature
molto semplici e molto antiche che hanno la particolarità di infilarsi
nel genoma di una cellula ospite per utilizzare la sua macchina riproduttiva.
Un virus intelligente - nel senso evolutivo del termine - impara a essere
meno nocivo possibile perché non gli conviene affatto che lospite
muoia smettendo di fare tutto il lavoro al posto suo. Talvolta, durante
questo processo di reciproca assuefazione, si arriva a depotenziare del
tutto la pericolosità del virus magari perché lospite stesso
è andato incontro a unevoluzione che lha profondamente cambiato.
I geni del virus restano allora nel genoma semplicemente come tracce, fossili
genetici del nostro passato. Esiste un intero gruppo, i virus di tipo C
dei mammiferi, che sono specifici dei topi, dei felini e delle scimmie
e che sono ormai integrati nel genoma umano. Anche se sono inattivi da
millenni questi virus fossili rappresentano una chiara testimonianza, iscritta
nel nostro Dna e trasmessa attraverso milioni di anni, di quando eravamo
scimmie, felini o topi...
Lungi dallessere semplicemente dei nemici, con la loro
mutevolezza e la loro capacità di rimescolare linformazione genetica,
i virus sono stati anche uno dei motori dellevoluzione. Noi siamo oggi
portatori scrive Arnold J. Levine, biologo molecolare della Pricenton
University e trasmettiamo di generazione in generazione, integrate nei
nostri cromosomi, vestigia di retrovirus che sono forse in grado di esercitare
un continuo effetto sulla selezione e la sopravvivenza della nostra specie.
Alla faccia dellautarchia del gene egoista, i virus
fossili confermano lorigine comune di tutte le creature - più che
una stessa forma addirittura una stessa sostanza - e lenorme importanza
dellinterazione fra organismi, perfino fra quelli più ferocemente
in competizione fra di loro come esseri umani e virus patogeni. Come conclude
Levine: Questa particolarissima forma di relazione fra ospite e parassita
continuerà a fare degli esseri umani - e di tutte le altre forme
di vita sulla Terra - ciò che esse sono oggi e ciò che saranno
domani.
Bibliografia
- Gregory Bateson, Verso un'ecologia della mente, Milano,
Adelphi, 1972.
- Gregory Bateson, Mente e natura, Milano, Adelphi, 1984.
- James Lovelock, Gaia. Nuove idee nellecologia, Torino,
Boringhieri, 1981
- Jon Elster, Uva acerba. Versioni Non ortodosse della
razionalità, Milano, Feltrinelli, 1989.
- Emilio Garroni, Estetica ed epistemologia, Roma, Bulzoni,
1976.
- William I.Thompson, Ecologia e autonomia (1987) Milano,
Feltrinelli, 1988.
- Robert Pollack, I segni della vita. Il significato
del DNA, Toorino, Bollati Boringhieri, 1995
- Arnold J. Levine, Virus, Bologna, Zanichelli, 1994.