Rifondazione mensile di politica e cultura 
Maggio 1998 

IL FATTO

SORVEGLIARE, PUNIRE... E GUADAGNARE di Simonetta Cossu

Negli Usa il carcere privato ha una lunga storia. Oggi conosce un rilancio grazie alla crescita della popolazione carceraria e ai profitti che consente.
Fu Dostoevsky a sostenere che, "la qualità della società si misura dalla qualità delle sue prigioni". Una sintesi analogica che oggi più che mai dovrebbe essere tenuta in considerazione se si vuole capire in che direzione muove la società contemporanea. E sicuramente a questo riguardo quanto sta accadendo negli Stati Uniti d'America rappresenta uno dei segnali più inquietanti del nostro secolo.
Il sistema carcerario e giudiziario statunitense è probabilmente uno dei più limpidi esempi dei meccanismi attraverso i quali il potere dominante esercita un controllo fisico e psicologico, sopra milioni di persone. Attualmente negli Stati Uniti ci sono quasi due milioni di detenuti e recenti statistiche affermano che il numero è destinato a crescere (con le attuali tendenze 1 americano ogni 20 finirà in carcere); nei bilanci la spesa per costruire nuove prigioni è di gran lunga superiore a quella dedicata alla costruzioni di nuove università. Secondo uno studio del Justice Policy Institute dal 1987 al 1995 la spesa pubblica per nuovi istituti di pena è cresciuta del 30 per cento, mentre la spesa per l’educazione superiore è diminuita del 18 per cento. Attorno a questa tendenza negli ultimi anni si è sviluppato un enorme business che ha subito una vera e propria accelerazione in conseguenza della decisione di molti stati di trasferire la gestione carceraria in mano ai privati. Una privatizzazione che alimenta uno sfruttamento sociale ed economico di uomini e donne che già privati della libertà, sono obbligati a lavorare per le grandi multinazionali, pagati con stipendi ben al di sotto dei minimi salariali, privati di diritti ma caricati doveri. 
Carceri per profitto
L'incarcerazione di esseri umani è sicuramente uno dei compiti più controversi e meno gradevoli, indipendentemente dal regime che lo applica. La decisione di privatizzare il sistema ha comportato la necessità di porsi alcune domande, che vanno oltre a quelle più specifiche legate al concetto di detenzione e punizione erogata dallo Stato. E' infatti opinione comune che la restrizione della libertà individuale, la criminalizzazione e la punizione di certi comportamenti e persino l'ipotesi di togliere la vita in conseguenza di questi ultimi siano parte di un processo decisionale che non può essere delegato a terzi dallo Stato. Gli argomenti a sostegno di questo principio sono di origine etica, legale e di convenienza. Ma oggi queste ragioni vengono messe in discussione da un sempre più ampio gruppo di interessi particolari, che perseguono non tanto il principio di una migliore erogazione della giustizia, quanto puri e semplici interessi economici. 
La privatizzazione delle carceri negli Stati Uniti non è una novità del XX secolo. Prima dell'abolizione della schiavitù non esisteva negli Usa un vero e proprio sistema penitenziario. Chi violava le leggi, non scritte, veniva punito con torture o pene corporali. Il concetto di carcere nasce infatti in Europa, in Francia e in Gran Bretagna, quando davanti alle crescenti critiche e proteste contro le punizioni pubbliche considerate unici deterrenti contro i crimini, si generalizzò la procedura di isolare e detenere in luoghi appositi chi violava la legge. La detenzione divenne quindi una pena. Negli Stati Uniti fu solo dopo la guerra civile e con la promulgazione della costituzione che questo sistema divenne necessario. Nella Carta costituzionale veniva abolita la schiavitù, ma si stabiliva una forma di punizione-detenzione per i colpevoli di crimini più o meno gravi.
La prima prigione venne costruita nel 1817 a Auburn nello stato di New York. Il detenuto era in pratica uno schiavo, la cui forza lavoro era a disposizione dello Stato, ma non solo. Frequente era il caso in cui i carcerati venivano messi all'asta. Una volta "venduti" stava all'impresario assicurare loro un alloggio e il cibo. Allora come oggi, le prigioni ospitavano in gran parte afroamericani: liberi dalla schiavitù, erano "tenuti sotto controllo" dal sistema carcerario. La nascita di istituti di detenzione in tutto il paese provocò la protesta tanto dei primi sindacati che del padronato: l'utilizzo di forza lavoro gratuita veniva visto come un atto di "ingiusta competizione". Ma non fu questo a promuovere la riforma del sistema, una serie di inchieste e di indagini promosse dal Congresso rivelarono una realtà di orrori che provocò l'indignazione dell'opinione pubblica. Sotto pressione il governo avviò la riforma. Una riforma lenta e che si realizzò in tutti gli stati solo nel 1930 con l'abolizione del "sistema di affitto" e assegnò per legge la gestione delle carceri al governo federale.
La dura lezione del passato non è servita. Alla fine del XX secolo infatti l'imperante ideologia del libero mercato ha preso il sopravvento e le carceri sono tornate ad essere l'obbiettivo di interessi economici privati. Il nuovo processo di privatizzazione ha avuto inizio negli anni ‘80 quando tre tendenze si trovarono a convergere: gli imperativi ideologici imposti dalla competizione, un incremento nel numero dei detenuti e il concomitante aumento dei costi di mantenimento del sistema penitenziario. Erano gli anni di Reagan, in cui la superiorità dell'impresa privata rispetto a quella pubblica veniva professata a piena voce da economisti e politici.
Più prigioni, più soldi
La spinta privatistica combaciò con una severa crisi sociale ed economica, a cui il governo centrale rispose con leggi più severe e rigide. Le nuove legislazioni anti-crimine, come il mandatory minimum sentence, pena minima obbligatoria, o norme che restringono la possibilità di riduzione della pena, hanno portato gli Stati Uniti tra gli anni 80 e primi 90 a triplicare la popolazione carceraria. Un aumento non giustificato da un incremento della criminalità, anzi tra il 1975 e il 1985 questa aveva fatto registrare una diminuzione pari all'1,42 per cento. La prima conseguenza è stata un incremento delle spese statali per la detenzione. La California, lo stato americano con il più grande sistema penitenziario alla fine degli anni 80 presentava un bilancio per le carceri di 2,1 miliardi di dollari. 
Secondo le stime più recenti il bilancio di gestione del sistema carcerario statunitense si aggira sui 20 miliardi di dollari all'anno. Ogni anno si spendono circa 6 miliardi di dollari per costruire nuove celle solo per "ospitare" i nuovi arrivi. Cifre che non risolvono i problemi di sovraffollamento già preesistenti. 
Il settore pubblico carcerario da lavoro a più di 50 mila guardie, e a migliaia di impiegati, amministratori, assistenti sanitari, personale di servizio. Nelle comunità rurali dove le opportunità di lavoro sono scarse, un carcere può rappresentare un importante incentivo economico capace di assicurare lavoro stabile ed entrate regolari.
Attorno agli istituti di pena ruota inoltre un enorme produzione indotta: da chi produce tute carcerarie, al filo spinato, a chi fornisce trattamenti anti-droga a servizi di sanità. In pratica la gestione totale di un carcere da parte di un privato ha rappresentato solo l'ultimo passaggio di una privatizzazione che è andata gradualmente espandendosi.
L'industria
La struttura industriale privata nel settore carceri ha una caratteristica oligopolistica: sono infatti due le dominatrici del mercato, il resto è diviso tra a una miriade di piccole società. Le due "regine" sono la Correctional Corporation of America (Cca) e la Wackenhut Corrections Corporation. Insieme controllano oltre la metà delle operazioni e gestiscono una trentina di carceri di minima e media sicurezza. Il resto del mercato è nelle mani di piccole compagnie con interessi legati alle realtà locali. Il nuovo boom privatistico ha dato vita a tutta una serie di speculatori pronti a trarre un rapido profitto dal traffico di detenuti. Rispetto ai due giganti dell’industria, queste piccole società di norma sono gestite da veri e propri sfruttatori che vendono per il solo profitto carceri sotto forma di sviluppo economico a piccole comunità rurali costantemente alla ricerca di mezzi e metodi per ridurre i bilanci locali. Il loro slogan è semplice: le prigioni sono sovraffollate, costruite un carcere e i detenuti verranno a voi! Ci guadagnerete in posti di lavoro e aumenterete le entrate fiscali. La realtà è molto diversa. I lacci delle leggi non rendono sempre questa equazione funzionale, e spesso carceri costruite e gestite in questo modo sono andate fallite, facendo pagare costi elevati alla comunità.
La Wackenhut, fondata nel 1954 da George Wackenhut, un ex funzionario dello Fbi, è stata storicamente la prima a occuparsi di carceri. Considerata la più grande e la più nota, è anche quella che più delle altre ha diversificato i suoi investimenti: la gestione e costruzione di istituti di pena è solo uno dei servizi che la società offre. La Wackenhut è leader anche nei sistemi di sicurezza per aeroporti, centrali nucleari ed impianti energetici. Nata come una piccola compagnia di guardie private, oggi la Wackenhut registra utili sopra ai 700 milioni di dollari. Attualmente amministra all’incirca 5,500 detenuti in 11 carceri in 5 stati. Ma i suoi interessi non si fermano ai confini degli Stati Uniti, infatti la Wackenhut gestisce due istituti di media sicurezza in Australia e sta sviluppando relazioni in Sud America, Europa e Asia. Se fino ad oggi le carceri non hanno rappresentato il nucleo centrale delle sue operazioni, la direzione ha recentemente espresso l’intenzione per il futuro di dare priorità a questo settore.
La Correctional Corporation of America è sul mercato da molto meno tempo e non può definirsi un impero al pari della Wackenhut, ma è considerata la pioniera nella costruzione e nell’amministrazione degli istituti di pena privati, che rappresentano il suo unico campo di operazioni. Fondata nel 1983 dagli stessi uomini che sono dietro all’impero del Kentucky Fried Chicken (la catena di fast food che vende pollo fritto), la Cca ha saputo conquistarsi una larga fetta del mercato grazie alle capacità e conoscenze politiche di due dei suoi fondatori: un abile banchiere di Nashville, Doctor R. Crants, e l’ex presidente del partito Repubblicano in Tennessee Tom Beasley. Oggi è il leader nel settore carcere, gestendo più di 21 istituti di pena con oltre 6000 detenuti negli Usa. La Cca ha inoltre contratti in Gran Bretagna ed in Australia. Quotata alla borsa di Wall Street è stata recentemente qualificata come la quinta società per utili sul mercato newyorkese. 
I contrasti del sistema privatistico
Secondo recenti statistiche nei prossimi 5 anni la percentuale del mercato della detenzione in mani private negli Usa crescerà più del doppio. Se si mette da parte momentaneamente la questione morale di delega di una funzione che eticamente spetta allo stato, due sono le aree che più preoccupano: l’efficienza e la responsabilità. Per quanto riguarda la prima c’è da porsi la domanda se è possibile lasciare ai privati la gestione più vantaggiosa economicamente di istituti di pena senza sacrificare "qualità" nel servizio. Per quanto attiene alla responsabilità esiste un "problema" di controllo, e cioè quali meccanismi esistono per determinare se gli interessi della società siano posti prima di quelli delle compagnie che amministrano il sistema. 
Risposte difficili da dare vista la mancanza di ricerche che mettano a confronto sistema privato e sistema pubblico. Ma qualcosa sta emergendo come il fatto che almeno negli Stati Uniti, i gestori privati non sono in grado di fornire un servizio meno oneroso senza sacrificare elementi di "qualità". Infatti se per "efficienza" si intende la capacità di albergare dei corpi ad un prezzo competitivo rispettando solo i livelli minimi di sussistenza, allora il sistema funziona. Ma se l’incarcerazione di un individuo implica anche la possibilità di recupero o almeno ridurre la recidività al crimine, il sistema privato messo a confronto con il pubblico ha un problema non indifferente: uno smaccato conflitto di interesse. Infatti "rieducare" un detenuto significherebbe per questi gestori eliminare clienti per il futuro. Non è quindi negli interessi materiali di queste società produrre carcerati che hanno pagato il loro debito, ma uomini che continueranno a pagare. 
Per quanto riguarda la responsabilità, esiste un vero e proprio problema legislativo. In base alle leggi federali degli Stati Uniti, gli stati devono sottostare a delle norme costituzionali che non sono applicabili ad entità private. Con un Congresso e un sistema giudiziario che tende a limitare sempre più le garanzie per gli accusati, il futuro condannato si trova in un limbo dove in caso di violazione dei suoi diritti nessuno è considerato imputabile di quella violazione. Esiste poi un problema di sicurezza nei confronti della società civile. Valga per tutti un reale fatto di cronaca accaduto poco tempo fa in Texas e che ha messo in chiara evidenza di che tipi di problemi stiamo parlando. La polizia di Huston venne informata della fuga di due uomini dall’istituto privato di pena vicino al capoluogo. Il centro era noto alle autorità per essere uno degli istituti in cui venivano "posteggiati" gli immigrati clandestini in attesa di rimpatrio. Ma i due evasi non erano clandestini, ma due detenuti che facevano parte di un gruppo di 240 uomini provenienti dall’Oregon tutti accusati di violenze sessuali e di cui le autorità locali ignoravano la presenza in zona. Alle proteste dell’amministrazione cittadina la portavoce della compagnia, la Cca, replicò asserendo che la società non era tenuta legalmente a comunicare alla polizia l’arrivo di detenuti provenienti da un altro stato e che d’altro canto non era loro compito cercare di catturarli. Una operazione che si rivelò molto più facile, in confronto al tentativo di processarli. Infatti quando la polizia rintracciò i detenuti scoprì che non poteva arrestarli, così come non lo è qualcuno che lascia il proprio lavoro. Non era infatti considerato un crimine nello stato del Texas l’evasione da un carcere privato. Fu possibile arrestarli solo perché durante l’evasione i due uomini rubarono una vettura, e quindi erano perseguibili per furto. Il Texas ha provveduto a modificare la propria legge. 
Soldi o Giustizia?
Uno dei fenomeni emergenti che si sta sviluppando negli Stati Uniti è la nascita di una "lobby delle prigioni": gruppi di interesse il cui punto di riferimento non è il miglioramento della società nel suo insieme, bensì la crescita dei profitti. E così che leggi che riguardano nuove procedure giudiziarie, o nuove regole per la libertà provvisoria, o nuovi stanziamenti di bilancio in materia di detenzione, dove gli interessi degli operatori privati sono direttamente coinvolti, rischiano di essere pesantemente influenzate e piegate verso scopi che nulla hanno a che vedere con il temine di Giustizia.
Esiste poi il pericolo di una vera e propria manipolazione delle paure della pubblica opinione. A differenza di altri campi di interesse pubblico, le politiche in materia giuridica penale sono, negli Usa ma non solo, determinate più che da una analisi reale dei dati sulla criminalità, dalla percezione che si ha di questa. Chiunque negli Stati Uniti negli ultimi 20 anni si sia presentato per una carica elettiva, ha sempre cavalcato il tema della criminalità, mai affrontandolo come un problema da capire, ma sempre come una delle minacce alla società; questo nonostante il fatto che gli indici di criminalità negli Stati Uniti siano rimasti invariati. Chi ha cercato di sfuggire a questa logica è stato inesorabilmente sconfitto. Basti per tutti l'ultima campagna elettorale per il governatorato nello stato di New York, dove Mario Cuomo governatore uscente, rispettato e temuto, ha perso la sua terza rielezione su un unico tema: la sua opposizione alla pena di morte.
Se tutto questo non bastasse a riportarci indietro nel tempo, le prigioni, sia pubbliche che private, negli Stati Uniti si stanno rivelando vere e proprie miniere di forza lavoro. Impossibile espandere a questo punto la discussione ma basta ricordare quanto sta accadendo in California dopo che un referendum del 1990, ha introdotto una nuova normativa, nota come proposition 139. In base alla nuova legge le imprese private possono utilizzare a scopo di profitto il lavoro dei detenuti. Manufatti che prima erano prodotti all’esterno, vengono oggi lavorati dai carcerati che ricevono una paga pari il 20 per cento del salario minimo, a cui è impedito di aderire ai sindacati o di godere dei più elementari diritti riconosciuti a ogni lavoratore americano. La legge inoltre ha fatto decadere il principio in base al quale il lavoro in carcere dovrebbe essere volontario, facendo passare invece quello che sancisce il dovere del detenuto a lavorare per pagare la sua carcerazione. 

Box
Nel 1983 al 1996 i posti letto nelle prigioni private sono passati da 350 a 87,072, un aumento pari al 48 per cento. Le previsioni sono per 350-400 mila entro il 2006, pari al 15-16 per cento ogni anno. Cresce anche il rapporto tra detenuti e popolazione: nel 1983 ogni 100 mila abitanti 212 erano in carcere, nel 1995 questo numero è salito a 600, il che significa che 1 americano ogni 167 è detenuto.

 
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