Rifondazione mensile di politica e cultura 
Giugno 1998 

PENSIERO STUPENDO

PIOVONO FOTO di Roberto Pisoni

Agenzie che dominano un mercato alla rincorsa della stampa quotidiana  e difficoltà a scovare una realtà che non si vede. Prosegue l’inchiesta sulla produzione di cultura.
Per la sua complessa articolazione e per la crescita disordinata e improvvisa di cui  è stato protagonista negli ultimi dieci anni l'arcipelago del mercato fotografico nazionale è di difficile decifrazione. Limitando il campo di indagine al fotogiornalismo, fratello minore di settori dai guadagni vorticosi (moda e pubblicità), la dignità e il prestigio culturale che si è guadagnato a fatica e in ritardo rispetto agli Stati Uniti o alla Francia sembrano minati da una produzione che è diventata forsennata. A partire dagli anni 80 il fotogiornalismo italiano, come quello internazionale, ha subito una profonda trasformazione travolto dalla febbre dell'attualità spettacolare, con reportage costruiti su misura per il consumo del mercato più che per bisogno di documentare e interpretare gli avvenimenti. Si è verificato anche un robusto strappo tra fotografi e giornali: i primi hanno abbandonato in gran parte le redazioni per approdare alle agenzie di stampa, più redditizie e meno vincolanti, i secondi hanno rinunciato a costruirsi un'identità riconoscibile, attraverso uno sguardo fortemente caratterizzato, demandando il compito di selezione del materiale fotografico a degli esperti di grafica. Se negli anni 70 il direttore del giornale era spesso a contatto strettissimo con il picture-editor, ora la scelta delle foto è spesso risolta consultando cataloghi seriali e preparati in studio. Le due tendenze che dominano il mercato sono la caccia allo scoop spettacolare e gridato (fortune e disgrazie delle celebrità) e il genere delle news che impone ritmi capaci di incalzare da presso la televisione. L'introduzione delle linee telefoniche speciali della Telecom, denominate Isdn, permette il trasferimento delle immagini ad una velocità quadrupla rispetto ai metodi tradizionali. La quantità di foto che ogni giorno arriva on line o sui tavoli delle redazioni di quotidiani, settimanali o periodici è spaventosa e la produzione esorbitante non è affatto sinonimo di qualità. "Nel giro di pochi anni il mondo dei giornali e dei libri sarà sommerso da orribili belle foto" ebbe a dire più di vent'anni fa il grande fotografo francese Henri Cartier-Bresson. Un classico esempio di profezia realizzata.
Rare ma notevoli eccezioni sono costituite da alcuni fotoreporter che, da puri free-lance o con il supporto di un'agenzia fotografica, battono un terreno più difficile. Intraprendono progetti di lunga durata per realizzare una serie di reportage sullo stesso tema. Il giornale in questo caso resta solo una delle sedi di diffusione del materiale fotografico, che viene raccolto in volumi o ospitato in mostre, percepito come un prezioso documento su cui tornare a riflettere. Diventa, nei casi migliori, custode del tempo e della memoria. 
L'Esplosione delle agenzie
Le agenzie di stampa sono le assolute dominatrici del mercato dei quotidiani per i loro prezzi concorrenziali e per la tempestività con cui riescono a garantire la copertura di un avvenimento. L'Ansa e le agenzie internazionali Associated Press e Reuter, vero gigante dell'informazione globale, forniscono immagini via computer in tempo reale alla stampa quotidiana e periodica che non salda le singole foto ma è legata a tali fonti di approvvigionamento continuo tramite forme di abbonamento. Le foto sono prodotte nella stragrande maggioranza dei casi da corrispondenti delle agenzie, dipendenti o esterni, che ricevono compensi molto contenuti, e sono ugualmente a disposizione - senza diritti di prelazione - di chiunque le voglia utilizzare. Non è infrequente quindi trovare la stessa immagine, a commento di un avvenimento, su quasi tutti i giornali, sia nazionali che internazionali, con una sgradevole sensazione di omologazione e di deja-vu.
Le agenzie di archivio e di distribuzione, che si rivolgono al mercato dei settimanali, dei periodici, dell'editoria e delle agenzie pubblicitarie, sono sorte offrendo ai fotografi di gestire i loro archivi di materiale già utilizzato o rimasto invenduto. Consolidatesi nel corso degli anni rappresentano un fenomeno in continua espansione e hanno raggiunto quote di mercato considerevoli.
Il meccanismo è semplice: l'agenzia riceve in deposito le immagini dai fotografi, le cataloga, le archivia in cataloghi cartacei o su cd, le manda in visione alle redazioni, le vende e provvede a riscuotere la cifra pattuita. Quando i giornali richiedono determinate immagini il personale di agenzia fa una ricerca e invia loro in visione una selezione di fotografie che dovrebbero corrispondere ai desiderata. Per quelle che vengono scelte sono ceduti i diritti di riproduzione per l'uso dichiarato dal cliente, che si impegna a restituire gli originali dopo l'utilizzo; l'immagine rimane comunque di proprietà del fotografo. In genere le tariffe per acquisire i diritti di una foto oscillano da un prezzo base di 214 mila a un massimo di un milione in relazione alla sua collocazione all'interno del giornale e alla richiesta di un'esclusiva. Più difficile stabilire il prezzo medio di un servizio completo su un tema, un luogo o un personaggio. La sensazione è che non esista, a differenza di altri settori dell'attività fotografica, un valore commerciale assoluto: oltre che per la singola foto o al forfait per il servizio, il calcolo del compenso può essere calcolato a borderò, cioè a seconda dello sviluppo del servizio sulle pagine della rivista o per la tiratura. La commissione dell'agenzia sul venduto varia tra il 30 e il 50 per cento in base alla qualità e alla fama del fotoreporter. Per essere rappresentato da un agenzia un fotografo deve avere un book di almeno un migliaio di foto o una decina di servizi. In alcuni casi poi l'agenzia esige l'esclusiva, totale o per settori, per l'Italia e per il mondo.
Le agenzie fotografiche italiane sono circa una quarantina e hanno quasi tutte sede a Milano, ma quelle che possono vantare una forte presenza sul mercato sono tre o quattro: Contrasto, Grazia Neri, Olympia e, molto più indietro, Marka. Soprattutto le prime due, grazie all'acquisizione dei diritti esclusivi per la distribuzione degli archivi di prestigiose agenzie europee e americane, e a un impegno anche nella produzione italiana di qualità, operano come dei veri e propri network e riescono a coprire tutto, dal reportage all'attualità, dal paesaggio al tempo libero, dalla politica al lavoro. Grazia Neri detiene il primato nella distribuzione (non ci è possibile entrare nel dettaglio perché, alla nostra richiesta di una descrizione delle attività dell'agenzia ci è stato suggerito di consultare un una rivista specializzata; la malasorte ha voluto che uscisse in ritardo rispetto ai nostri tempi di chiusura) mentre più vivace e continuo è l'impegno della Contrasto nella produzione soprattutto di reportage. "Non ho dubbi ad affermare – ci dice Renata Ferri, responsabile della sede romana - che la nostra agenzia è quella che in Italia reinveste di più nella produzione. Molti dei fotografi che collaborano con noi - venticinque in tutto - si dedicano a progetti di grande respiro: Francesco Zizola sui bambini, Biasucci sui vulcani, Pesaresi sulle metropolitane del mondo, e Massimo Siragusa sui fanatismi religiosi per fare degli esempi. Non ci interessa lavorare soltanto come service della stampa, vorremmo stimolare i giornali e le istituzioni a una maggiore collaborazione, è un momento positivo per la promozione del fotogiornalismo come prodotto d'alta cultura". Questa agenzia, nata negli anni 80 e diretta del fotografo Roberto Koch, ha vissuto una crescita vertiginosa che l'ha trasformata in una struttura eclettica, impegnata anche nell'organizzazione di mostre, pubblicazione di volumi e presentazione di eventi in collaborazioni con istituzioni private e pubbliche anche internazionali. Rappresentante di agenzie collegate del rango della londinese Katz, dell'americana Saba e della parigina Réa, Contrasto si è guadagnata un partner di grande prestigio nel 1992, assicurandosi l'esclusiva italiana dell'archivio Magnum Photos (l'agenzia di Capa, Cartier-Bresson, Salgado e Scianna). 
L'agenzia Olympia Fotocronache, attiva dal '58 e originariamente specializzata nel settore sportivo, lavora moltissimo sui servizi di politica, mondanità e attualità (soprattutto dopo la joint venture con la Reuter). Oltre ad avere lo storico archivio Publifoto rappresenta la Sipa Press, il Sun, la Big Usa e l'Ansa. "Ci avvaliamo del supporto di 4 fotoreporter interni di collaudata esperienza, - racconta il direttore Wilfredo Chiarini - Canio Rovagnello è il nostro specialista di spettacolo e finanza e Cesare Galimberti un'autorità nello sport. Vendiamo in esclusiva ai giornali di cronaca rosa o di nera. Un servizio tempestivo su un tema o un personaggio che tira può valere dai sei ai quaranta milioni e più".
Le altre agenzie, Marka compresa, lavorano soprattutto con immagini di archivio e di stock. Quando hanno dimensioni tali da non poter concorrere con i giganti, cercano di specializzarsi e di ricavarsi una piccola nicchia di diffusione. E' il caso dell'agenzia Excalibur, che ha curato un archivio cospicuo di foto di animali domestici, o della Effigie, che punta sui personaggi del mondo dell'arte e della letteratura.
Diversi ma uguali
Le redazioni dei giornali non sembrano preoccuparsi troppo del fatto che ormai si somigliano sempre di più, le agenzie di stampa e quelle fotografiche rendono superflui i fotografi interni e riducono spesso a meno di zero il lavoro redazionale di reperimento iconografico. Acquistare del materiale già preconfezionato è rapido e più economico che non inviare un fotoreporter in una qualsiasi parte del mondo. I quotidiani ricevono, ventiquattrore su ventiquattro, materiale preselezionato dalle agenzie e non hanno bisogno d'altro che della foto-notizia. Fabio Ferrari responsabile del fotografico dell'Unità :"Non ci servono esclusive quanto saper armonizzare la fotografia ai testi e alle scelte grafiche del giornale. Non commissioniamo mai servizi ma accettiamo ogni tanto proposte dai free-lance che collaborano da sempre con il giornale". Panorama, che, come tutti i settimanali tradizionali, ha risentito non poco della selvaggia concorrenza del proliferare degli inserti, oltre che con le agenzie, lavora con fotografi di redazione e ha un ricco centro di documentazione attuale a cui attingere. "Mauro Galligani il nostro art director - spiega la sua collaboratrice Paola Villa - sta cercando di dare un'identità al giornale che non può prescindere dallo stile dalle immagini che pubblica". 
Una nuova dinamicità al mercato hanno dato i nuovi inserti dei quotidiani, finanziati dalla pubblicità, soprattutto Lo specchio della Stampa, Io donna del Corriere della sera, D di Repubblica, gli inserti di viaggio che hanno incrementato le richieste di servizi raffinati, reportage di alto profilo e dossier fotografici. Ma anche qui si pesca a colpo sicuro dalle agenzie e si producono poche idee autonomamente. Il Venerdì ha optato per una soluzione mista: "Il 50 per cento dei servizi li prepariamo con i nostri fotografi, o li affidiamo a fotografi dell'Agf, che lavorano in collaborazione con un giornalista. I personaggi di cui parliamo devono essere colti nel loro ambiente, devono muoversi nel loro spazio. Siamo tra i pochi a non lavorare con del materiale già fatto. Per un 45 per cento compriamo foto dalle agenzie italiane e per un 5 per cento dall'estero. Talvolta abbiamo dei free-lance di fiducia nel mondo e se propongono un tema che ci interessa non abbiamo difficoltà a lavorare insieme ad un progetto. Come è accaduto con Adrian Arbib, che segue da vicino la questione ambientale". Rimane il fatto che quasi sempre la grafica sembra dettare le condizioni di scelta dell'apparato fotografico. Prevale il gusto della saturazione della pagina, attraverso la miriade di figurine o delle immagini esplicative, tanto che resta faticoso distinguere quando si passa da un servizio all'inserzione pubblicitaria.
L'atto di vedere
Non è facile la vita dei fotoreporter che non si lasciano piegare alle resistibili tentazioni delle immaginette votive o osano uno sguardo diverso, che hanno voglia di raccontare più che di rappresentare asetticamente. "Le agenzie di stampa massacrano i free-lance, arrivano prima ovunque e diffondono le foto su scala globale". Gabriella Mercadini, storica collaboratrice di molti giornali della sinistra, lamenta la progressiva resa al modello dominante dell'informazione isterica: "Non dico che mi aspetto di trovare oggi una rivista come Il Mondo di Pannunzio, ma l'ignoranza che domina nelle redazioni è avvilente, foto tagliate male, virate non si sa per quale motivo. Ho proposto di recente un servizio sulla chiusura dell'Arsenale di Venezia, non interessava nessuno, sono riuscita a venderlo solo dopo grandi fatiche. Ormai lavoro soprattutto con l'archivio. Se dovessi cominciare adesso a fare foto, mi sceglierei un altro mestiere". Francesco Zizola, vincitore nel 1997 del World Press Photo, premio per la migliore foto dell'anno, avverte un certo dinamismo nel mercato, “Ci sono dei giornali che operano una ricerca di progettazione visuale ma la tendenza che è invalsa a partire dagli anni 80 è quella di competere a tutti i costi con il modello televisivo, cedendo a una disarmante superficialità di fondo. Se è vero che da un punto di vista tecnologico si è realizzato il villaggio globale, la stampa dovrebbe sentirsi sollevata dall'inseguire le news ed incoraggiare la riflessione e l'approccio meditato agli avvenimenti". Con l'agenzia Contrasto, Zizola è impegnato, dall'inizio degli anni 90, in un progetto chiamato Eredi del 2000, sullo stato dell'infanzia nel mondo. "C'è una generazione di giovani fotografi che ha imparato a pensare il proprio lavoro sulla lunga durata, con proposte che vanno al di là del semplice reportage e che tentano di indagare l'esistenza e la realtà degli uomini". 
"Sento parlare ovunque di civiltà dell'immagine, ma a me pare che ci sia una estrema povertà di immagini" provoca Tano D'Amico, free-lance fino al midollo, fotoreporter impegnato da sempre a restituire umanità e fiera dignità a chi ne è deprivato. "Questo rancore che serpeggia da un po’ di tempo nei confronti dei fotografi, siano i paparazzi di Diana, i quattro fotoreporter uccisi dalla folla in Somalia o quelli allontanati dagli squatters, è frutto di questa miseria. Le immagini dovrebbero servire a far diventare gli uomini uomini. Oggi la preoccupazione di doversi uniformare al mercato e il desiderio di tenere insieme ogni pubblico possibile producono immagini sterili. La fotografia non può essere semplice registrazione, se è neutra, distaccata, neutralizza qualsiasi tipo di pensiero. Tempo fa mi chiamò Tino Caruso che cercava, per un programma su Rai Tre, degli occhi di un bambino palestinese. Di tutto il materiale che aveva a disposizione, niente ritraeva i bambini palestinesi nella loro umanità. Gli mancavano gli occhi. La stampa di sinistra che dovrebbe immaginare un modo diverso di guardare le cose si è ormai uniformata al modello che dovrebbe combattere, i vinti si sono identificati con i vincitori. Lo sguardo è uno solo. Quello dei vincitori. Credo avesse ragione Ugo Mulas, il grande fotografo  italiano, quando diceva di temere che sempre meno occhi avrebbero visto per tutti".
 
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