Rifondazione mensile di politica e cultura 
Giugno 1998 

IL FATTO

DALLA PARTE DEI BAMBINI di Sofia Melchiorre

Il lavoro minorile aumenta, anche nel Nord del mondo. Non si tratta di un fenomeno arretrato ma della divisione internazionale del lavoro, degli aggiustamenti strutturali e dei tagli al welfare.
Si dice "siamo nell’epoca della globalizzazione": le multinazionali, cioè, spostano le loro produzioni da una nazione all’altra alla ricerca di profitti più alti e costi più bassi, i beni vengono prodotti con sempre meno lavoro, i lavoratori devono rendersi sempre più flessibili e mobili. Se in quest’epoca proviamo a tracciare l’identikit del perfetto lavoratore globalizzato, scopriamo che bambine e bambini riescono a rispondere ai requisiti richiesti.
I dati parlano chiaro: sono circa 250 milioni i bambini e le bambine che lavorano nei cinque continenti (queste sono le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro - Oil), l’aumento della loro presenza sul mercato del lavoro e la presenza di questo fenomeno nei paesi del Nord come nel Sud del mondo bastano per confutare molti dei pregiudizi più diffusi, che non permettono un approccio adeguato al lavoro minorile.
Innanzitutto la dimensione del fenomeno. Essendo un fenomeno in molti casi statisticamente ‘invisibile’, poiché la stragrande maggioranza dei paesi non compila delle statistiche su  questo argomento, si utilizzano delle stime, le più attendibili redatte da organizzazioni internazionali, quali l’Oil e l’Unicef parlano di 250 milioni di bambini e bambine che lavorano nel mondo. Si tratta quindi non di una realtà marginale all’interno del mercato del lavoro ma strutturale e perfettamente funzionale alle logiche del sistema produttivo mondiale.
Per comprendere a fondo la qualità di questo fenomeno è indispensabile, all’interno del dato generale, distinguere tra i circa 120 milioni di bambini e bambine tra i 5 ed i 15 anni per i quali il lavoro costituisce la principale ed esclusiva attività quotidiana,  e quei 130 milioni di piccoli lavoratori per i quali è invece possibile coniugare il lavoro con la frequenza scolastica.  Occorre poi è importante tener conto dei diversi tipi di lavoro praticato, dalle forme più estreme di sfruttamento, che mettono in serio pericolo lo sviluppo psico-fisico e sociale del bambino, fino al diffusissimo lavoro domestico e agricolo, praticato in ambito familiare. Tutte le esperienze realizzate in passato in questo campo hanno mostrato come è fondamentale concentrarsi inizialmente sull’eliminazione delle ‘forme estreme’ del lavoro minorile, su quelle forme che incidono talmente sullo sviluppo del bambino da non consentirgli in futuro alcuna possibilità di scelta. Appare quindi evidente, per chi intenda operare seriamente in questo campo, porre al primo posto tra i propri obiettivi l’assicurare a tutti i bambini una istruzione gratuita, accessibile, obbligatoria e di buona qualità.

"Lo sfruttamento del lavoro infantile è al tempo stesso conseguenza e causa della povertà… l’investimento in capitale umano sin dalla prima infanzia, tramite l’istruzione e la salute, garantisce a una società maggiori potenzialità di sviluppo economico e sociale" Così recitano le Conclusioni della Conferenza Internazionale sul lavoro infantile dell'ottobre 1997.
Il lavoro minorile è causato dalla povertà familiare, non dipende dalla ricchezza o dal grado di sviluppo delle nazioni, nel Regno Unito le stime più attendibili ritengono che a lavorare sia tra il 15per cento ed il 26per cento dei bambini di 11 anni e tra il 36per cento e il 66per cento di quelli di 15 (dati messi in luce dal Child labour in Britain, rapporto del Gruppo di lavoro internazionale sul Lavoro infantile del settembre 1995). In quest’ambito più che in altri risulta evidente che la redistribuzione della ricchezza all’interno delle classi sociali fa la differenza. Ma è anche esso stesso causa di povertà: un bambino che inizia a lavorare per tutto il giorno fin dai primi anni di vita sarà un adulto analfabeta, con una salute cagionevole, disoccupato o comunque sottoccupato e che non avrà la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita.
Aggiustamento strutturali a Sud e tagli al welfare a Nord
Il peso del debito estero, la sostanziale diminuzione dell’aiuto pubblico allo sviluppo, abbinati con i pesanti tagli ai servizi sociali, la contrazione della domanda interna di beni e servizi – conseguenze queste ultime dei Piani di aggiustamento strutturale (Pas) imposti ai Paesi del Sud del mondo dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale – stanno causando un impoverimento progressivo di ampie fasce della popolazione mondiale. Già dai primi anni Novanta l’Unicef aveva individuato il pericolo che i Pas rappresentavano per le condizioni di vita dei bambini e delle bambine. Per questo venne proposto il cosiddetto ‘aggiustamento dal volto umano’, sottolineando come ogni società che voglia ritenersi «capace di futuro» dovrebbe porre l’infanzia al centro delle proprie attenzioni.  Nonostante le numerose voci contrarie e di denuncia, i Pas continuano a condizionare la vita della maggior parte della popolazione mondiale.
Per quanto riguarda il Nord del mondo e lo stretto legame esistente tra istruzione e lavoro dei minori, non verrà mai abbastanza sottolineato il danno arrecato ai sistemi scolastici dai recenti tagli inferti loro, che hanno pesantemente inciso non soltanto sulla disponibilità del servizio, ma anche sulla qualità. Una scuola sempre meno qualificata è un ottimo incentivo ad entrare nel mondo del lavoro, il vecchio adagio «lavorando s’impara un mestiere» torna sempre più di moda.
Tutto questo sta causando, secondo alcune analisi,  l’aumento della presenza dei bambini sul mercato del lavoro. A fronte di una riduzione dei redditi familiari, dei servizi a loro favore, diviene fondamentale il contributo che bambini e bambine possono assicurare al bilancio domestico. Dunque non si tratta di un fenomeno residuale, la nostra idea preconcetta di miglioramento ci porterebbe a pensare che, come nell’esperienza storica dei primi paesi industrializzati, il lavoro minorile verrà con il tempo eliminato grazie al miglioramento delle condizioni di vita; ma tutto questo non si sta verificando, e stiamo invece assistendo a un aumento considerevole dell’impiego di manodopera infantile. Ed è importante sottolineare che, pur sulla base di stime frammentarie, è possibile sostenere che si sta verificando una recrudescenza di questo fenomeno anche nel Nord del mondo. In questo caso il lavoro minorile assume forme di precariato che non interferiscono con la frequenza scolastica, oppure di illegalità.
Le stime vengono redatte sulla base dei dati sull’abbandono scolastico o degli incidenti sul lavoro, o su controlli nei luoghi di lavoro. "Nel 1990, in una serie di retate avvenute nell’arco di tre giorni, il Ministero del Lavoro degli Stati Uniti ha scoperto più di 11.000 bambini occupati illegalmente"  dice il Rapporto Unicef sulla condizione dell’infanzia nel mondo del 1997. A questo va aggiunto che nella maggior parte dei paesi ricchi le forme più pericolose di lavoro minorile vengono svolte da minoranze etniche o da immigrati.
Quali clausole sociali?
Quello del lavoro minorile è dunque un fenomeno molto complesso, proporre delle soluzioni semplicistiche e a buon mercato è il modo migliore per vanificare lo sforzo che stanno compiendo organizzazioni non governative,  sindacati, organizzazioni internazionali per farlo diventare un ambito d’intervento prioritario. Appare quindi necessario un impegno a tutti i livelli, mettendo a frutto le esperienze e gli errori del passato. Comprendere ad esempio quanto sia insufficiente concentrare l’intervento sulla produzione per le esportazioni, nella quale viene coinvolto soltanto il 5per cento delle bambine e dei bambini che lavorano, oppure basandosi soltanto su clausole sociali negative, vere e proprie sanzioni commerciali allo studio presso l'Organizzazione Mondiale del Commercio,  rispetto alla quali sono state sollevate significative obiezioni per il ruolo discriminatorio che avrebbero nei confronti dei paesi del Sud del mondo. Ma bisogna evidenziare come ad un problema complesso è importante dare delle risposte adeguate: nel 1992 negli Stati Uniti il progetto di legge Harkin prevedeva di proibire l’importazione di prodotti realizzati da bambini sotto i quindici anni. La semplice minaccia della sua entrata in vigore  provocò il licenziamento dei minori lavoratori, in particolare ragazze, che in Bangladesh lavoravano nell’industria per l’abbigliamento (all’epoca il 60per cento dei suoi prodotti negli Stati Uniti). Un’indagine successiva sulle condizioni di vita di questi stessi lavoratori rivelò come la maggior parte di loro erano impiegati in condizioni più pericolose o addirittura coinvolti nella prostituzione. E’ un caso spesso citato, che aiuta però a comprendere come  sia importante, ad esempio, formulare programmi integrati che prevedano borse di studio o salari minimi per le famiglie povere per ottenere che i bambini lascino il lavoro e tornino a scuola, e che comunque qualsiasi intervento in questo settore deve prevedere una qualche forma di riabilitazione e reintegrazione sociale dei bambini e delle bambine che lavorano.
La stessa proposta di marchi di qualità sociale, dovrebbe essere formulata adeguatamente e prevedere il controllo non soltanto sulla presenza di lavoro minorile, ma anche assenza di sfruttamento del lavoro. Migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori, aumentandone le paghe e il rispetto dei diritti, per migliorare le condizioni di vita delle famiglie  torna così ad essere una obiettivo centrale anche della lotta al lavoro minorile.
E a quanti negano l’evidente concorrenzialità del lavoro minorile rispetto al lavoro adulto, basti ricordare che secondo un’indagine condotta sull’industria del cuoio al Cairo,  i datori di lavoro alla domanda su quale sarebbe stata la loro reazione se esistesse un’interdizione legale ed effettiva al lavoro dei bambini, il 72per cento ha risposto che continuerebbe a impiegarli, una percentuale pari al 78per cento ha affermato che continuerebbero a impiegare i bambini anche se i loro salari fossero al livello di quelli degli adulti. Alle soglie del duemila, se si cerca un lavoratore da impiegare in piccole imprese (che di solito lavorano in subappalto), o nel settore informale,  in produzioni a basso livello tecnologico e uso intenso di manodopera, se si vuole un lavoratore non sindacalizzato, ricattabile e a buon mercato, si sta parlando di un lavoratore bambino.

 
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