Rifondazione mensile di politica e cultura 
Giugno 1998 

DAL MONDO

NON PIU' AL SERVIZIO DI SUA MAESTA' di Pietro Gigli

Intervista a Robert Green pacifista ed ex alto ufficiale della marina britannica

Qual’è la definizione che farebbe di se stesso? Un dissenziente, un attivista anti-nucleare o un pacifista?
E’ una domanda difficile. Per molte ragioni vorrei credere di essere al “centro”, per ciò che riguarda molti pacifisti io sarei collocato sul versante militarista e avermi con loro rappresenta una nuova esperienza. Per quanto riguarda la mia posizione sull’eliminazione delle armi nucleari, penso di essere molto più radicale di tanti altri, anche se cerco di moderare questa mia posizione nel ricordo dei miei colleghi della Marina. Anche perché so che esiste molta preoccupazione tra i militari in Gran Bretagna sul ruolo delle armi nucleari.

Come è diventato un attivista anti-militare? E quando? Che cosa ha fatto scattare questo processo? Uno sguardo al di là dello steccato o una fredda analisi di come la stessa natura della guerra stia cambiando?
Senza dubbio è stato un processo graduale. Tutto è cominciato quando volavo per la Marina Britannica sugli elicotteri anti-sommergibili che avevano in dotazione bombe di profondità da usare contro l’ultimo tipo di sommergibile sovietico, troppo veloce per i nostri siluri. Prima di questo incarico, avevo ciecamente accettato di operare su bombardieri che dovevano sganciare bombe nucleari perché mi avevano detto che questo compito era vitale nell’assicurare l’estrema sicurezza del mio paese e il nostro modo di vivere. Tutto sembrava quadrare.
Ma con la bomba di profondità ho avuto una serie di problemi; qui non si trattava dell’ultima possibilità di difesa del mio paese ma si trattava invece solo della protezione del mio mezzo, facendo affidamento su di un’arma che era di gran lunga sproporzionata per il lavoro che doveva compiere, cioè quello di distruggere un solo sottomarino. Per sganciare la bomba di profondità c’erano due leve, una alta e una bassa; la bassa serviva per la bomba da 5 Kiloton, l’alta sicuramente per la bomba da più di 10 Kiloton. Non ci dissero mai la potenza della seconda bomba ma penso che potesse arrivare a 25 Kiloton. Hiroshima è stata distrutta da una bomba di 13 Kiloton. Si trattava quindi di usare degli ordigni di grande distruzione contro un solo sommergibile.
Il secondo problema riguardava la mia sopravvivenza: ero cosciente che in un elicottero che volava al massimo a circa 100 nodi non c’era alcuna possibilità di scappare prima che la bomba scoppiasse.
Inoltre ero cosciente che da una simile situazione poteva prendere il via la terza guerra mondiale. E tutto questo perchè chi lo avrebbe dovuto fare, non era stato capace di inventare siluri più veloci. A questo punto, per la prima volta, mi sono chiesto se i miei superiori erano persone veramente competenti e non ho potuto fare a meno di porre loro delle domande. Mi venne risposto che la bomba sarebbe stata sganciata solo in acque molto profonde e lontano dalla costa. Ma i dubbi rimanevano, e intanto venivo promosso forse proprio perché avevo manifestato troppi dubbi. Dal ‘79 all’80 lavoro al Ministero della Difesa con Mrs. Thatcher al potere, quando, nonostante grosse obiezioni, si rimpiazzano i vecchi Polaris con i Trident che rappresentano l’apoteosi del nucleare in una combinazione di testate, tecnologia missilistica e propulsione nucleare.

Durante la guerra delle Falkland lei che incarico ricopre?
Durante la guerra delle Falkland faccio parte dello staff che decide le operazioni belliche. Da quella posizione “privilegiata” posso affermare che è stata una guerra che per poco perdevamo.
All’epoca circolavano anche delle voci sulla presenza di un sottomarino Polaris che sarebbe stato piazzato per ogni evenienza davanti alle coste di Buenos Aires. Nell’81 (sono uno dei pochi che aveva risposto ad un’offerta, prima della guerra, di andare in congedo anticipatamente) mi viene permesso di lasciare la Marina. Dopo 20 anni di servizio, a 37 anni, avevo un profondo desiderio di fare qualcosa di diverso, di lavorare con le mie mani, all’aria aperta, e così per otto anni ho rifatto i tetti di paglia dei cottages inglesi. Poi nell’84 avviene qualcosa di terribile: mia zia Hilda viene assassinata. A quel tempo era in corso una pubblica inchiesta sul primo reattore ad acqua pressurizzata voluto da Mrs. Thatcher vicino a Sizewel. Hilda che era molto attiva nella campagna contro l’energia nucleare fu convinta a partecipare, come indipendente, a questa inchiesta, ma due o tre settimane prima fu rapita e tre giorni dopo venne ritrovato il suo corpo mutilato anche se la causa della morte è stato il freddo. Sono convinto, anche senza avere prove, che quanto è successo è legato al suo lavoro e al suo impegno e che l’industria nucleare sia coinvolta nella sua morte.

E’ stato per questo episodio che è passato definitivamente all’anti-nucleare?
Si, ero arrivato alla conclusione che l’industria nucleare aveva corrotto, la società civile e l’establishment. Dopo Chernobyl avevo chiaro in mente che dovevo pronunciarmi e continuare la battaglia che quasi sicuramente era costata la vita a mia zia. Decido perciò di partecipare a un’altra inchiesta sul funzionamento di un secondo reattore che si trovava vicino alla mia casa. In quell’occasione ho imparato molto sull’industria nucleare. Quello che ho scoperto non ha scrupoli e che è la più potente lobby che il mondo conosca.

Veniamo alla guerra del Golfo.
In quell’occasione si assiste non più a un’operazione di contenimento ma a un’azione punitiva. Il mondo occidentale aveva bisogno di un nuovo nemico. Si apriva così una nuova era per l’industria della armi che era entrata in crisi con la fine della guerra fredda. Nel gennaio del ‘91, sono stato il primo comandante che si sia rivolto a circa ventimila pacifisti che manifestavano contro la guerra del Golfo, parlando della Colonna di Nelson a Trafalgar Square: quello è stato l’inizio ufficiale della mia militanza tra le fila degli antinucleari, il giorno in cui ho deciso anche di far conoscere a tutti ciò che sapevo.

Secondo lei come sta cambiando nella società globale il concetto di guerra?
Oggi cercare di risolvere un conflitto con mezzi militari è diventato così costoso e tremendamente controproducente da renderle una opzione poco praticabile: se tu minacci di usare armi nucleari per affermare il tuo predominio nel mondo lo fai a spese della sicurezza degli altri paesi che ti attorniano oltre che a indurre quelli che ti si oppongono a fornirsi di quelle stesse armi.
Cercare di prevenire la guerra con le armi nucleari è una strategia ad altissimo rischio, con altre possibilità di incidenti e in ultima analisi soggetta a calcoli sbagliati.
Penso che la guerra moderna non sia più praticabile; consideriamo solo i danni che hanno provocato gli antidoti usati dai soldati della coalizione occidentale per prevenire gli effetti di un attacco chimico o biologico. L’ultima crisi irachena ha messo in luce drammaticamente il dilemma del conflitto moderno, dove l’alta tecnologia è padrona assoluta e dove grossa è la tentazione di “tirare” un missile cruise sul problema che si vuole risolvere e che invece rimane insoluto. Nel caso in cui devi affrontare una crisi in cui una persona e un gruppo sono in possesso di armi nucleari non puoi usare come risposta un’altra arma nucleare: questo è quanto i tuoi nemici vogliono. E’ vitale in questo caso, non possedere ordigni nucleare così da non trovarti in una situazione dove questi siano “potenzialmente” utili. Le armi nucleari devono essere demistificate, ogni paese che le possieda indulge di fatto al terrorismo di stato; questo è lo stigma con cui dobbiamo etichettare le armi nucleari. Quindi ti trovi a dover fronteggiare una terribile combinazione: ci sono potenze che potrebbero creare un nuovo ordine mondiale e poi le stesse si comportano in modo tanto irresponsabile. Che tipo di leadership abbiamo? Ci hanno lasciato con la giungla. In qualche modo noi dobbiamo plasmare un nuovo ordine morale basato sulla giustizia e così dare un senso all’espressione stessa. Oggi quello che esiste è un disordine totale e la chiave per rovesciare questa situazione, io credo sia riaffermare il principio della legge ed a questo mi dedico interamente.

L’arsenale nucleare rappresenta ancora un deterrente in un mondo dove il concetto di stato sta diventando obsoleto e dove gli stessi stati controllano sempre meno guerre?
Questa è l’altra faccia del mio modo di affrontare quello che io chiamo la dipendenza da armi nucleari. Io credo che la dottrina del nucleare come deterrente sia un mito. E’ stata propagandata molto intelligentemente ma la sua credibilità sta scemando. Certo, durante la guerra fredda, era più facile farla passare. Oggi non ci sono più scuse, non ci sono più nemici, questa è la difficoltà. Prendiamo il caso di Israele. Le armi nucleari che Israele possiede hanno forse impedito a Saddam Hussein di tiragli addosso i suoi scud? La fortuna è stata che Saddam non ha usato per gli scud testate chimiche. Affermare che l’arsenale nucleare di Israele rappresenta la sua garanzia di sicurezza è come fare autogol: quello che provoca di fatto è minare la sicurezza oltre a giustificare Saddam nella sua volontà di avere armi nucleari. Come militare di professione ripeto quanto detto da lord Mountbatten: “Non vedo come le armi nucleari possano avere un uso militare, inoltre sono una illusione in termini di garanzie della propria sicurezza, l’unica risposta è che devono essere messe al bando”.

Lei pensa che oggi il possesso di un ordigno nucleare sia alla portata di tutti?
Le potenze nucleari. Da un lato continuano a dire che la prolificazione nucleare mina la loro sicurezza, e perciò la soluzione consiste nel minacciare di usare armi nucleari contro ogni stato che tenti di fornirsi di bombe atomiche. L’insita contraddizione in questa risposta peggiora il problema e sicuramente non lo risolverà. L’unico risultato è che si crea una corsa alla proliferazione nucleare in tutti quegli stati che non devono rispondere a qualcuno, che non devono rendere conto all'opinione pubblica e precisamente quei paesi e quei gruppi con i quali il concetto di deterrenza non funziona. Quello di cui stiamo parlando è un talistamo che dà il potere, poichè oggi non puoi essere una grande nazione nel mondo se non hai armi nucleari. Credo che l’espressione “fondamentalisti nucleari” sia applicabile ai governi degli stati nucleari che fanno parte della Nato. Bisogna rompere questo muro di bugie formatosi negli anni delle quali le prime vittime sono gli stessi stati. Come rompere questo muro? Solo la legge ti permette di farlo e oggi ci sono i presupposti necessari, primo fra tutti il fatto che non siamo in guerra, che non ci sia un nemico dichiarato, poiché quando si è in guerra le leggi non si cambiano. 

Lei ha fiducia nella legge ma allo stesso tempo afferma che il potere politico l’ha soggiogata. Può chiarire questo punto?
Einstein disse: “La bomba atomica ha cambiato tutto, meno il nostro modo di pensare”. A chi chiese a Gandhi quale è stato l’effetto delle armi nucleari ebbe questa risposta: “Dobbimo ancora vedere quali sono i danni che esse hanno portato ai loro possessori”. Dobbiamo ritornare al rispetto della legge, è l’unica via che ha permesso alla civiltà di sopravvivere.

Può elaborare il concetto di una difesa giusta? Si tratta forse solo di una difesa non nucleare?
Ogni uso di armi che sono così indiscriminate è ingiusto e illegale. L’uso deve essere in accordo con la Convenzione di Ginevra e dell’Aia. Ci troviamo in un momento critico, dobbiamo arricchire il dibattito con nuovi concetti di difesa, tra l’altro già affiorati negli ultimi venti anni. Certo il Trattato che mette al bando le armi chimiche si muove in questa direzione. Per ciò che riguarda le armi nucleari, i sondaggi fatti l’anno scorso negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno mostrato che quasi il 90 per cento degli intervistati si è detto favorevole alla messa al bando delle armi nucleari. Come si può tradurre questa opinione unanime in azione concreta?

Lei ha più volte ribadito che stiamo camminando come sonnanbuli verso una nuova guerra fredda.
C’è un grande fermento nell’affermare nuove dottrine per giustificare il mantenimento delle armi nucleari. Rimane altissimo il rischio di un incidente. Non è stato ancora completamente smantellato tutto il dispositivo computerizzato di massima allerta, eredità della guerra fredda. Bisogna ripetere senza sosta che se non si controllano queste armi si rischia che in futuro non ci sia più nulla da discutere.

Cosa pensate di fare dopo il parere della Corte dell’Aia che però non è vincolante?
Hanno risposto al quesito postogli dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il verdetto ha dato ragione quasi totalmente alle nostre posizioni e ci ha dato il mandato morale per procedere rapidamente nel far pressione affinché si arrivi ad un trattato globale che metta al bando le armi nucleari.

Che peso ha, in questa nuova fase, la Nuova Zelanda?
Il fatto che la Nuova Zelanda sia l’unico Paese che abbia adottato una legislazione che ha fatto del suo territorio una zona libera dal nucleare, è di grande importanza. Quello di cui oggi c’è bisogno è che altri paesi adottino una legislazione analoga: tutto fa pensare che l’Irlanda potrebbe a breve termine seguirne l’esempio.

Che cosa rappresenta l’incontro di giugno di quest’anno a Roma? 
Alla Conferenza di Roma si dovrà decidere quale sarà lo statuto finale della nuova Corte Criminale Internazionale. Parte cruciale dello statuto è definire la natura di un crimine di guerra e di in crimine contro la l’umanità. Paesi come gli Stati Uniti hanno paura che la loro libertà di manovra venga in futuro limitata da questa Corte e sarebbero ben contenti che il progetto Icc naufragasse. Ripetono infatti che la natura delle armi nucleari è così potente da porre coloro che le hanno al di sopra della legge. Ci invitano come nel film “Dottor Stranamore” ad imparare a convivere con la bomba e ad amarla. Vorrei però concludere citando il Presidente della Corte Internazionale dell’Aia, giudice Bedjiaoui che ha definito le armi nucleari come il male che, per la sua stessa natura destabilizza le leggi dell’uomo.

 
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