Rifondazione mensile di politica e cultura 
Aprile 1998 
DOSSIER L'ORO BLU

UNA DIGA ALLE DIGHE di Sergio Trippodo

Perfino la Banca Mondiale ci ha ripensato. Ma questo non ha impedito alle opere faraoniche, disastrose sul piano ambientale e umano, di andare avanti.
di Sergio Trippodo
E' ormai un fatto assodato che le radicali alterazioni all'ambiente apportate dalle grandi dighe e dalle centrali idroelettriche producono, nel tempo, più svantaggi che benefici. Le Nazioni Unite, nel rapporto 1993 del Fondo per  la popolazione (Unfpa), avvertono dei pericoli del "degrado ad avvio lento.(....) Gli sforzi volti ad alleviare la povertà non devono porre lo sviluppo prima dell'ambiente. La pratica non ha successo e aumenta le probabilità di disastri futuri e di migrazioni massicce". Già, perché anche gli esseri umani fanno parte dell'ambiente e i reinsediamenti dovuti all'allagamento di vaste aree reca danni inestimabili e a volte imprevedibili. 
Già nel 1992 la Banca Mondiale (Bm), principale finanziatrice dei megaprogetti, sosteneva nel suo Rapporto sullo Sviluppo Mondiale che: "Molti problemi ambientali non possono essere risolti senza la partecipazione attiva delle popolazioni locali. Sono pochi i governi che possono sostenere i costi di progetti imposti  e che le popolazioni locali non accettano. (....) La comunità appoggerà soltanto quei programmi ambientali che riflettono le credenze, i valori e l'ideologia del luogo. (...) Una partecipazione comunitaria propriamente pianificata facilita la soluzione dei conflitti inerenti le decisioni di carattere ambientale. Quando si prepara un piano per importanti investimenti infrastrutturali, come le dighe o i servizi di irrigazione, ascoltare nelle primissime fasi la pubblica opinione e le organizzazioni non governative locali è una buona strada per evitare problemi in un secondo tempo. Se questo non viene fatto, l'opposizione della comunità aumenta e ritarda o blocca il progetto. (....) Una sfida particolarmente difficile per la soluzione dei conflitti è posta dai progetti per le dighe. (...) Nel prendere tali decisioni di investimento o, fino a poco tempo fa, nel pianificare i programmi di reinsediamento, è raro che siano stati presi in una qualche considerazione i punti di vista delle popolazioni locali". 
La marcia indietro della Banca Mondiale sembra, però, dettata più da ripensamenti sul rapporto costo/benefici che da considerazioni di carattere ambientalistico e umanitario. In un capitolo dello stesso rapporto, si parla degli effetti benefici della partecipazione in due nuovi progetti di grandi dighe idroelettriche in Thailandia e in Messico, ma si conclude che "i benefici nazionali delle dighe hanno significato poco per le 25.000 persone costrette a sfollare. Le nuove abitazioni e i rimborsi per i beni perduti non hanno compensato realmente le fattorie sommerse e le comunità sradicate. (...) In nessuno dei due casi la partecipazione ai piani di reinsediamento ha portato alla scomparsa dell'opposizione (...) e persistono gli scontri tra i costruttori e le organizzazioni anti-diga".

Una storia vecchia 

La diga di Assuan, in Egitto, venne costruita negli anni 60 con l'intenzione di fornire un'irrigazione perenne, creare nuovi terreni coltivabili, produrre ingenti quantità di energia elettrica. Ma poi sono intervenuti degli effetti indesiderati. Il limo, fertilizzante naturale del Nilo, sedimenta ormai sui fondali del lago artificiale Nasser. Adesso c'è bisogno di costosi e dannosi fertilizzanti chimici. La piena manteneva bassa la salinità delle terre coltivate, eliminava la corrosione della costa mediterranea e, raffreddando la temperatura marina al delta, evitava la risalita dei pesci predatori che hanno distrutto il patrimonio ittico fluviale. C'è sì energia elettrica, ma molte aree sono rimaste povere.
Ancora oggi, però,  le organizzazioni finanziarie internazionali continuano a finanziare con i soldi dei contribuenti i progetti delle superdighe. Perché si  manda avanti una politica perdente? Il motivo lo spiega Lori Udall, dell'istituto di ricerca Environmental Defense Fund (Edf), che coordina il fronte internazionale contro le grandi dighe sul fiume indiano Narmada : "Per motivi economici. La Banca Mondiale è interessata a far girare i soldi. Prestiti grandi per progetti grandi. I progetti piccoli, in genere più sostenibili ecologicamente e socialmente, sono difficili da gestire e controllare.
Inoltre, anche quando la Banca Mondiale e gli altri grandi istituti finanziari si ritirano, il meccanismo avviato non può arrestarsi per problemi di politica interna e di prestigio dei governi locali. Così, dopo varie defezioni degli investitori internazionali e nonostante le pressioni esercitate a livello mondiale dal Narmada Bachaò Andolan (il movimento ambientalista per la salvezza del Narmada), l'India ha deciso di autofinanziare una parte del megaprogetto con uno stanziamento di 170 milioni di dollari.  Allo stesso modo, la Cina popolare sta portando avanti il criticatissimo progetto della diga delle Tre Gole sullo Yangtze con i fondi della Banca di Stato per lo sviluppo. Si tratta di un istituto bancario, creato appositamente dal governo nel 1994 per far fronte alla fuga degli investitori, al quale il Moody's Investors Service, ha dato una classificazione alta (A3) perché ritiene che il governo cinese sia talmente identificato con il progetto da perdere la faccia se non riuscisse a portarlo a termine. 
E così è andata anche in passato, malgrado le previsioni negative. Dopo il boom delle dighe, iniziato in Cina nel 1950, a metà degli anni 60 Zhou Enlai aveva commentato: "Ho paura che abbiamo commesso uno sbaglio nell'utilizzare e accumulare acqua e nell'abbattere gli alberi di intere foreste per dare spazio alla coltivazione agricola. Ad alcuni errori si può porre rimedio in un giorno o in un anno, ma gli sbagli nella conservazione delle acque e nella deforestazione non possono essere recuperati per anni". E a quei tempi Zhou non poteva avere idea degli altri danni causati dall'impossibilità di sostenere i costi di manutenzione. Secondo i dati aggiornati al 1981, le dighe cinesi malconservate erano circa 86 mila , delle quali almeno 3.200 sono già crollate. Il fenomeno, però, è continuato anche negli anni successivi. La diga Gouhou sul Fiume Giallo, per esempio, è crollata il 27 agosto 1993 e tre milioni di tonnellate d'acqua hanno sepolto 257 persone. I benefici economici fin lì raggiunti sono stati azzerati da danni valutabili attorno ai 52 milioni di dollari. Ma il governo cinese ha ugualmente mandato avanti il progetto da 20 miliardi di dollari per costruire la diga sullo Yangtze, cinquemila volte più capiente della Gouhou e situata in una zona sismica abitata da 75 milioni di persone. Uno tra i più famosi idrologi cinesi, il professor Huang Wanli dell'università di Qinghua, ha lanciato un allarmato appello per interrompere la costruzione dello sbarramento sullo Yangtze perché potrebbe far aumentare i rischi di disastrose inondazioni che coinvolgerebbero almeno mezzo milione di persone. Senza contare i danni subiti dal milione e 200 mila sfollati.

Dall'Argentina al Sudafrica

Non è che le cose vadano meglio nel resto del mondo. Una ricerca della Campagna per la riforma della Banca Mondiale ha esaminato tre grandi progetti realizzati dall'impresa italiana Impregilo (che nei primi tempi si chiamava Cogefar) e finanziati dalla Bm: Yacyretà tra Argentina e Paraguay, Chixoy in Guatemala e Katse in Lesotho al confine con il Sudafrica. La costruzione della prima diga, sul fiume Paranà, venne approvata nel 1973 dal presidente argentino Isabelita Peròn e dal dittatore paraguayano Stroessner. Costo previsto 1,4 miliardi di dollari, ma aumentato di quattro volte per la parte ingegneristica e di sette volte per la parte amministrativa. L'energia prodotta è risultata tre volte più costosa della media nazionale. La Bm ammetterà più tardi che sarebbe stato meglio non averla mai costruita, dato che erano già stati scoperti giacimenti di gas naturale che avrebbero permesso la produzione di energia a costi più bassi. A Chixoy il governo guatemalteco e il consorzio Impregilo-Cogefar hanno ripreso a costruire la diga dopo due anni di interruzione causata dai terremoti. Si erano dimenticati che era una zona sismica. Per Pueblo Viejo, la prima delle quattro dighe previste, la spesa iniziale era di 270 milioni di dollari. Dopo il terremoto del 1976, il costo salì a 800 milioni. Il reinsediamento forzato nei "villaggi modello", ossia nei campi militarizzati che la dittatura usava per controllare la guerriglia, causò duri scontri che portarono alla morte di 350 sfollati. Del gruppo indigeno dei Maya Achì, che vivevano di allevamento e coltivazioni essenziali nella zona, si stanno perdendo le tracce.
Nel 2017 dovrebbero essere completate le cinque dighe nei pressi di Katse progettate nel 1986 con un trattato che consentì al Sudafrica dell'apartheid di aggirare le sanzioni e di ricevere i finanziamenti tramite il governo del Lesotho: 8 miliardi di dollari dalla Bm, dal Fondo Europeo per lo sviluppo e dalle banche Africana e Sudafricana (denominate anch'esse "per lo sviluppo"). Il Sudafrica sosterrà tutti i costi, esclusi quelli della produzione elettrica, e pagherà al Lesotho i diritti per l'acqua che verrà portata nel paese. Ma si è già scoperto che il costo dell'acqua per il Sudafrica sta diventando così alto da essere insostenibile per gli utenti. Tra l'altro, una gestione razionale e programmata delle risorse esistenti e la riduzione degli sprechi renderebbero inutile la diga già costruita, per non parlare delle quattro in progettazione. La popolazione non è stata consultata prima dell'avvio del progetto e i piani di reinsediamento non hanno previsto di assegnare nuove terre coltivabili e pascoli agli sfollati. Il popolo dei Basotho, 24mila persone nella zona di Katse, è stato costretto ad abbandonare 2.000 ettari di terra arabile e 4.500 ettari di pascolo.
C'è poi il famoso progetto indiano lungo il fiume Narmada che inizialmente prevedeva 33 grandi sbarramenti con i relativi bacini. In pratica, una diga ogni quaranta chilometri. L'intera opera verrebbe a costare 11,4 miliardi di dollari. Nel 1985 la Banca Mondiale è diventata la finanziatrice del progetto e ha erogato i primi 890 milioni per la prima diga, il cui costo effettivo salirà negli anni da due a quattro miliardi di dollari. Dopo le proteste degli ambientalisti, nel 1993 la Banca si è ritirata dal progetto. Il che non ne impedisce la prosecuzione, seppur a rilento. Nella Valle del Narmada, oltre 21 milioni di persone vivono nei pressi del fiume. Si stima che siano circa 245 i villaggi da far evacuare. Il rapporto della commissione indipendente di inchiesta nominata dalla Banca Mondiale ha trovato insufficienti o inesistenti i piani di reinsediamento e scarsa l'attenzione verso i gruppi tribali della regione. E altrettanto scarsa è risultata l'attenzione verso gli encroachers, gli intrusi di altre regioni che si fingono abitanti da evacuare per ottenere i sussidi di Stato. In un'area povera come l'India centro-settentrionale, anche il misero rimborso di 12,5 rupie al giorno (meno di 600 lire) per un anno può far gola.
Insomma, per dirla con la Campagna per la riforma della Banca Mondiale, "le grandi dighe hanno provocato danni e impoverito le comunità locali: non solo non hanno contribuito al benessere dei paesi, ma hanno arricchito le élites politiche locali e le multinazionali costruttrici".
 
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