Rifondazione mensile di politica e cultura 
Aprile 1998 
DOSSIER L'ORO BLU

BERE O AFFOGARE di Massimo Serafini della segreteria nazionale di Legambiente

Le leggi ci sarebbero ma restano inapplicate e il degrado delle risorse idrogeologiche continua. Ma nell'agenda governativa ci sono grandi opere.

Basta fare l’elenco delle numerose alluvioni che hanno colpito il territorio italiano per fare capire la dimensione e la gravità del suo dissesto idrogeologico. Infatti dal 1992 a oggi, pressoché ogni anno, c’è stata una grave inondazione oltre a una serie infinità di frane e smottamenti. Nel 1992 toccò alla Liguria e alla Lombardia; nel ‘94 il Tanaro travolse mezzo Piemonte e i laghi lombardi tracimarono; nel ‘95 è stata la volta della Versilia; nel ‘96 alla Calabria e lo scorso anno alla Campania e alla Puglia. Come si vede Nord, Centro e Sud sono tutti ugualmente caratterizzati dal dissesto territoriale. Le perdite umane, i feriti e le conseguenze economiche di quelle che impropriamente vengono chiamate “calamità naturali” sono pesantissime. Dal dopoguerra a oggi si contano nell’ordine delle centinaia i morti, in quello delle decine di migliaia i feriti e in ben (stima prudente) 150 mila miliardi le risorse pubbliche spese per fronteggiare questi eventi. Una somma enorme per di più spesa, salvo pochi spiccioli per la prevenzione, tutta per risarcire le popolazioni colpite.
Questo quadro drammatico induce una prima considerazione su cui dovrebbe esserci un ampio consenso: il territorio italiano, anche di fronte a piogge di intensità eccezionali, è assai più vulnerabile rispetto al passato. Detto con parole più semplici: basta che piova che è molto probabile finire sott’acqua. Non meno grave è il degrado e l’inquinamento delle acque sia superficiali che sotterranee. Anche qui per dimostrare questa affermazione non servono grandi dati perché basta vedere l’aumento esponenziale nel consumo delle acque minerali. La drammaticità del dissesto e dell’inquinamento è ormai nota pressoché a tutti. Mentre quando ci si avventura a ricercare le cause che hanno provocato questa situazione il consenso è assai minore, anzi le dispute e i conflitti sono veramente forti.

Le cause

Quando si parla di “cause” in realtà si mettono in discussione le responsabilità di interessi potenti che molto spesso occultano la verità. In realtà anche per quanto riguarda le responsabilità del disastro territoriale non dovrebbe essere molto complicato individuarle. Esse sono attribuibili esclusivamente a una gestione del territorio e delle acque che non ha mai tenuto conto delle limitazioni d’uso che l’assetto idrogeologico imponeva: incremento costante delle aree impermeabili, restringimento e canalizzazione degli alvei, occupazione crescente con abitazioni, industrie, attività agricole e zootecniche delle aree golenali e di quelle in cui nel passato le piene dei fiumi di stemperavano naturalmente. 
Negli ultimi 35 anni il consumo irreversibile del territorio e la sua cementificazione, il degrado della terra e delle acque sono proceduti a un ritmo ambientalmente disastroso e non sostenibile, oltre a essere privo di qualsiasi giustificazione economica. Le risorse terra e acqua sono state trasformate dai cosiddetti interessi forti in pure rendite di posizione da realizzare nel più breve tempo possibile sacrificando, sull’altare di interessi speculativi sia la sicurezza collettiva delle popolazioni di oggi che quella delle generazioni future. Per far fronte a questa situazione fu approvata nel 1989, dopo dieci anni di discussioni parlamentari, una legge fortemente innovativa, la 183, con le sue autorità con cui pianificare a scala di bacino idrografico un diverso e integrato uso e gestione della terra e delle acque. Fra le cause del dissesto idrogeologico e dell’inquinamento si può aggiungere una classe dirigente di decisori politici che hanno, purtroppo con successo, fatto di tutto per impedire che questa legge venisse applicata. Su questa questione non si può dire che l’avvento dell’Ulivo nella gestione del Paese abbia rappresentato un inizio di inversione di tendenza. In realtà tutti gli interventi attuati, anche dopo l’approvazione della 183, sono stati concepiti e realizzati al solo scopo di giustificare e difendere l’uso dissennato del territorio di cui sopra. Opere inutili e dannose, progettate quasi sempre su scala puramente locale e quindi non funzionali le une alle altre. Quasi sempre questi interventi messi in opera sia da parte dello Stato che di Regioni, Comuni e Province hanno finito per aumentare la vulnerabilità del territorio. È il prevalere di questa logica che produce una politica del territorio e delle acque esclusivamente di rincorsa delle emergenze, facendo prevalere gli interessi straordinari di riparazione e rimborso dei danni su quelli ordinari e di prevenzione previsti invece dalla legge di difesa del suolo. 

Il governo delle acque

In queste ultime settimane si è aperto un dibattito sull’urgenza di avviare, da parte del governo dell’Ulivo, una fase successiva al risanamento dei conti pubblici, fatta di riforme capaci di modernizzare il Paese, di renderlo più giusto e soprattutto di dare lavoro ai disoccupati. Noi di Legambiente da tempo pensiamo che sarebbe un ottimo segnale per iniziare la fase due, soprattutto se si pensa alle sue grandi potenzialità occupazionali, se il Governo e la sua maggioranza decidessero di lanciare un piano decennale per il riassetto idrogeologico del Paese. Per farlo non servono molti sforzi perché basta pianificare l’applicazione della 183 sull’insieme del territorio nazionale. Serve dunque quasi esclusivamente la volontà politica di farlo. Anche per quanto riguarda le cose da fare subito per garantire più sicurezza ai cittadini e migliorare la qualità delle acque non c’è da inventare molto: la difesa della terra dalle acque (inondazioni, erosioni, frane) e delle acque dalla terra (inquinamento, impermeabilizzazione, modifica dello scorrimento e infiltrazione) sono possibili con un approccio congiunto e integrato. Più che opere e appalti servono gestione, manutenzione e servizi. Le inondazioni si possono evitare con misure di gestione del territorio (riforestazione dei versanti, gestione del bosco ceduo, limiti allo spianamento delle colline, limiti al denudamento autunnale delle terre coltivate) e del corso d’acqua (aree di espansione controllate come quelle offerte dai parchi fluviali o le zone di sponda a bosco) che non con le tradizionali opere di laminazione artificiale (dighe scolmatori) o con difese spondali rigide.
Certo avviare un governo territoriale e ambientale di questo tipo significa mettere in discussione interessi enormi da lungo tempo consolidati, gli stessi che in questi anni hanno ostacolato l’applicazione della legge 183 di difesa del suolo e della 36 sulle risorse idriche. Ma proprio per questo sarebbe forte il segno riformatore di un progetto di questo tipo, sul quale attivare una vasta e diffusa mobilitazione dei cittadini, di competenze e di saperi e su cui chiamare al lavoro, per restaurare la propria terra e le proprie acque, centinaia di migliaia di giovani donne e uomini. Non sembra questo il contenuto prevalente del dibattito sulla fase due. Pare che, per quanto riguarda il governo del territorio e delle acque, più che sulle cose da fare per garantire maggiore sicurezza e minore inquinamento alle popolazioni il dibattito sia concentrato su chi deve avere le competenze, e cioè su chi deve gestire gli appalti. In questo dibattito confuso per il nostro governo, purtroppo in perfetta continuità purtroppo con quelli passati, l’unica cosa da fare è il solito elenco di opere pubbliche con cui si darà poca occupazione e nuova devastazione territoriale.
Stiamo per entrare in Europa e va riconosciuto al governo dell’Ulivo di aver saputo far quadrare i dissestati conti pubblici senza farne pagare il costo ai ceti più deboli. Vorrei dire però che sarebbe un paese molto poco europeo quello che dedicasse le sue scarse risorse pubbliche a finanziare il ponte sullo stretto di Messina negandole al risanamento del dissesto idrogeologico del suo territorio. Spesso questa maggioranza è stata attraversata da litigi e conflitti sui temi più disparati. Non risulta mai avvenuto uno scontro fra le varie forze politiche che compongono la maggioranza di governo su un grande tema ambientale. Perché non fare della questione del governo del territorio e delle acque, cioè della sicurezza e salute dei cittadini una questione della stessa portata delle 35 ore? Forse la gente capirebbe di più che tipo di Europa l’Ulivo intende costruire.
 
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Partito della Rifondazione Comunista