Rifondazione mensile di politica e cultura
Aprile 1998
EDITORIALE

INGOLFATI di Giacomo Schettini

La seconda guerra del golfo non c'è stata. Anche se è d'obbligo un "per ora", si è ottenuto un risultato importante che può produrre scelte cruciali. La minaccia di guerra, da parte di Clinton, infatti, non esprimeva innanzitutto il bisogno di un'azione diversiva e insieme risarcitoria di un oltraggio al pudore.
Peraltro Hillary Clinton, Monica Lewinski, Paula Jones, da versanti diversi, avevano colpito insieme l'immagine del potere maschile (la sopraffazione), e non ci voleva molto per capire che la cosa avrebbe sostenuto più la richiesta di pace che di guerra.
Quella minaccia di guerra è stata essenzialmente un momento della strategia egemonica o, più precisamente, di dominio degli Usa. In gioco era ed è il controllo della integrazione del Medio oriente, del Golfo e, per quel che ci riguarda più da vicino, del Mediterraneo nell'economia globale e nei processi più generali di "modernizzazione" che attraversano il pianeta. La globalizzazione, in cui l'America del Nord gioca un ruolo dominante con Giappone e Unione Europea e in un prossimo futuro con la Cina, produce diffusi elementi di precarizzazione, neocolonialismi, e vera e propria esclusione, che si possono combinare con esperimenti di transizione al post-fordismo.
In questo quadro gli Usa hanno operato per affidare il controllo del Medio Oriente e del Golfo a Israele e in un certo senso anche alla Turchia (petrolio e acqua risorse-chiave). Si è scritto da più parti che i punti della strategia americana sono Israele e il petrolio.
Ma le cose non sono andate nel senso voluto dagli Usa. L'alleanza strategica fra  Israele, Turchia ed Egitto si è andata esaurendo. Gli Usa, quindi, hanno pensato che fosse giunto il momento di una presenza più diretta nell'area. Pavleu Kozloy, (sull'  del 14/2) riferisce di un disegno di smembramento dell'Iraq dopo la guerra, proprio per un controllo americano più penetrante. Saddam Hussein, la cui ferocia e tirannia sono state per anni alimentate e armate dall'Europa e dagli Usa, ha cacciato gli ispettori quando ha capito che, presso il mondo arabo, era caduto il credito degli Usa per molte ragioni: la resa a Israele per i territori occupati; "i due pesi e due misure" usati verso i paesi (ben 12) che producono armi chimiche, batteriologiche e nucleari; la violazione delle risoluzioni dell'Onu da parte di Israele; la ripresa del ruolo e dell'influenza della Russia nell'area petrolifera del Caspio e del Medio oriente dopo anni di assenza. 
Esiste, però, una ragione più di fondo alla base delle difficoltà degli Stati Uniti nell'area. Nel mondo arabo si guarda al libero mercato ma nello stesso tempo si ha paura degli effetti devastanti dell'individualismo selvaggio e del consumismo (sono in atto campagne promosse da forze politiche e culturali, schierate su versanti opposti - ebrei ortodossi e musulmani - contro l'individualismo e il consumismo).
Nel Medio oriente e nel Mediterraneo esistono le condizioni per mettere a confronto modelli sociali ed economici diversi. E questo, in un certo senso, sta già avvenendo e non è l'ultima ragione per cui si è stati così vicini alla guerra.
Nel Medio oriente si confrontano tre modelli: uno è quello dello "spazio euromediterraneo", di cui l'Ue è sostenitrice e fulcro, l'altro è quello di un "Nuovo Medio oriente", che comprenderebbe anche gli stati del Mediterraneo. Gli Usa vedono con favore proprio quest'ultimo modello, in cui Israele dovrebbe avere un ruolo di spicco.
Il terzo è il modello di "mercato globale" che dagli Usa è il preferito. I giochi si sono aperti anche su questo terreno, se non riprendono le tensioni militari. La sinistra critica ha condizioni nuove per una iniziativa influente. Anche il circuito petrolio - aree strategiche - armamenti produce pesi e contraddizioni gravi, oltre che per la finanza, soprattutto per la vita civile: basti pensare che l'America spende nel Golfo 40 miliardi di dollari per proteggere 30 miliardi di importazioni di greggio. Dal 1945 a oggi la catena di crimini che hanno coinvolto queste aree strategiche sembra quasi interminabile fra gli assassinii, da Mattei a Olof Palme, e di conflitti con decine di milioni di morti soprattutto civili - attualmente ne sono in corso almeno trenta. 
Gli Usa coltivano il loro primato militare. Negli ultimi anni si è verificata una fortissima concentrazione delle industrie che producono sistemi militari (da 51 a 5), le quali esercitano una forte influenza politica. Il primato militare rappresenta il fattore che conferisce agli Usa il ruolo di "nazione egemone" ed è proprio questo fattore a non consentire, anche secondo Arrighi, un'analogia con l'Olanda del XVIII secolo e con l'Inghilterra del XX secolo, che erano "nazioni egemoni", però "declinanti". 
La forza e la volontà di potenza, che hanno costituito addirittura come referenti originari e archetipici la cultura e la politica dell'Occidente, sono state, anche se per un momento, contenute.
Le armi e la forza, come mezzi (fatali) per difendere i privilegi dei più forti e come metodo per risolvere le controversie, quasi leggi del destino in cui far riconoscere anche i più deboli, per questa volta, non hanno avuto la parola. 
Forse si sono create condizioni più favorevoli per avviare una svolta nel "nuovo disordine mondiale". Una svolta "storica", ha detto Prodi. Bene. A patto che si abbia presente la portata dirompente delle parole e delle cose.
Lo scongiurato ricorso alle armi è stato il frutto dell'azione diplomatica dell'Onu, dell'intervento di Francia, Italia, Cina e anche della Germania contro la guerra. Ciò che, però, ha pesato di più, e non è un riferimento di maniera, è stata la volontà di pace espressa da milioni di donne e di uomini di tutto il mondo, Stati Uniti compresi.
Una nuova soggettività è in campo, come già i risultati elettorali e le lotte in vari paesi avevano segnalato. Insomma c'è un movimento reale per sostenere una politica coraggiosa e necessaria. E' maturata un'alternativa con cui le Sinistre e il Governo si debbono misurare: o l'allargamento della Nato sotto l'egida Anglo-americana o "l'anello euromediterraneo" del cosviluppo e della solidarietà. L'Eu deve guardare al sud del mediterraneo, al Medio oriente e all'Est, non per integrarli, ma per incontrarli come luoghi di scambi economici e di culture, come occasione per far avanzare nuovi bisogni, nuovi consumi e quindi un modello merceologico sostenibile. In questo quadro di relazioni anche per il mezzogiorno d'Italia si potrebbe aprire, come in altre epoche, un nuovo ciclo economico e culturale.
L'Europa e l'Italia, per potere avviare una svolta, debbono agire in autonomia. Perciò risulta anacronistica la sopravvivenza del Patto atlantico. Infine, anche le Sinistre dell'area euromediterranea hanno bisogno di meglio coordinarsi per fare bene il loro mestiere, che è soprattutto quello di costruire il conflitto sociale nel cuore delle contraddizioni che il capitalismo globale e locale produce.
 
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Partito della Rifondazione Comunista