Rifondazione mensile di politica e cultura 
Aprile 1998 

DOSSIER L'ORO BLU

LISCIA, GASSATA O GRATIS di Sabina Morandi

La minerale è l’affare del secolo: le multinzionali non la pagano quasi nulla. Anche se, dati Oms alla mano, l’acqua corrente italiana non è così inquinata. 

Nel novembre scorso Paolo Cacciari, consigliere regionale di Rifondazione comunista nel Veneto, ha sollevato una questione apparentemente locale ma in realtà di ben più ampie ricadute. Facendo un paio di conti, Cacciari si è accorto che il fatturato veneto dell’acqua minerale si aggira sui 1.200 miliardi di lire. La cosa non stupisce se si pensa che circa il 30 per cento di tutta la minerale italiana proviene dalle 14 fonti della regione: acqua che viene pagata circa 0,07 lire a litro estratto mentre quella del rubinetto costa una lira al litro. La proposta era semplice: far pagare alle industrie esattamente quello che pagano i privati cittadini. In effetti, a fronte del giro d’affari delle minerali, è incredibile che nelle casse regionali entrino solo 183 milioni di lire l’anno quando, solo per smaltire le bottiglie di plastica, il Veneto spende 30 miliardi. Ma se l’affare fosse stato magro non avrebbe attirato giganti come la Nestlè, che ha da poco comprato la San Pellegrino (fatturato annuo 881 miliardi), ed è riuscita a vincere la guerra con Agnelli per l’accaparramento della francese Perrier. 
In effetti gli affari sono ottimi visto che le concessioni per lo sfruttamento sono quasi gratuite e nemmeno i controlli sono a carico delle aziende, mentre la concorrenza costituita dall’acqua corrente viene sgominata grazie al deterioramento degli acquedotti. Per citare il recentissimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Ambiente e salute in Italia: “benché l’acqua sia disponibile (...) solo il 47 per cento delle famiglie intervistate dichiara di bere l’acqua del rubinetto”. La produzione delle acque minerali in Italia è aumentata di circa il 250 per cento dal 1983 al 1992 e le condizioni generali, tutto sommato buone a parte in alcune regioni, non forniscono una spiegazione del consumo massiccio di minerale. Un altro particolare inspiegabile: agli acquedotti viene chiesto il rispetto di una trentina di parametri mentre i produttori di acque minerali possono permettersi di rispettarne solo venti in tutto. Ma forse la trasformazione degli acquedotti in Spa potrà risolvere il problema con bell’abbattimento dei controlli sanitari, come è prassi nelle privatizzazioni.

La qualità dell’acqua

Quali sono i parametri che l’acqua deve rispettare per essere considerata potabile? Ci sono due criteri fondamentali: quello "cronico" che definisce la quantità di sostanza che può venire assunta durante tutto l'arco della vita senza danneggiare la salute e quello d'emergenza, che stabilisce il valore massimo tollerabile per un periodo di tempo limitato. "La questione è tutt'altro che teorica" dichiara il dottor Enzo Funari, primo ricercatore del laboratorio di Igiene Ambientale dell'Istituto Superiore di Sanità e autore dell'ultimo rapporto sullo stato di qualità delle acque potabili in Italia "Perché spesso riguarda decisioni da prendere in tempi brevi. In caso di contaminazione, per esempio, non è detto che interrompere l'erogazione dell'acqua sia la cosa migliore da fare: occorre valutare gli effetti dell'esposizione a una determinata sostanza nella fase acuta e confrontarli con i danni che possono derivare dalla chiusura dell'acquedotto. Interrompere il flusso può creare un fenomeno di infiltrazione di materiali circostanti, anche inquinanti, a causa della differenza di pressione ".
Comunque, variabili o no, ci sono dei valori da rispettare, quelli stabiliti nella Direttiva CEE del 1980, e l'Italia ha faticato non poco per riuscirci ma la situazione risulta in netto miglioramento anche se non è ancora chiaro se le punte di contaminazione attuali siano quelle massime: buona parte dei problemi di oggi, l'inquinamento da trielina ad esempio, sono frutto dell'arrembaggio chimico degli anni '60. In realtà si possono fare ancora molte cose: utilizzare al meglio le attuali conoscenze tecnologiche per minimizzare l'esposizione alle sostanze tossiche e prevenire ulteriori contaminazioni provocate da nitrati e pesticidi, che sono gli inquinanti più diffusi e persistenti. La Direttiva 91/414 della CEE impone agli Stati di valutare l'impatto ambientale causato dai prodotti fitosanitari prima di metterli in commercio, il che significa mettere l'accento sulla prevenzione invece di correre ai ripari quando il guaio è fatto.

Gli inquinanti principali

Da sempre l'acqua è un veicolo per la trasmissione di gravi epidemie come il colera, il tifo, l'epatite A, la dissenteria e ogni sorta d'infezioni che colpiscono l'apparato gastrointestinale. Per questo motivo non sono stati definiti dei valori al di sotto dei quali è tollerabile la presenza dei batteri e comunque l'attenzione costante agli aspetti microbiologici rende abbastanza rari, nel nostro paese, contaminazioni di questo tipo.
Fra gli inquinanti industriali e agricoli spiccano i cosiddetti composti organoalogenati, forse i principali inquinanti delle falde acquifere. Ogni anno vengono prodotte nel mondo centinaia di migliaia di tonnellate di queste sostanze per impiegarle nella lavorazione dei tessuti, della plastica, della carta e delle vernici. Gli organoalogenati sono chimicamente e biologicamente stabili: una volta raggiunta la falda si depositano sul fondo e continuano a rilasciare le sostanze tossiche per lungo tempo. Pesticidi ed erbicidi sono stati per anni utilizzati in agricoltura in quantità esagerate. Assorbiti dal suolo più o meno rapidamente, a seconda delle condizioni meteorologiche, i pesticidi possono restare sotto la superficie del terreno per anni, continuando a scendere lentamente verso la falda acquifera e continuando a contaminarla anche dopo molto tempo che si è smesso d'impiegarli. Su pesticidi ed erbicidi, in particolare sull'atrazina, sono stati condotti numerosi studi per evidenziarne le proprietà tossicologiche e cancerogene, ma le concentrazioni di tali sostanze sono, in genere, molto al di sotto dei valori definiti dall'Oms.
Quando si parla di nitrati si intendono principalmente i fertilizzanti azotati impiegati in agricoltura. Il loro consumo è aumentato in modo esponenziale in Italia: dalle circa 2.500 migliaia di quintali nel '55 si è passati a quasi diecimila migliaia di quintali nel 1988. Anche nel caso dei nitrati si tratta di continuare a pagare domani per i peccati di ieri: i valori, già alti, registrati ultimamente potrebbero non rappresentare la punta massima di inquinamento perché anche quella dei nitrati è una contaminazione dai tempi lunghi. Tuttavia spesso è più facile assorbire alte dosi di nitrati attraverso gli alimenti che non bevendo. 
Al contrario di quanto si potrebbe pensare la contaminazione da petrolio, che può verificarsi in caso di perdite durante il trasporto o lo stoccaggio, ha effetti meno catastrofici. I derivati del petrolio hanno una densità minore dell'acqua e quindi, una volta raggiunta la falda acquifera, restano in superficie rendendo più semplice la decontaminazione. Gli idrocarburi policiclici aromatici, invece, si depositano nei fiumi attraverso le precipitazioni. Sono considerati potenzialmente cancerogeni: una volta in acqua vengono biodegradati e assunti dagli organismi acquatici, rientrando così nella catena alimentare. I metalli pesanti sono un problema che riguarda soprattutto le acque superficiali e raramente riescono a raggiungere le falde sotterranee perché hanno scarsa mobilità. Provengono soprattutto dagli scarichi delle industrie o dagli strati di terra al di sotto delle discariche.
Ma i problemi non sono causati solamente dalle attività umane. Sono molte le sostanze naturali che possono inquinare una falda acquifera causando guai alla salute: alluminio, ferro e manganese sono sostanze naturalmente abbondanti nella crosta terrestre in quantitativi normalmente tollerabili ma, andando a scavare sempre più in profondità ci si può imbattere in dosi preoccupanti di arsenico, di fluoro o di alluminio. Altre sostanze naturali hanno conseguenze variabili sulla salute e non sempre negative: un'elevata presenza di calcio nell'acqua può creare problemi a chi è affetto da calcolosi renale ma potrebbe perfino fare bene a chi ha patologie opposte, come l'osteoporosi. La stessa cosa si può dire del sodio: causa ipertensione se ce n'è troppo ma integra la dieta di chi ne assume troppo poco.
Anche alcuni processi di lavorazione che servono a rendere l'acqua potabile, come quelli impiegati per eliminare microrganismi patogeni, possono rilasciare sostanze a loro volta contaminanti: il cloro gassoso, il biossido di cloro e l'ozono ma anche alcuni composti del ferro e dell'alluminio utilizzati come coagulanti. Il problema dei cloruri è il sapore: tuttavia è molto meglio bere dell'acqua non proprio gradevole che rischiare di incappare nel vibrione in agguato. Se la rete non è in buone condizioni si possono verificare infiltrazioni degli inquinanti presenti nel suolo e le tubature stesse possono rilasciare alcuni contaminanti come l'amianto, il piombo, largamente utilizzato nelle tubazioni delle abitazioni, e il cloruro di vinile quando le condutture sono in Pvc.

Lo stato delle acque

Sulla base dei dati contenuti nel rapporto dell’Istituto superiore di Sanità, datato 1995, si può disegnare un quadro generale dello stato delle acque potabili italiane. La Padania sicuramente è quella che se la passa peggio: industrie, agricoltura e allevamento intensivi hanno finito per contaminare le risorse idriche del sottosuolo, principali fonti di approvvigionamento di quelle regioni. 
In Piemonte sono stati trovati metalli pesanti, composti organoalogenati e antiparassitari a Torino, Alessandria, Cuneo e Vercelli. Nelle falde profonde di Asti e Novara è stata riscontrata la presenza di ammoniaca, ferro e manganese naturale. In Lombardia praticamente tutti gli acquedotti a eccezione di quello di Sondrio risultano contaminati da antiparassitari, composti organoalogenati e nitrati. Una volta inquinate le falde più superficiali si è stati costretti ad attingere a quelle più profonde, che spesso si caratterizzano per una maggiore presenza di inquinanti naturali. Anche in Veneto c'è poco da stare allegri: è stato necessario concedere delle deroghe per i parametri del ferro, dei solfati, del manganese e dei nitrati che per ora non possono venir rispettati.
Nell'Italia insulare e peninsulare, malgrado la storica penuria, la qualità dell'acqua è molto migliore anche perché spesso proviene dagli acquedotti montani che sono poco soggetti all'impatto delle industrie e degli insediamenti urbani, concentrati prevalentemente nelle zone costiere. Nel Lazio, considerando anche l'elevata concentrazione di abitanti, la qualità dell'acqua è abbastanza buona, in Abruzzo ci sono forse le migliori acque italiane insieme a quelle della Basilicata, servita dal Sele e dagli invasi del Pertusillo che porta l’acqua fino in Puglia e in Calabria. Un’abbondanza che non spiega la penuria se non considerando le perdite nella rete - si calcola che circa un quarto dell’acqua italiana vada perduta nella distribuzione - e il fattore di controllo sociale costituito dalla gestione dell’acqua in queste regioni.
In Campania la situazione non è buona tenendo conto che oltre agli inquinanti artificiali presenti negli acquiferi sotterranei, come nitrati, cloruri, manganese, cromo e piombo, ci si mettono pure i contaminanti naturali: sono stati riscontrati valori di fluoro fino a 3 mg/1. I veri problemi però si registrano nelle isole. In Sicilia l'inquinamento batteriologico è abbastanza diffuso e interessa perfino le falde dell'Etna, sede del sistema acquifero più importante della regione. E' un'acqua abbastanza dura a causa della natura calcarea di molte zone del sottosuolo siciliano mentre le zone costiere sono alle prese con il problema delle infiltrazioni: le concentrazioni di cloruri sono molto alte, fino a 700 mg/1 nella zona di Catania, Siracusa e Messina, dove l'acqua è super sfruttata oltre che per le abitazioni anche per usi agricoli e industriali.
In Sardegna l’acqua è poca e di cattiva qualità e proviene soprattutto da grandi invasi di superficie che richiedono molti trattamenti di potabilizzazione che peggiorano la qualità dell'acqua. Il progetto di realizzazione di un nuovo invaso nel basso Flumendosa vede la ferma opposizione delle associazioni ambientaliste. Secondo gli Amici della terra, il Wwf e il Gruppo di intervento giuridico più che di dighe la Sardegna ha bisogno di una gestione più razionale delle risorse idriche. Difficile dargli torto: la Sardegna vanta il maggior consumo nazionale pro capite ed è l'unica regione a consentire l'uso dell'acqua potabile per scopi industriali.
 
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Partito della Rifondazione Comunista