Partito di massa
Partito di massa - Marzo 2001

Visti da vicino
Il Circolo Iveco di Brescia

A suo modo, a 52 anni, Piero Magra è un pioniere. Segretario del Circolo aziendale “Carla Capponi”, il circolo dell’Iveco di Brescia, la fabbrica Fiat dei camion versatili e leggeri, 4.000 dipendenti tra operai e impiegati: un circolo nato il 13 gennaio scorso, nuovo di zecca, 37 iscritti e tante iniziative in cantiere.

Pioniere all’Iveco, Piero Magra - perito industriale, sposato, 3 figli (“il più grande studia filosofia all’Università, il secondo frequenta il liceo classico, la piccola è in seconda media, ci tengo che i miei ragazzi studino”), ha in realtà il curriculum di una intera vita alle spalle. Curriculum di militante. Operaio con diploma (“in Fiat non si fa carriera, se sei “segnato” politicamente”), viene dal Pci. Consigliere comunale dall’85 al 90 nell’amministrazione del suo paese, Cellatica in provincia di Brescia (5 mila abitanti, economia prettamente agricola, famoso per il suo buon vino), Magra non ha conosciuto soluzioni di continuità. Con la scissione è passato subito in Rifondazione (“No, mai stato nel Pds, nemmeno un’ora”), fedele lettore di Liberazione “fin dal primo numero”.

Un “amore” che continua. Dice Piero Magra: “Abbiamo instaurato una “tradizione”. Ogni venerdì diffondiamo “Liberazione” tra i compagni di lavoro, prima erano 10-15 copie, ora sono 90”. Ogni venerdì, bel colpo.
Curriculum da militante, tanti anni di battaglie. “Durante la lotta dei 35 giorni, noi qui alla Om di Brescia facevamo due ore di sciopero ogni giorno, con picchetti e presidi davanti all’azienda, non abbiamo ceduto un momento, come là a Torino”. 
Il braccio di ferro sulla scala mobile , ha visto Brescia, “e noi dell’ OM Iveco”, in prima fila, i famosi autoconvocati di Brescia. 

Una grande battaglia è stata anche quella “per Mario Bianchi”. “Quell’uomo, quel nostro compagno di lavoro, è un portatore grave di handicap e la direzione, come si ricorderà, voleva dargli un salario a patto che restasse a casa, fuori da lì. Lui rifiuta, mette una tenda davanti ai cancelli; noi ci mettiamo dalla sua parte, abbiamo fatto un giorno intero di sciopero, per la dignità di una persona. E Mario Bianchi ha potuto restare al suo posto”.

Semplice curriculum di militante. In primo piano anche l’attività sindacale. La Fiom in azienda resta su buoni livelli (60 per cento), la Fim al 20. “Ma anche qui c’è una presenza tutt’altro che trascurabile del sindacato aziendale, ex Sida, il Fismic, che ha una certa presa soprattutto sui nuovi assunti”.
Anche se la situazione non è come alla Fiat di Torino, i problemi e le difficoltà non mancano. Per esempio, con le nuove assunzioni i ritmi sono aumentati; nei reparti che impiegano robot sono gli operai ad essere penalizzati (“a loro resta solo il caricamento “); alle catene i ritmi sono stressanti; e l’80 per cento della manodopera resta per tutta la sua vita lavorativa inchiodata al terzo livello, (“poco più su del manovale generico”). 

L’ambiente è tutt’altro che godibile, rumorosità alta e dispositivi di sicurezza ridotti al minimo (e spesso elusi). E paga di mera sussistenza, di pura sopravvivenza: un milione e cinquecento, un milione e seicento al mese, alla faccia del Nord ricco e benestante.

Dice Piero Magra: “In fabbrica abbiamo il 30 per cento di operai provenienti dal Sud, precisamente da Foggia, dopo il crollo della Sofim (motori elettrici per la Iveco)”. E questo aggrava la condizione. “Lavoratori che sono stati costretti a trasferirsi a Brescia, con tutti i problemi connessi, primo fra tutti quelli legati alla casa. Qui gli affitti hanno prezzi alti, se ne va un terzo della paga”. Malessere diffuso, alla faccia del Nord ricco e benestante.

C’è tanto da fare. “Ci sono molti giovani che mi danno del lei e mi trattano con rispetto, ma io non voglio atteggiarmi a maestro. Bisogna parlare, convincere, far capire”.
C’è molto da fare. Da vero pioniere, il circolo Iveco non ha ancora una sede, “ci riuniamo in sale a pagamento (a piccolo prezzo), o in case di compagni ospitali. Ma stiamo raccogliendo fondi, vedremo”.
C’è tanto da fare.

Maria R. Calderoni

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