Partito di massa
Partito di massa - Dicembre 2000

1921 - 2001:
molti insegnamenti

"Voi fascisti condurrete l'Italia alla rovina ed a noi comunisti spetterà salvarla". Così Antonio Gramsci con lucidità estrema inchiodava il Tribunale Speciale fascista che doveva condannarlo.
Non c'era alcun atteggiamento propagandistico o declamatorio-profetico in questo. C'era razionalità d'analisi dei rapporti sociali, dei processi in atto, del nazionalismo fascista (il "fascismo è la guerra, il capitalismo porta con se la guerra così come la nube porta l'uragano" per rifarci a più vecchie analisi di tradizione socialista) che caratterizzano tutta l'opera seria del fondatore del partito comunista.
C'era la consapevolezza della necessità del partito rivoluzionario di classe che aveva portato alla scelta dolorosa ma necessaria della scissione di Livorno del 1921 dal partito socialista.

Tutta la storia comunista pur fra contraddizioni e drammatiche centralizzazioni a livello internazionale con arbitrii e delitti fu improntata a questo sforzo d'analisi dei processi reali: c'è una documentazione stupenda degli anni '30, in piena clandestinità e con fascismo assestato, di volantini operai che testimoniano freschezza e capacità di porre l'accento sulle condizioni di vita per risalire poi al discorso politico. Nel maggio '32 le mondine vercellesi dedicano il loro giornale clandestino tutto alla parola d'ordine “...salario a 14 lire...”. Nell'ottobre 1930 gli operai delle officine Barbieri titolano: "per l'aumento del salario del 20%. Per le otto ore di lavoro". Inventiva operaia sino alla famosa parola d'ordine: "a salario di merda diamogli lavoro di merda", frase assolutamente colta, grido di rabbia ma di razionalità davanti ad un padrone sempre fascista. 

Per non parlare poi della piattaforma che non fu di facile decisione e che fu alla base dello storico sciopero del marzo '43: 53esima settimana per tutti; impegni per famiglie "sfollate" per bombardamenti, aumenti salariali per specializzati e per i cottimisti.
"Per il pane, la pasta, l'olio e... la testa di Mussolini". Questa era la sequenza dal sociale al politico.
Nella denuncia di Gramsci c'era la consapevolezza dell'esigenza del partito, cioè dell'organizzazione capace di tradurre in movimento e lotta l'analisi politica. Già all'indomani dell'assassinio di Giacomo Matteotti in un accorato articolo sul fallimento socialista, Gramsci affermava: "il risvegliare alla vita civile alle rivendicazioni economiche e alla lotta politica decine e centinaia di migliaia di contadini e operai è cosa vana, se non si conclude con l'indicazione dei mezzi e delle vie per cui le forze risvegliate delle masse potranno giungere ad una concreta e completa affermazione di se".

E ancora prima questo rapporto fra spontaneità - capacità creativa delle masse e organizzazione era ben presente in Gramsci: questa unità della "spontaneità" e della "direzione consapevole", ossia della "disciplina" è appunto “l'azione politica reale delle classi subalterne in quanto politica di massa e non semplice avventura di gruppi...”.

E' trascorso un drammatico secolo. Nell'esperienza del movimento comunista, nella concreta lotta politica troppe volte , tragicamente l'esigenza di organizzazione s'è tradotta in burocrazia e soffocamento di tante capacità critiche.
E questo oggi ci fa dire dell'estrema attenzione che dobbiamo avere specie ora in una società complessa a quanto matura fuori di fuori di noi "liberi comunisti", da atteggiamenti di autosufficienza e di esclusivismo. Ma noi abbiamo imparato anche che una delle peggiori forme di burocrazia è la disorganizzazione, quella che Gramsci chiamava la "democrazia delle picche" che come nella tribù barbariche si esercita battendo le picche sul terreno e "ululando": quell'assemblearismo inconcludente requisito sovente dagli atteggiamenti demagogici. 

Oggi è per noi aperto il problema del rapporto con una sinistra plurale; varie sinistre, sindacali, culturali, politiche, religiose e con una sinistra sommersa ma non per questo non rilevante, anzi rilevantissima se si pensa a quanti giovani oggi non si ritrovano nella politica ma rifluiscono in varie altre modalità associative.
E' problema che affrontiamo con grande apertura non per ragioni di tattica. E' invece consapevolezza dell'apporto creativo che può venire davanti a tanti inediti problemi.

Ma la nostra organizzazione, l'esigenza di perfezionarla, l'esigenza di articolarsi a fronte di una società complessa e davanti all'obiettivo del partito di massa, e anche il recupero di valide modalità operative del passato, non contraddicono affatto l'esigenza di un processo ampio con le molteplici sinistre. Ne costituiscono invece un rafforzamento.

Gianni Alasia 
Presidente Comitato Politico Regionale Piemonte

indietro