Boicottiamo i referendum antisociali e antidemocratici

Con questo articolo iniziamo ad affrontare le tematiche poste dai referendum trattando in questa prima parte quelli a carattere antisociale

I referendum radicali sono antisociali e antidemocratici e vanno boicottati. Bisogna boicottare la loro logica. Bisogna sconfiggerli , respingerli.
Tutti insieme essi rappresentano un attacco mai visto allo spirito e alla sostanza dei diritti del lavoro e alla possibilità di esprimere nelle istituzioni una proposta politica alternativa.
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimi e cancellato molti dei quesiti proposti in materia di diritti del lavoro e di stato sociale ma i quesiti rimanenti sono ugualmente di estrema pericolosità.
Non a caso i radicali mettono insieme l’attacco a una tutela fondamentale del lavoro come quella rappresentata dall’obbligo di reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa con l’attacco alla quota proporzionale e quindi sostanzialmente alle forze come Rifondazione Comunista che si battono maggiormente per difendere i diritti del lavoro e non si piegano al pensiero unico del mercato.
Questo pensiero unico infatti non tollera né diritti sociali né spazi democratici agibili per la loro difesa.
Il diritto a licenziare anche senza giusta causa e senza obbligo di reintegro viene considerato una sorta di vittoria da riportare sull’ "ultimo tabù".
È il coronamento di una politica iperliberista che ha già segnato pesantemente le politiche di questi ultimi due decenni.
E gli effetti disastrosi sono tutti davanti a noi.
Il lavoro è stato reso più flessibile e precario, lo stato sociale è stato decurtato ma la disoccupazione è cresciuta e lo sviluppo si è ridotto.
I lavoratori hanno perso quasi il 10% della quota di PIL loro assegnata; la stragrande maggioranza di nuovi contratti è a termine; lo stato sociale italiano è 4 punti sotto la media Europea. I profitti si sono moltiplicati ma la disoccupazione è passata dall’8 al 12%.
Né si può dire che questa condizione sia solo italiana. L’Europa di Maastricht è gonfia di disoccupati. La stessa America del cosiddetto "boom" ha 40 milioni di persone senza assistenza medica, milioni di lavoratori poveri, ingiustizie e divaricazioni sociali crescenti.
Ma invece di dismettere questo modello lo si vorrebbe portare alle estreme conseguenze.
Questo è il senso del referendum sui licenziamenti. Cioè libertà di licenziare senza giusta causa. Viene chiesta l’abrogazione dell’art. 18 della legge 300 del 970 (statuto dei lavoratori), così come modificato dalla legge 108 del maggio ‘90. Questo articolo obbliga alla riassunzione in caso di licenziamento illegittimi.
I radicali sostengono che rimarrebbero gli indennizzi pecuniari ma ciò è assai discutibile in quanto è l’art. 18 che fa da riferimento per gli altri disegni di legge e che concentra in sé tutta la tutela (reintegro e indennizzo) e altri dispositivi come la legge 108/990 potrebbero lasciare il risarcimento solo alle aziende fino a 60 dipendenti.
Ma aldilà di ciò la libertà di licenziare a proprio piacimento senza cioè giuste ragioni, è la consegna di tutto il potere al datore di lavoro, è il sancire una condizione totale di predominio.
Sostenere che liberare i licenziamenti significa rendere più facili le assunzioni è contro ogni evidenza come dimostra il fatto che dove c’è più lavoro nero cioè licenziabile c’è più disoccupazione (come nel sud d’Italia).
Sconfiggere questo referendum serve a cambiare pagina anche rispetto alle politiche liberiste che purtroppo hanno prevalso nell’agire nelle forze politiche e sindacali della sinistra moderata. E sarebbe grave se si pensasse al legiferare in materia di licenziamenti nella direzione voluta dai referendari.
C’è poi il referendum sulle trattenute sindacali che ha in sé la valenza di un attacco al sindacato stesso anche se la questione è risolta nell’ambito contrattuale e il sindacato dovrebbe ripensare il proprio rapporto con gli iscritti.

Roberto Musacchio

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