Milziade Caprili
Un po a tutti sarà capitato soprattutto in questi ultimi tempi di domandarsi che cosa si riesce a comprendere delle contorsioni della politica italiana. Intendiamoci: qui non cè solamente un giudizio sulla moralità della politica, sul fatto che i giornali hanno rimandato con impressionante escalation il mutamento di casacca di questo o di quel parlamentare o addirittura su una sorta di calcio mercato che si sta svolgendo nei palazzi della politica romana. Non solo di questo si tratta ma soprattutto di come la politica riesca a parlare il linguaggio dei problemi della gente. Senza alcuna demagogia è francamente difficile comprendere perché un pensionato al minimo o anche sopra il minimo, uno di quei giovani che nel Mezzogiorno sa con certezza statistica che non troverà un lavoro stabile in tutta la sua vita, perché uno di questi soggetti o tanti altri che a 2000 già iniziato ci parlano ancora di situazioni difficili, di luoghi di vera e propria disperazione sociale, perché questi dovrebbero essere interessati ad una politica che non li rappresenta, quasi non li prende in considerazione come donne e uomini in carne e ossa. Ecco allora uno degli impegni di Chianciano. Rinnovare il nostro Partito, interrogarci sui nostri limiti, verificare il perché di tanti nostri difetti, ma non per un obiettivo qualsiasi ma per dare maggiore solidità e radicamento ad una forza alla quale possono oggi guardare soggetti diversi della società italiana. Abbiamo già alle spalle una cospicua mole di lavoro. Siamo stati in grado, questa volta, di intrecciare la preparazione di Chianciano con iniziative, esperienze in grado di spostare da subito un po in avanti in nostro lavoro. I dati, i negativi dati del tesseramento 1999 dimostrano se ce ne fosse bisogno del grande lavoro che abbiamo ancora davanti a noi. Ma sarà bene proprio su questo punto essere chiari: non sono sufficienti petizioni di volontà, lunghe e articolate elencazioni delle cose da fare se non scatta in tutto il Partito, ad iniziare dai suoi gruppi dirigenti, la consapevolezza che non abbiamo alternativa al radicamento, allo sviluppo del Partito. E, come diremo a Chianciano, non si tratta solo di cambiare qualche formula organizzativa ma di come il Partito può avvalersi di una rinnovata cultura politica. Una cultura che sia finalmente in grado di lasciare le secche delle contrapposizioni personali, degli elettoralismi comunque ammantati, dei piccoli e spesso pietosi giochi di potere.
Non ci sono altre strade percorribili che partire dalle presenti difficoltà per cercare da una parte di innovare e sperimentare e dallaltra di far funzionare al meglio ciò che cè. E non si tratta di avere in mente due tempi, così non funziona. Innovare e far funzionare quello che cè debbono andare di pari passo, contemporaneamente. Voglio aggiungere che questo lavoro non è e non sarà possibile se lo dovessimo fare e valutare tutto dallinterno. Si è posto il problema (anzi: lopportunità) non solo dellapertura allesterno, a sensibilità, a culture, a singoli ricercatori che ci hanno già dato indicazioni utili nel nostro lavoro di riforma del Partito, ma si tratta anche di poter utilizzare il lavoro di molti e molte che hanno con noi o vorrebbero avere con noi e spesso non riescono ad incontrarci un rapporto positivo. Sono convinto che dovremmo arrivare ad una sorta di censimento e mappatura, non solo delle competenze, passioni, volontà di lavoro che abbiamo, ma anche indicare una strada per cui uomini e donne, che magari non pensano di poter avere con noi un rapporto stabile sino alliscrizione, possono scegliere una strada di collaborazione. Abbiamo bisogno, sono una risorsa essenziale, di persone che collaborano, ciascuna delle quali ha la sua individualità, le sue capacità, i suoi limiti, il suo percorso fra i ruoli sociali, i suoi tempi, i suoi progetti e le sue aspettative. Anche qui sta la grande sfida di Chianciano, la sfida di un Partito che sinterroga a partire da se stesso, da ciò che è e soprattutto su ciò che vorrebbe essere.