Il campeggio nazionale dei giovani comunisti

Peppe De Cristofaro

Il campeggio nazionale dei Giovani Comunisti, un appuntamento "ormai" centrale per la nostra organizzazione, giunto alla sua seconda edizione, che ha registrato una ottima partecipazione (oltre 350 giovani, ancora più di un anno fa, provenienti da quasi tutte le regioni italiane) di nostri iscritti ma anche di diversi compagni e compagne impegnati nella costruzione del movimento, dei collettivi, dei comitati. E un appuntamento, crediamo, importante per l’intero nostro partito, anche e soprattutto per l’idea di coniugare i molti momenti di formazione politica, i dibattiti, i seminari, con la possibilità di stare insieme per una settimana, discutere, confrontarci, ma anche ascoltare musica, guardare film e giocare a calcio e a pallavolo: potremmo dire, in una parola, un tentativo di costruire "la comunità e l’alternativa".
Ancora, un momento utile, anche in vista della nostra seconda conferenza nazionale (che abbiamo previsto in primavera): cominciando dall’idea, che man mano si è sviluppata nei percorsi tematici svolti nella settimana, di promuovere un intervento più strutturato e più capillare verso le giovani generazioni, attraverso una vera e propria piattaforma sociale, capace di affrontare non solo la fondamentale questione dei diritti e dei bisogni ma anche il terreno delle libertà, troppe volte, in questi anni, abbandonate colpevolmente dalla sinistra e utilizzate invece, dal proprio punto di vista, dalla destra.
Nei vari incontri pomeridiani dei sette giorni abbiamo ragionato sulla ipotesi di una piattaforma "organica" che sappia parlare di diritto allo studio, di inchiesta sul lavoro e salario sociale ma anche di libertà di orientamento sessuale, di legalizzazione delle droghe leggere, di abolizione delle carceri minorili: un intervento da far nascere attraverso una campagna nazionale e da far vivere attraverso movimenti, conflitti, vertenze locali con le amministrazioni. Le nostre analisi sull’Europa, sul modello formativo e culturale, sul lavoro e sul non lavoro, e quindi su un mondo cambiato in pochi anni più radicalmente che nell’intera storia del secolo, debbono diventare il "corpo" di questo nostro progetto, a partire dai bisogni materiali dei giovani fino ad arrivare alla costruzione di un possibile nuovo immaginario. Soprattutto perché i giovani sono oggi al centro di un dibattito e di un rinnovato - e strumentale- interesse, che guarda al conflitto generazionale come alla soluzione dei problemi, e che necessita da parte nostra una risposta non più soltanto resistenziale, per esempio affrontando le questioni delle pensioni e l’intera partita della riforma dello stato sociale proprio cominciando dalla condizione giovanile.
Ma il campeggio è stato anche un altro passo per la costruzione dell’organizzazione, oltre che di una possibile piattaforma politica. Perché crediamo che per contribuire a formare movimenti, per affermare una risposta di sinistra alla profonda crisi della società in questo paese, ci serva ancora, e tanto, un partito più strutturato, più capillare, più presente tra pezzi di mondo, anche giovanili, oggi attratti da altri modelli politici estremamente pericolosi. Questi quasi quattrocento ragazzi, e i diecimila che non erano a Policastro, devono essere una risorsa autentica, e, almeno, un ineludibile contributo al dibattito per Rifondazione Comunista. E già solo per questo i Giovani Comunisti vanno considerati un pezzo centrale dell’intero partito: perché in questa esperienza si trova una parte necessaria della nostra ricerca, del nostro confrontarci con una moderna, e radicale, idea di sinistra, con un’ orizzonte della politica radicalmente mutato. Anche per queste ragioni abbiamo voluto provare a non limitare l’esperienza del campeggio all’iniziativa concreta da sviluppare nei prossimi mesi, e abbiamo invece voluto affrontare il tema più complesso di come fare politica, quali pratiche utilizzare, quali bisogni affrontare. Soprattutto indagando sul mondo che ci è più vicino. E abbiamo voluto chiamare il campeggio "Mediterraneo, non più teatro di guerra, ma ponte di pace" proprio per dare il senso, anche simbolico, di una riflessione articolata su queste nostre terre, quelle in cui viviamo, sulle conseguenze della globalizzazione e le risposte della mondializzazione, sulla guerra che lo ha attraversato, sulle domande e le questioni ancora aperte che questa ha portato con sé. E di guerra e di guerre abbiamo a lungo discusso, provando ad analizzarle da diverse angolature, dalle nuove miserie che producono, dalle oppressioni, dagli sfruttamenti, fino ad arrivare alla questione centrale di quale modello di sviluppo, quale ordine mondiale. Le strategie di consenso del neoliberismo ( e quindi il tema grande dell’informazione) sono state il punto di partenza di questo ragionamento, aperto anche a compagne e compagni della sinistra alternativa, che ha cercato di comprendere gli effetti dei nuovi poteri economici, politici, sui popoli, sulle civiltà, sulle culture.
Anche per tutto questo il nostro campeggio ci è sembrato, pur con tutti i limiti che una organizzazione giovane come la nostra registra, un importante momento di indagine sul processo della rifondazione comunista. Tanto più importante nella difficoltà della fase che l’intero partito affronta, e tanto più utile perché può offrire spunti al suo attraversamento.

partitodimassa n.33