PARTITO DI MASSA
numero 30 - luglio 1999

ANCORA SULLE ELEZIONI

Milziade Caprili
Del risultato elettorale negativo si è già discusso molto nel Partito. Una discussione, peraltro, ancora aperta e tutta tesa a ricercare i motivi di questa sconfitta. Motivi, appunto e non un solo elemento che rimosso potrebbe liberare la strada verso un recupero e addirittura un incremento di elettorato. La cosa non funziona così ed infatti la ricerca critica cerca di vedere tutte le sfaccettature di questo risultato: condivisione tra gli elettori delle scelte che siamo andati compiendo, riconoscibilità della nostra proposta, visibilità delle nostre iniziative, efficacia della nostra linea, scissione/scissioni e credibilità, fine di un ciclo della storia della politica italiana e particolarmente del ruolo dei partiti.
 Questi ed altri motivi ci hanno resi straordinariamente permeabili tra l’altro all’astensionismo. Anche se presa con il beneficio d’inventario la quota del 56% di nostri elettori/elettrici del 1996 che non sarebbero andati a votare, impressiona. La diffusa critica ai partiti non ci diversifica e premia invece le novità, strutture elettorali che non si presentano sotto specie di partiti (Bonino, i Democratici, e per altri versi Forza Italia). Dovremmo capire anche meglio come la guerra ha influito sul risultato elettorale. Noi, per esempio, abbiamo sviluppato sulla guerra una fortissima – quasi totalizzante per i nostri non numerosissimi militanti – iniziativa partecipando (eccome!) alle due grandi manifestazione nazionali, articolando (cosa per noi non sempre semplice) sul territorio molto lavoro contro la guerra favorendo la più larga partecipazione. Come, per altri versi, dovremmo capire quanto può avere influito l’idea, ampiamente introiettata, del sistema bipolare. O come abbia influito sul nostro risultato la valutazione, che in alcuni settori dell’elettorato di sinistra viene fatta, per cui se non stai nel cartello elettorale dei Ds non sei utile a battere le destre. Capire, dunque. Ma capire con chi?, intanto. Non credo che funzioni la tendenza, anche qui, a risolvere tutti i problemi con una discussione prevalentemente interna. C’è un’analisi del voto da fare comune per comune, paese per paese, su dove si è maggiormente caricata la nostra perdita. E'’ vero che perdiamo di più nelle grandi città e generalmente nelle periferie? Potremmo utilizzare le Feste di Liberazione – per dirne una – per organizzare dibattiti con all’ordine del giorno le ragioni di quanti non ci hanno votato più o non sono andati a votare. Capire, ma per che cosa? Guardate: è certo che la percezione dei mutamenti spesso ci trova in affanno e che sono in numero maggiore le cose che ci sfuggono di quelle che riusciamo ad intercettare. Degli errori e dei limiti ho parlato sopra. Pur tuttavia alcune cose le avevamo sufficientemente  chiare: i processi di americanizzazione della politica e delle competizioni elettorali, la marginalizzazione del conflitto sociale, la tendenza adattativa, la passivizzazione, una drammatica frattura tra e nelle generazioni, nelle classi, nei gruppi sociali all’interno delle stesse città, il cono d’ombra che viene proiettato su tutte le forze che non accettano l’alternanza. Come chiare ci erano alcune negatività del nostro lavoro. Su tutte una e cioè l’attitudine ad un lavoro prevalentemente per linee interne. Marco Revelli con spregiudicatezza polemica ha detto di noi a Liberazione: “Questo partito soffre, terribilmente, quasi patologicamente, di autoreferenzialità – chiunque non sia ‘malato di politica’, credimi, tende a fuggirsene via”. Esagerato, forse ma indicativo di una tendenza presente. Una tendenza che non si inverte solo a dirlo. Le nostre aperture, il divenire sempre più luogo di attrazione, dipendono dalle scelte politiche, prima di tutto, e dal grado del rapporto con la società, con le realtà sociali, con i pezzi di società a cui ti vuoi riferire.  “Dobbiamo pensare ad una sorta di tela di ragno – come abbiamo detto a Chianciano – nella quale il circolo sta dentro un sistema di relazioni perché - senza esagerare – o si muove in quel contesto oppure non ce la fa”. Ancora lì siamo.
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