LE NOSTRE RAGIONI AL DI LÀ DELLA SCONFITTA
Marco Berlinguer
E stato un risultato negativo quello conseguito dalle liste
del Partito della Rifondazione comunista alle elezioni del 13 giugno. Un
risultato omogeneamente negativo, con picchi preoccupanti nel Mezzogiorno.
Landamento più variegato nelle elezioni amministrative, se sollecita
unanalisi differenziata, finisce, però, per far risaltare negativamente
il dato sulle elezioni europee, che è un voto massimamente politico.
Sulle ragioni di questo nostro arretramento, inatteso
da tutti nelle sue dimensioni, il Partito ha avviato una riflessione che
non sarà breve, sapendo che non esistono diagnosi semplici e risposte
risolutive alle nostre difficoltà.
Al nostro risultato negativo ha certamente contribuito
anche la recente scissione. Un po perché una parte del nostro elettorato,
al di là degli errori di confusione dei simboli che ci sono stati,
ha espresso il proprio voto per i Comunisti italiani; ma soprattutto perché
quella vicenda, la divisione in sé e il modo in cui si è
determinata ed è stata vissuta e patita da molti, ha intaccato quel
tenue legame di fiducia che oggi lega ogni appartenenza politica e ha corroso,
in un passaggio già in sé difficilissimo, la nostra credibilità
come perno di aggregazione di una forza alternativa alla maggioranza di
centro-sinistra.
Comunque certamente una gran parte del nostro elettorato,
anche di quello politicizzato, ha scelto lastensione, esprimendo
un senso di impotenza e di protesta, oltre che di estraneazione e di distacco.
Certo altri fattori hanno concorso a determinare questo orientamento/disorientamento:
la deriva omologante e il degrado nel panorama politico, o lo scempio illegale
della guerra. In un contesto diverso, tuttavia, una lacerazione simile
alla nostra lha subita anche Izquierda Unida; e IU è lunica altra
forza della sinistra alternativa in Europa a subire un forte arretramento.
Mentre un po ovunque le forze a sinistra delle socialdemocrazie accrescono
i propri spazi.
In generale, in Italia, uno spirito di protesta e di
scissione verso il sistema politico e di governo è ancora una volta
segnalato dal risultato delle elezioni. Si tratta di un sentimento di rivolta
variegato per motivazioni e per substrato e origine sociale, e poco o mal
articolato politicamente e culturalmente. Più che un sintomo è
lespressione di uno stato, aperto da tempo, di crisi politica: che dice
di una difficoltà strutturale di integrazione e di governo del paese.
In questa frattura si aprono varchi per avventure e avventurieri,
germogliano tentazioni autoritarie, ma si esprime comunque una crisi di
egemonia delle classi dirigenti (nonostante il loro articolato e pervasivo
apparato di governo e di controllo del consenso) e degli interessi dominanti,
nazionali e sovranazionali, che ne sovraordinano le scelte. Noi, tuttavia,
non riusciamo ad approfittarne.
Paghiamo certo anche il nostro isolamento, che complice
la logica bipolare, ci fa percepire come marginali. Ma il comportamento
delle socialdemocrazie, in occasione della guerra come nelle scelte di
fondo di politica economica e sociale che vengono compiendo, sta confermando,
purtroppo, e in modo drammatico, le nostre valutazioni allepoca della
rottura con il governo Prodi. LEuropa era allora a un bivio e in gioco
vi era una scelta strategica. Le forze del centro-sinistra, rompendo con
noi, hanno optato per lanima liberale-liberista della socialdemocrazia,
contribuendo prima a isolare il governo francese (che - timidamente quanto
si vuole - indicava comunque una strada di superamento dellarchitettura
conservatrice e liberista di Maastricht) e poi a sconfiggere, con Lafontaine,
la componente riformatrice della socialdemocrazia tedesca.
Tutto questo, oggi, che ne paghiamo i costi, è
ancor più chiaro. Lidea stessa di unEuropa autonoma e alternativa
agli Stati Uniti, al loro modello e al loro disegno egemonico, ne esce
quasi irrimediabilmente compromessa. Le socialdemocrazie al governo (con
la sola eccezione della Francia) scontano un moto di disincanto e disillusione.
Le politiche per lo sviluppo e loccupazione restano vacue e ipocrite giaculatorie
e, nella stagnazione, riprendono un po ovunque con forza le politiche
di «austerità» e di attacco allo stato sociale. Mentre
il pessimo risultato da loro conseguito alle elezioni dovrebbe far riflettere
le socialdemocrazie sulle conseguenze di questa politica suicida, che aggredisce
la base stessa del loro consenso.
In Italia, il governo non trova di meglio che compiacersi
dei risultati segnalati dallultimo rapporto Istat sulloccupazione, che
al contrario, denunciano uno stato di crisi profonda per il nostro Mezzogiorno,
una crescita della precarietà nel lavoro, e mostrano gli effetti,
nella riduzione delloccupazione manufatturiera, della stagnazione e della
caduta delle esportazioni.
La realtà è che lItalia è imprigionata
in una spirale di inviluppo economico, sociale e civile, più grave
che altrove. Avrebbe massimamente interesse a rompere la camicia di forza
del Patto di stabilità, che la sospinge in una posizione periferica
e subordinata, disarticolandone ogni possibilità di organizzare
uno sviluppo socialmente e territorialmente sostenibile. Sottomettendovisi,
invece, si presta a fungere da ventre molle e da laboratorio, insieme alla
Spagna e alla Gran Bretagna, della mutazione sociale che si vuole produrre
nel capitalismo europeo.
E in questo quadro che vanno inserite anche il comportamento
del grande padronato nel recente rinnovo del contratto dei metalmeccanici
e il modo e i contenuti seguiti da governo nellapprontamento del nuovo
Dpef. Entrambi, in forme diverse, segnalano una chiara volontà di
rompere gli attuali precari equilibri sociali.
La sconfitta di Rifondazione comunista non è estranea
a questa nuova accelerazione. E questo dovrebbe far riflettere tutti. Non
noi soltanto. Ma la sinistra Ds, che con la cooptazione di Salvi al governo,
si appresta a coprire, ancora una volta, una nuova sterzata a destra del
governo. E soprattutto i sindacati - e la Cgil in primo luogo - che, di
nuovo, si trovano di fronte a un bivio: gestire con la concertazione questo
nuovo arretramento sociale, o scendere finalmente in campo, come avrebbero
dovuto fare da tempo, per chiamare i lavoratori alla lotta per quella
svolta nelle politiche economiche e sociali, per la quale ci lasciarono
soli a combattere nellautunno scorso. |