PARTITO DI MASSA

Partito della Rifondazione Comunista - Direzione 


Dipartimento Organizzazione - Bollettino interno - NUMERO 27 - marzo 1999 


Una alternativa di società (Fausto Bertinotti)

La posta in gioco (Milziade Caprili)

La supertruffa del dottor Sottile (Gianluigi Pegolo)

La legge dei più forti

Tutte le critiche al diritto di tribuna (Martino Mazzonis)

La proposta Amato - D'Alema (a cura di Angelo Tria)

Due tornate alle urne: che fare?

Tesseramento: facciamo il punto



Una alternativa di società

di Fausto Bertinotti

Questo nostro congresso nazionale cade in un momento che non esitiamo a definire drammatico, per l’Italia, per la democrazia, per i rapporti di forza tra le classi. In questo senso, non è, non può essere, un appuntamento ordinario: noi, Rifondazione comunista, ci siamo. Non è solo uno scatto d’orgoglio quello che ci muove, e non è certo quella sorta di inerzia ad “esistere” comunque, che caratterizza in quest’epoca molte organizzazioni politiche: è piuttosto la consapevolezza di una necessità. Questo partito, pur essendo chiamato da sempre ad assumersi responsabilità superiori alle sue forze, pur consapevole delle difficoltà oggettive e delle inadeguatezze soggettive, avverte di essere ormai approdato a un bivio della sua storia: o è capace di diventare protagonista pieno della scena politica e sociale o rischia di subire un arretramento. Un compito enorme, una sfida davvero straordinaria: è il grande tema dell’efficacia politica da riconquistare e conquistare alla nostra azione e alle nostre idee, come prima, concreta “terapia” di quella malattia che incombe sul paese.
Qual è il nostro obbiettivo? Una alternativa di società, abbiamo detto. Non il disegno di una società futura liberata dal dominio del capitale, che pur resta ragione costitutiva e fondativa di Rifondazione comunista, ma la prospettiva sociale e politica che si può aprire da una battaglia efficace contro il neoliberismo: da una svolta netta della politica e nella società, nel rilancio di una vera prospettiva riformatrice, nelle scelte economiche e sociali, nella forza e qualità dello sviluppo. Tra il modello americano – prospettato oggi dal primo ministro britannico Blair per l’intera Europa, e sostenuto in Italia da D’Alema e Prodi – e una proposta neokeymesiana – capace di ricostruire, insieme un forte “attore pubblico” e una nuova dialettica tra “governanti” e “governati” – una terza via non c’è. Persino la versione temperata del neoliberismo non appare più, in questo momento, una carta da giocare: i poteri forti vogliono davvero tutto, la spinta dominante è verso una società autoritaria, dove la democrazia è ridotta a involucro formale nelle istituzioni, ma soprattutto nel conflitto sociale.
E’ questo l’orizzonte che si annuncia negli eventi oggi in pieno svolgimento: siamo a una accelerazione, a una precipitazione, fino a pochi mesi fa imprevedibile. Nella crisi del centrosinistra, indotta dalle convulsioni del centro e dalla subalternità della sinistra moderata, muta, in profondità, il sistema politico e istituzionale: il referendum e la legge elettorale che ad esso seguirà ci annunciano un assetto bipolare, che fa dell’alternanza la propria logica assoluta. E le elezioni europee saranno il banco di proca per possibili maggioranze. Nella crisi economica, emerge – nella vicenda della scalata Telecom – un capitalismo particolarmente selvaggi e incontrollabile. Nella dinamica internazionale, si ripropone – dal drammatico caso di Ocalan alle bombe su Bagdad, fino alla sentenza del Cermis – l’arroganza imperiale degli Usa – e la contraddizione mai sopita di una sovranità nazionale, la nostra, oggi ridotta, a sua volta, a un simulacro. In questo quadro, le nostre quattro giornate di Rimini si presentano come un’agenda densissima di lavoro e di impegno. Vogliamo celebrare solo le nostre idee e le nostre proposte di lotta.

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La posta in gioco

di Milziade Caprili

Le forze politiche portano avanti
a colpi di referendum e riforme elettorali
il riassetto del panorama politico.
Chi rischia di sparire dalle istituzioni
sono quelle donne e quesgli uomini
in carne e ossa che non hanno
la forza di trasformarsi in lobby.

L’attacco alla democrazia che sta venendo avanti sarebbe stato difficilmente immaginabile anche  solo qualche anno fa. Esso è reso ancora più pericoloso dal fatto che a portarlo avanti non sono solo le forze della destra, politica ed economica, ma un governo di centro sinistra o presunto tale.
Da una parte abbiamo l’iniziativa referendaria, diventata la bandiera di quanti hanno come fumo negli occhi la democrazia organizzata dei partiti, di quanti hanno in mente modelli autoritari di controllo della società, dall’altra una legge elettorale proposta dal governo che sembra fatta apposta per far scomparire Rifondazione Comunista ed escludere dall’agenda politica grandi temi come il lavoro, i bisogni, le politiche dello sviluppo sostenibile.
Del resto da tempo si assiste ad una torsione autoritaria e non solo a livello istituzionale. Pare quasi che molte iniziative  - dalle leggi elettorali alle cosiddette riforme istituzionali alle vere e proprie normative contro gli scioperi e per flessibilizzare i diritti dei lavoratori – siano concentrate nell’allontanare il più possibile dai centri decisionali le donne e gli uomini in carne ed ossa con i loro bisogni e le loro aspirazioni. La compagine che sostiene il referendum ha iscritta persino nella sua composizione la natura di questa iniziativa. Basti pensare che il presidente del comitato promotore è quell’Abete fino a qualche anno fa presidente della Confindustria.
In altra parte verranno descritti quali potrebbero essere gli effetti se il quesito referendario dovesse avere il consenso degli elettori. Qui mi limiterò solo a descrivere quale potrebbe essere il quadro all’indomani del 18 aprile. Le forze politiche, i partiti come li abbiamo conosciuti verrebbero a perdere qualsiasi senso e funzione all’interno della società italiana, essi verrebbero trasformati in una consorteria di comitati elettorali, in federazioni di lobby, tese esclusivamente a far prevalere questa o quella candidatura. Gli stessi candidati non sarebbero più scelti sulla base dei loro meriti, ma sulla base delle disponibilità, soprattutto economiche, della loro influenza politica, della forza della lobby chiamate a sostegno.
È facile prevedere chi sarà fuori dai giochi. 
Già oggi gli interessi dei lavoratori, dei disoccupati hanno uno scarso peso politico. Pensate a cosa accadrà in questo radioso futuro che stanno disegnando per la democrazia: chi penserà mai di fare una lobby di cassaintegrati, di lavoratori in nero, di immigrati più o meno clandestini?
Ma altri sono i disegni e i progetti dei vari Segni, Di Pietro, Abete e compagnia cantando. A lorsignori (come avrebbe detto Fortebraccio) interessa vedere rappresentati e tutelati gli interessi dei più forti, sono attentissimi ai sussurri del “mercato”, della “Borsa”,  vogliono rappresentare quanti pensano che ci possa essere progresso senza sviluppo, produttività senza produzione, industria senza lavoro. Tutto questo risulta molto più interessante che le reali esigenze del paese.
D’altra parte la risposta che il governo si appresta a dare all’iniziativa dei referendari è peggiore del male.
La proposta avanzata fa inorridire anche i più scatenati sostenitori di qualsiasi sistema maggioritario. D’altra parte non è un caso che si sia aperta una discussione (discussione che guardiamo con grande interesse) tra e nei partiti che pur apparivano sostenitori della legge truffa che più truffa non si può. Colpisce che, nonostante i ripensamenti e la ridiscussione in corso, le forze che sostengono il governo di centro sinistra siano arrivate ad accordarsi su un testo come quello della bozza Amato.
Come diremo in un altro articolo neanche la parte più reazionaria della Democrazia Cristiana riuscì a pensare un meccanismo elettorale così perverso.
Si dice che la legge del governo, introducendo una più robusta dose di maggioritario, favorirà il formarsi del bipartitismo perfetto. Come se un sistema politico potesse nascere clonando qualche sistema elettorale estraneo alla cultura e alla tradizione di un paese e come se non si avesse sotto gli occhi quanto successo nell’attuale legislatura dove si è assistito e si continua ad assistere alla creazione di formazioni politiche sempre più piccole, pronte a spostarsi da una parte all’altra dello schieramento politico.
Se ciò non bastasse la proposta all’origine avanzata da Amato prevede di chiudere in una riserva indiana, tutte quelle forze che non possono e non vogliono essere costrette a scegliere fin da subito di schierarsi in coalizioni che si assomiglieranno sempre di più. Gli interessi che si muovono dietro queste manovre sono tantissimi, la polemica contro i partiti continua, purtroppo, ad avere larghissimo seguito, sostenuta com’è da un apparato di propaganda robusto.
Il rischio è quello di far diventare senso comune fra la gente, come purtroppo sta accadendo, che può esistere una democrazia senza i partiti che la organizzano.
Occorre allora un grande sforzo per opporsi a questo disegno.
Occorre che tutto il nostro partito sia impegnato in prima fila nella costruzione dei Comitati per il No al referendum, mettendo a disposizione di questi tutte le nostre strutture, le nostre sedi e in primo luogo il nostro impegno.
Nello stesso tempo, anche attraverso i Comitati, dobbiamo far crescere fra la gente, fra i democratici, il senso dell’opposizione al disegno di legge governativo.
Occorre moltiplicare le iniziative per far conoscere le nostre ragioni.
Il senso da dare alla nostra battaglia deve essere quello di una difesa strenua dei valori – starei per dire normali – di una democrazia, il fatto cioè che:” tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” come recita l’art. 49 della Costituzione.
I Comitati per il No non devono essere solo luoghi dove riunire le forze politiche ma anche centri di smistamento di materiale e, prima di tutto, diventare luoghi attivi, centri di discussione, centri di attrazione attraverso l’organizzazione di feste, banchetti permanenti e quanto altro sia necessario.
I nostri avversari avranno sicuramente a disposizione una quantità enorme di materiale propagandistico,  allora dobbiamo pianificare la comunicazione, approfittando di tutti i momenti aggregativi che abbiamo a disposizione: manifestazioni sportive, feste, sagre, etc.
Sarebbe utile ripetere anche nella campagna referendaria, dove possibile, l’esperienza di “cento tende in cento città”, come già fatto in occasione della Finanziaria del ’99, impiantando in maniera stabile in alcune grandi piazze una tenda del No, attorno a cui organizzare momenti di ritrovo, dibattiti, volantinaggi, giornali parlati.
È di fondamentale importanza che la nostra propaganda sia la più capillare possibile, non bisogna trascurare nulla, sforzandosi soprattutto di arrivare ad intercettare l’elettorato più giovane, coinvolgerlo in una battaglia che, come in pochi altri casi, è per la democrazia.

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La supertruffa del dottor Sottile

Ovvero perchè le proposte di riforma elettorale sono pericolose per la democraziaLa proposta elettorale avanzata dal governo D’Alema va contrastata con ogni mezzo perché rappresenta un disegno liberticida che sembra avere come unico obbiettivo quello di escludere Il Prc dalla rappresentanza istituzionale. Purtroppo, nella generale confusione che regna in Italia in tema di assetti istituzionali ed elettorali, vi è il rischio che la vera natura di questa proposta possa sfuggire alla gran parte dei cittadini. E’ utile chiarirne i contenuti proprio per avere strumenti per poterli chiarire a tutti. La proposta prevede l’allargamento del numero dei seggi da attribuire nei collegi uninominali, passando dall’attuale 75% al 90% (567 seggi su 630 vengono assegnati nei collegi uninominali sulla base di un meccanismo a doppio turno). Si un candidato in un collegio ottiene più del 50% dei voti validi viene eletto, altrimenti si va al ballottaggio tra i primi due. Naturalmente, a quest’aumento del numero dei seggi assegnati col maggioritario, corrisponde la diminuzione di quelli assegnati nella quota proporzionale (dal 25% al 10%, pari a 63 seggi). I 63 seggi del proporzionale vengono suddivisi a loro volta in tre quote: la prima, fino a 23 seggi, viene assegnata a quelle forze che decidono di non candidarsi nei collegi uninominali, la seconda, uguale alla precedente, viene data come premio di maggioranza alla coalizione che nei collegi uninominali ha ottenuto più seggi e, infine, i restanti seggi vengono distribuiti tra le forze che si sono presentate nei collegi uninominali. Al momento del voto, l’elettore è costretto a scegliere fra i partiti che si presentano nei collegi uninominali e quelli che partecipano al solo diritto di tribuna.
A questa proposta si possono fare molte e motivate critiche fondamentali (alcune delle quali stanno, tra l’altro, indebolendo la forza della proposta avanzata dal ministro Amato).
Il meccanismo determina un accentuarsi della spinta maggioritaria a esclusivo beneficio delle coalizioni principali.
A chi non fa parte di coalizioni viene negata anche la possibilità di partecipare alla competizione per l’attribuzione dei seggi nei collegi uninominali.
L’introduzione del diritto di tribuna per coloro che non si presentano nei collegi uninominali costituisce il mezzo per disincentivare la presentazione di forze politiche autonome nei collegi uninominali. Il fine è quello di tutelare le coalizioni principali.
Il diritto di tribuna non costituisce una garanzia reale per le forze che si collocano fuori dalle coalizioni: i seggi assegnati sono pochissimi e l’elettore viene disincentivato a votare per i partiti che non sono presenti nei collegi uninominali per non penalizzare le coalizioni.
Il sistema disegnato da Amato ha due finalità: sovrarappresentare i poli e azzerare la presenza istituzionale di chi, come Rifondazione comunista, non intende omologarsi. Si tratta dunque di un disegno spartitorio e antidemocratico  che favorisce una pericolosa involuzione politica e istituzionale. Per questo va respinto in tutti i modi.
Se venisse approvato, infatti:
tutta la dialettica democratica si risolverebbe nella competizione tra due schieramenti molto simili tra loro, tagliando tutte le voci che non accettano di far parte del coro e che sono portatrici di istanze di cambiamento; crescerebbe la disomogeneità all’interno dei poli perché all’interno delle forze politiche crescerebbe la forza del notabilato locale, delle lobby, il tutto in una contrattazione continua per offrire appoggi e ottenere in cambio garanzie sull’elezione nei collegi; la selezione del personale politico sarebbe condizionata dall’appoggio dei mass media e dei poteri forti e sempre meno sottoposta al vaglio dei partiti creando le premesse per propensioni trasformistiche che favorirebbero l’aumento della frammentazione politica minacciando la stessa governabilità, argomento principe usato dai sostenitori del nuovo sistema.
Infine, come già sta avvenendo, il nuovo sistema accentuerebbe la crisi di partecipazione al voto, avvicinandoci ancora a quel modello americano dove è massima la distanza fra cittadini e istituzioni.
Per tutte queste ragioni dobbiamo contrastare con ogni mezzo questa legge truffa, persino peggiore di quella che la Dc e i suoi alleati tentarono di imporre negli anni 50 – e che i nostri parlamentari presenteranno provocatoriamente come nostra proposta di riforma elettorale, sostenendo che, appunto, è meglio di quella Amato. Da allora molte cose sono cambiate: la sinistra si batté contro la torsione maggioritaria, oggi una sua importante componente è protagonista della deriva antidemocratica. Per quanto ci riguarda non subiremo il tentativo di farci scomparire dalle istituzioni. Per quanti si cimentano in tentativi di annientamento del nostro partito nella speranza di assorbire il nostro elettorato devono sapere che il gioco è pericoloso. Non è escluso che, così facendo, non decretino la loro stessa sconfitta.

Gianluigi Pegolo

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La legge dei più forti

Alcune verità sul referendum del 18 aprile

Cerchiamo di capire meglio quale sarebbe il risultato di una vittoria del quesito referendario sostenuto dall’asinello dysneiano dei democratici, dai Ds e dal Polo. L’idea, lo ripetiamo in tutti gli articoli di questo numero di Partito di massa, è quella di una via plebiscitaria alla “riforma della politica”, condita da una retorica antipartiti che si fa forte della difficoltà di una politica senza idee a dare risposte adatte ai tempi difficili che viviamo.
Per chiarire l’obbiettivo del quesito referendario utilizziamo il testo sottoscritto da una serie di associazioni che si sono schierate nella battaglia per il No. Il risultato sarebbe quello di far eleggere dai cittadini, in un quarto dei collegi uninominali, non solo il vincitore, ma anche il primo degli sconfitti, indipendentemente dal consenso elettorale conseguito dal partito cui appartiene. In tal modo paradossalmente, il sistema maggioritario bipolare si converte in un sistema per cui gli elettori di uno stesso collegio eleggono il candidato maggioritario e quello minoritario e cioè, per come è composto il panorama politico, i due Poli si spartiscono tutti i seggi possibili (salvo nelle zone in cui è molto forte la Lega o in qualche altro raro caso). Si tratterebbe insomma di un sistema che uninominale non maggioritario, che contiene elementi ambigui di proporzionale costruiti ad arte affinché i poli possano spartirsi tutti i seggi. Chi non si allea resta fuori. Le alleanze diventano obbligatorie indipendentemente dai programmi, dalla proposta politica. Si tratta insomma di un sistema che si configura come una gara a eliminatorie con il recupero dei secondi arrivati che ha come scopo quello di eliminare tutti i concorrenti meno due.
E’ improbabile che un sistema così assurdo non venga rimodellato da una riforma successiva al referendum. Proprio per questo, nonostante la difficoltà della battaglia, occorrerà impegnarsi a fondo per le ragioni del No. La vittoria del No o, comunque, un numero alto di voti espressi contro quest’ipotesi assurda, obbligherebbe le forze politiche ad accordarsi su un’idea di modello elettorale più avanzata di questa.

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Tutte le critiche al diritto di tribuna

La presa di posizione del Prc e i distinguo di molti esponenti della maggioranza hanno portato a una prima e parziale modifica degli aspetti peggiori della legge Amato.
La storia del progetto di legge Amato, i cui contenuti sono spiegati in altri articoli, ha conosciuto alcune fratture.
Cerchiamo di ricostruire i passaggi che hanno provocato i cambiamenti che la Commissione Affari costituzionali formalizzerà (per chi scrive si tratta di un evento che verrà, per chi legge dovrebbe essere già avvenuto) alla metà del mese di marzo, quando comincerà la discussione generale.
Cominciamo col dire che, oltre ai dubbi sulla costituzionalità del disegno di legge e alle prese di posizione di alcuni esponenti del centro sinistra, un elemento che ha provocato i passi indietro sul diritto di tribuna è la presa di posizione del Prc. L’annuncio dato in conferenza stampa, all’indomani della presentazione della legge da parte del ministro, che il nostro partito non avrebbe partecipato al diritto di tribuna ma si sarebbe invece presentato in ogni collegio, ha prodotto dei ripensamenti aggiuntivi nel fronte di centro sinistra (che avrebbe rischiato una sonora sconfitta).
Poi si è aggiunto il lavoro fatto da Liberazione che, intervistando importanti esponenti del centro sinistra li ha fatti pronunciare sulla legge “Supertruffa”. Un lavoro politico fatto dal centro del partito che è servito a far arretrare un’ipotesi folle, ma che non basta a fermare il disegno complessivo: la trasformazione in senso autoritario e concertativo della democrazia nel nostro paese. Lavorare per fermare questo disegno sta invece a tutti coloro che militano nel Prc. Ottenere un risultato nel voto per il referendum, spiegare ai cittadini di questo paese che se passasse quella legge avrebbero meno diritti, è uno dei tanti, difficili, compiti a cui siamo chiamati. Riprendiamo alcuni stralci da quelle interviste.
Cominciamo da Salvi:” Nell’iniziale bozza Amato era previsto un doppio voto, per il collegio e per la quota: si è obbiettato da più parti che questa norma non garantiva chiarezza. Si è dunque eliminato il doppio voto, mantenendo i due voti su unica scheda…la contestazione avanzata mi persuade…penso che la norma debba essere cambiata….Sull’accesso al secondo turno è possibile discutere l’introduzione di una soglia..”. Il senatore popolare Leopoldo Elia, tra i più autorevoli giuristi del nostro paese aggiunge qualche giorno dopo: “Avevo avvertito il governo sui limiti di costituzionalità del diritto di tribuna…Noi (i Popolari) siamo per un doppio turno che superino una certa soglia di consensi….si tratta di un sistema che che lascia maggiori possibilità di scelta agli elettori…diversamente da un sistema che stringa il confronto tra due sole forze politiche”. Il direttore del Popolo, Guido Bodrato faceva, il 26 febbraio, delle valutazioni politiche:” Si è schiacciato molto il confronto intorno alla legge sulla contingenza politica. Non solo; si rischia di dare alle minoranze più forti tutto il potere. Io sono proprio contro, ritengo sia un pensiero reazionario.” Il leader della sinistra dei Ds aggiungeva, per finire, che secondo lui occorra rivedere la proposta Amato, non negando che tra la negazione del gruppo alla Camera e  la legge elettorale ci sono dei nessi – la volontà di cancellare per legge quello che non si riesce a fare in politica.
Queste le parole, da queste affermazioni dovrebbe uscire una nuova proposta che prevede un voto in due turni come se non ci fosse il problema della “tribuna”. Questa si forma solo dopo il secondo turno, assegnandola proporzionalmente ai voti presi alle forze che non hanno rappresentanza nei collegi, pur avendo ricevuto consensi.
Un passo avanti che consente a tutti di concorrere ad armi pari, non certo la prefigurazione di un sistema elettorale più democratico. Una piccola battaglia è stata vinta grazie ad una forte presa di posizione del Prc, l’impegno nella campagna referendaria e una presenza vitale nella società possono contribuire a frenare un’involuzione democratica dinnanzi alla quale non possiamo stare a guardare.

Martino Mazzonis

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La proposta Amato - D'Alema

La proposta di legge è tesa a rafforzare in senso uninominale e maggioritario il sistema elettorale.
Innanzitutto essa introduce una modifica del rapporto tra deputati eletti in maniera uninominale e deputati eletti in maniera proporzionale (attualmente il rapporto è 75% e 25%). La misura fissata è 90% eletto in maniera uninominale e 10% eletto in maniera proporzionale.
La parte uninominale
Il sistema di uninominale previsto è il doppio turno di collegio: se nessuno dei candidati, presenti in un collegio, raggiunge il 50% + 1 dei voti si procede ad un secondo turno elettorale di ballottaggio nel quale sono ammessi i due candidati che hanno ottenuto il maggior numero dei voti.
Questo sistema non è presente in nessuna parte del mondo, perché i sistemi più conosciuti (anglosassone e francese) prevedono o il turno unico, nel caso anglosassone, o il doppio turno aperto a tutte quelle forze che abbiano raggiunto una certo quorum, il 12,5% nel caso francese.
La parte proporzionale
Per quanto riguarda il residuo proporzionale (63 seggi) verrà così ripartito, una parte (fino a 23 seggi) verrà assegnato per il cosiddetto “diritto di tribuna”. A questi seggi avranno, cioè, diritto quelle forze che non presenteranno alcun candidato nei collegi uninominali e che quindi decidono fin da subito di autoescludersi dalla possibilità di determinare il governo del paese. Una seconda parte (il numero dei seggi è il medesimo attribuito al diritto di tribuna) viene assegnata ai candidati non eletti della coalizione vincente (premio di maggioranza). Una terza parte viene assegnata ai “migliori secondi”, cioè a quei candidati nella parte uninominale che non sono stati eletti, indipendentemente dalla coalizione che li aveva candidati.
Alcune verità
Innanzitutto occorre sgombrare il campo da una notizia che i giornali hanno, volutamente, riportato male: non è vero che i seggi spettanti al “diritto di tribuna” sono 23. Il meccanismo prevede infatti che alle forze che scelgono di avvalersi di questo diritto vengano assegnati, in base alla percentuale ottenuta, fino a 23 seggi. Occorre allora fare chiarezza su quello che sarà il meccanismo di votazione: scheda unica dove saranno presenti sia i candidati della parte uninominale che i candidati delle forze che hanno scelto il diritto di tribuna. L’elettore ha diritto di esprimere un solo voto, o per una delle coalizioni, o delle forze che sono presenti nella parte uninominale o per una delle forze presenti per la tribuna. La percentuale verrà quindi calcolata non in base ad un meccanismo unico, uninominale o proporzionale, ma in base ai voti complessivi. È chiaro che il meccanismo del “voto utile”, porterà ad abbassare notevolmente i voti delle forze che hanno deciso di presentarsi solo per la rappresentanza. Tale meccanismo viene solo in parte compensato dal fatto che i voti assegnati al diritto di tribuna vengono moltiplicati per due. Per fare un esempio: secondo i risultati del ’96 il Prc ha ottenuto l’8,6% dei voti (calcolati però sulla base della scheda dove erano presenti i simboli dei partiti), essa avrebbe diritto, confermando questo risultato, al 17,2% dei 23 seggi spettanti al diritto di tribuna e cioè non più di 4 o 5.
Altro elemento: il secondo comma dell’art. 48 della Costituzione recita “il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. Tale dettato viene apertamente violato, infatti il voto dei cittadini, infatti, non sarebbe più uguale perché alcuni avrebbero diritto a scegliere chi governerà, altri no, disattendendo così anche l’art. 49 della Costituzione “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Occorrerebbe chiedersi come, con il semplice diritto di tribuna si può esercitare quest’ultimo diritto.
Un ultima curiosità: e se i cittadini votassero in stragrande maggioranza per un partito presente solo per il diritto di tribuna? Si avrebbe il curioso caso che tale partito eleggerà 23 deputati, mentre una minoranza di cittadini potrebbe eleggere il 90% del Parlamento.

a cura di Angelo Tria

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Due tornate alle urne: che fare?

Brevi note per orientarsi nei tempi e nelle procedureCome ben sapete, nella prossima primavera ci saranno diverse scadenze elettorali che riguarderanno l’elettorato di tutta Italia e che vedranno impegnati tutti gli organi del partito. Al fine di adempiere a tutte le operazioni che le leggi stabiliscono nelle diverse fasi necessarie per la presentazione delle liste, per la propaganda elettorale, per la nomina dei rappresentanti di lista e quant’altro, vi verranno inviati Notiziari dalla Direzione nazionale – Ufficio Elettorale.
Di seguito abbiamo riassunto soltanto alcune delle scadenze che riguardano il Referendum e le Elezioni Amministrative. Per qualsiasi ulteriore vostra richiesta potete contattare la compagna Mimma Tisba allo 06-44182265 (fax. 06/4418228 - e-mail: elettorale.prc@rifondazione.it)

Referendum: 18 aprile 1999

Entro il 34° giorno antecedente quello della votazione (lunedì 15 marzo)
Scadenza del termine per la presentazione, alla Giunta comunale – da parte dei partiti o gruppi politici presenti in Parlamento e da parte dei promotori dei referendum, nonché dei gruppi fiancheggiatori – della domanda per l’assegnazione degli spazi di propaganda per i referendum popolari.
Entro il 2° giorno antecedente quello della votazione: (venerdì 16 aprile)
Scadenza del termine per la presentazione, al Segretario del Comune, delle designazioni dei rappresentanti di lista dei partiti o gruppi politici rappresentanti in Parlamento e dei promotori dei referendum presso gli Uffici di sezione.
Tale designazione potrà essere presentata, anche, direttamente ai presidenti degli Uffici di sezione il sabato pomeriggio, oppure la mattina stessa della votazione, purché prima che abbiano inizio le relative operazioni.
Riteniamo utile, inoltre, informarvi sulla procedura prevista dalla norma sui referendum (legge 25 maggio 1970 n. 352 art. 19), riguardante la nomina dei rappresentanti di lista.
Alle operazioni di voto e di scrutinio presso i seggi possono assistere, ove lo richiedano, un rappresentante effettivo ed un rappresentante supplente di ognuno dei partiti, o dei gruppi politici rappresentanti in Parlamento, e dei promotori del referendum. 
Alle designazioni dei predetti rappresentanti provvede, per i seggi e per gli Uffici provinciali, persona munita di mandato, autenticato da notaio, da parte del presidente o del segretario provinciale del partito o gruppo politico oppure da parte dei promotori del referendum.

Elezioni amministrative: 13 giugno 1999

Entro il 34° giorno antecedente a quello della votazione (lunedì 10 maggio)
Termine entro il quale devono pervenire, al sindaco del comune, le domande di coloro che, pur non partecipando direttamente alla competizione elettorale con liste di candidati, intendono eseguire affissioni di propaganda elettorale negli spazi di cui al secondo comma dell’art. 1 della legge 4 aprile 1956, n. 212 [“Norme per la disciplina della propaganda elettorale”] (Fiancheggiatori).
Dal 30° al 29° giorno antecedente a quello della votazione (dalle 8.00 di venerdì 14 alle 12.00 di sabato 15 maggio)
Presentazione delle candidature alla carica di sindaco e delle liste dei candidati alla carica di Consigliere per l’elezione diretta del sindaco e del Consiglio comunale e per l’elezione del Consiglio circoscrizionale presso la segreteria del comune e delle candidature alla carica di presidente della provincia e dei gruppi di candidati alla carica di Consigliere per l’elezione diretta del presidente della provincia presso la segreteria dell’Ufficio elettorale centrale, costituito presso la Corte d’Appello o il Tribunale del capoluogo di provincia o, in mancanza, presso il Tribunale della provincia più vicino al capoluogo.
Entro il 2° giorno antecedente a quello della votazione (venerdì 11 giugno)
Presentazione, al segretario comunale, degli atti di designazione dei rappresentanti di lista e di gruppo per le elezioni comunali, circoscrizionali e provinciali presso i singoli seggi e presso l’Ufficio centrale, anche per l’eventuale turno di ballottaggio. Decorso il termine anzidetto, la designazione può essere comunicata direttamente ai presidenti degli Uffici elettorali il sabato pomeriggio, oppure la mattina stessa dell’elezione purché prima dell’inizio delle operazioni di votazione.
La designazione dei rappresentanti può essere fatta esclusivamente dai delegati di lista risultanti sulla dichiarazione di presentazione depositata al comune o al tribunale. La designazione deve essere fatta per iscritto e la firma dei delegati deve essere autenticata da uno dei soggetti previsti dalla legge 130 del 1998 (ovvero: da notai, giudici di pace, cancellieri, collaboratori delle cancellerie dei tribunali e delle preture, i presidenti della province, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vece presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia).

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Tesseramento: facciamo il punto

L’andamento positivo delle adesioni al Prc per il 1999, favorito certamente dai congressi di circolo, non deve far venir meno un serio lavoro di analisi sul tesseramento.
Infatti, sono ancora molte (troppe) le federazioni che non segnalano i dettagli del tesseramento (reclutati e recuperati), si tratta di dati che aiutano a capire e consentono di evidenziare il lavoro dei compagni e delle compagne che si occupano di tesseramento nei circoli.
Molti sono i circoli, in particolar modo nei luoghi di lavoro, dove si è raggiunto e superato il dato del ’98. Le federazioni accorpano giustamente, nel corso dei lavori preparatori dei congressi, accorpato quei circoli che non raggiungevano i 20 iscritti. L’impegno è quello di rilanciare, in ciascuno di essi, l’iniziativa politica e reinsediare il partito. Non rimane che lavorare sodo sul territorio a partire dall’impegno comune, assunto nella riunione del 4 marzo scorso, di organizzare, subito dopo il congresso nazionale, le riunioni regionali delle segreterie di federazione con lo scopo di definire un percorso che metta a punto l’analisi sullo stato del partito e un programma di sviluppo, rafforzamento e insediamento del Prc nei comuni, nei luoghi di lavoro e di studio.

Enzo Jorfida

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informazioni: Umberto Ilari

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