PARTITO DI MASSA

Partito della Rifondazione Comunista - Direzione 
Dipartimento Organizzazione - Bollettino interno - NUMERO 24 - gennaio 1999
 



Iniziativa e Congresso

di Aurelio Crippa
I fatti confermano la giustezza della scelta compiuta nell’attuale vicenda politica.
Le recenti, parziali elezioni, malgrado la scissione, l’oscuramento, gli attacchi, indicano un risultato incoraggiante, una forza pressoché intatta. Una smentita secca per i nostri detrattori che ci davano per spacciati dopo l’uscita dalla maggioranza, per i mass-media che accreditavano l’idea di una scissione che aveva spaccato a metà il Partito, il suo elettorato.
Rispondano costoro all’interrogativo d’obbligo: è giusto che ad un partito che ha sostanzialmente riconfermato la sua forza venga negata la rappresentanza parlamentare?
I comunisti, Rifondazione Comunista, vede con grande preoccupazione il crescente astensionismo, drammatico segnale di una crisi e di una disaffezione che da tempo abbiamo colto, per il superamento delle quali stiamo attivamente operando.
La scelta che ha dato vita al governo D’Alema-Cossiga è stata determinata dalla ricerca di una stabilità politica di segno moderato, non imposta dagli eventi, con un programma peggiorato rispetto al precedente, a cui Confindustria e Sindacati garantiscono il consenso, attraverso il meccanismo della concertazione, rilanciato dalle trattative per il patto sociale. In questo contesto il Parlamento, l’espressione del voto degli italiani, diventa strumento di ratifica di scelte già prese al tavolo della concertazione.
Ma guardiamo ai provvedimenti che questo governo ha preso: dall’attacco al diritto di sciopero, al processo di liberalizzazione e privatizzazione dell’Enel, alla fiducia posta sul decreto che stabilisce gi straordinari a partire dalla 45^ ora, alla scelta clamorosa del finanziamento alle scuole private, al rifiuto dell’introduzione della legge sulle 35 ore nel collegato della finanziaria, allo scarto tra gli indirizzi di politica economica e sociale nascenti in Europa e quelli che si vogliono adottare in Italia.
Per noi comunisti il problema è: dare efficacia alla lotta di opposizione, costruire i movimenti per uno spostamento a sinistra del Paese. Su e per questo si deve sviluppare la nostra iniziativa, che già positivi risultati ha ottenuto laddove è stata posta in campo.
Contestualmente il Congresso per definire la linea politica, nell’ambito del processo in atto della Rifondazione Comunista, cioè la strategia per la trasformazione della società capitalistica, con l’obiettivo, tra questo ed il prossimo, di definire il programma fondamentale del Partito.
Per tutti questi motivi il Congresso dovrà essere aperto sia all’interno che verso l’esterno: dobbiamo sapere accompagnare la difesa della nostra autonomia alla capacità di interloquire con le altre forze.
L’opposizione che intendiamo condurre ha caratteristiche propositive per costruire l’alternativa e quindi deve essere dotata di un progetto capace di fare emergere la nuova centralità del lavoro salariato, l’universalismo dello Stato sociale e la qualità innovativa delle sue prestazioni.
Iniziativa politica, Congresso, dunque, ma, insieme, rafforzamento e potenziamento della presenza organizzata del Partito. Segnali positivi dal tesseramento 1999: occorre procedere con impegno e fiducia. Con l’entrata di una nuova leva di comunisti nel Partito, la condizione per costituire nuovi circoli nel territorio, nei luoghi di lavoro e di studio, verso i quali occorre una particolare attenzione.
Così come per Liberazione, il giornale comunista: va acquistato, letto, diffuso, fatto diventare uno strumento della nostra battaglia politica quotidiana.
“Rifondazione Comunista è viva e vegeta”: questa è la condizione che rende non solo credibili ma possibili i nostri obiettivi di battaglia politica e di allargamento della nostra presenza organizzata.
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Il radicamento del partito e la crisi della politica

di Milziade Caprili
L’andamento positivo del tesseramento ’99 indica lo stretto legame tra una proposta politica chiara e capacità d’insediamento. Anche per questo la scelta di tenere dei congressi "aperti", capaci di dialogare col territorio, di stabilire con esso legami più stretti.
Proprio in questi giorni si fa un gran parlare della disaffezione rispetto alla politica che sta orientando i comportamenti di molte donne e molti uomini nel nostro paese. L’assenteismo elettorale, il non voto divenuto il primo partito in molti comuni e molte provincie, segnalano una vera e propria emergenza: siamo a percentuali che una volta leggevamo nei resoconti giornalistici delle elezioni statunitensi. Ma non solo questo, ovviamente. Gli stessi partiti sono investiti da un processo critico che riguarda anche, diciamo così, le ragioni materiali, i meccanismi di finanziamento pubblico. C’è peraltro un ritrarsi della iscrizione ai partiti, per non dire una vera e propria fuga dalla militanza. Si tratta di fenomeni complessi che andranno meglio indagati (perché non mettere insieme, per quello che ci riguarda una sorta di viaggio all’interno del Prc?). Riguardano anche noi questi problemi? Certo. Possiamo dire però, evitando ogni boria di partito, che il fenomeno ci lambisce e basta. E ciò anche perché la nostra fisionomia politica, è netta e gli obiettivi che ci poniamo sono ovviamente criticabili ma molto ben riconoscibili. Ed è per questo che si lavora – e da più parti – alla costruzione di un cono d’ombra sotto il quale tentare di nascondere la nostra iniziativa.
Gli iscritti e le iscritte del 1999, intanto, ci segnalano una forte ripresa nell’insediamento del partito. Non si tratta solo di una giusta reazione alla scissione ma di una rinnovata capacità d’attrazione della nostra politica. Sta a noi dare continuità e stabilità a questi fenomeni. Si è detto, e a buona ragione, congressi aperti. Significa non solo e non principalmente l’invito alle altre forze politiche a partecipare ed intervenire ma, ben più corposamente tenere conto che molti e molte, ad iniziare dall’area territoriale di competenza del circolo possono essere interessati a conoscere quello che proponiamo, le idee di Rifondazione, gli uomini e le donne che il nostro partito dirigono. Il congresso discute, come è ovvio, della linea politica e dell’organizzazione del partito: le due non sono scindibili, formano una coppia. Il piano d’iniziativa per l’insediamento del partito dovrà essere al centro di ogni congresso di circolo e di federazione. Al centro, e non un adempimento aggiuntivo, non una necessità politica marginale. Al centro perché noi non abbiamo inteso l’organizzazione come elemento separato, che vive autonomamente. Al centro perché pensiamo le forme dell’organizzazione in rapporto ai grandi mutamenti sociali e ai problemi di costruzione di una linea.

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Un passaggio difficile

I test elettorali del mese scorso accrescono i timori per la crisi democratica del paese: astensionismo e rinascita della Dc ne sono gli ingredienti. Il Prc non risente troppo degli eventi che l’hanno coinvolto.
Nonostante che il turno elettorale del 29 novembre sia stato un test poco significativo, per trarne previsioni generali e nazionali, è possibile cogliere alcune indicazioni.
La prima, che risalta e s’impone con forza all’attenzione di tutte le forze politiche, è certamente l’alta percentuale dei non votanti. Infatti, la partecipazione al voto alle elezioni comunali è stata del 71,1%, mentre alle precedenti elezioni era stata dell’80,7%; alle elezioni provinciali poi è ulteriormente diminuita passando dal 77,1% delle precedenti elezione, al 58,4%. Alle provinciali cioè su 4.262.555 elettori ben 1.771.179 sono rimasti a casa. 
La seconda indicazione viene dal risultato di Rifondazione Comunista che ha risentito in misura minima degli eventi politici che l’hanno coinvolta (alle provinciali arretriamo dell’1,6%) ma la cui coinvolgenza emotiva poteva portare a ben altri risultati.  Ricordo, appunto, che le elezioni avvengono all’indomani della rottura con il governo Prodi, della formazione del governo D’Alema e di una scissione che, seppure abbia coinvolto in minima parte il corpo del partito, ha interessato la gran parte degli eletti, in particolare i parlamentari ed i consiglieri regionali. Abbiamo dovuto, inoltre, affrontare queste elezioni in un clima di forte ostilità e di oscuramento della nostra presenza. A tutto ciò va aggiunto che la presenza del Pdci, in tre province (con il 2,6%) ed in tredici comuni scelti con attenta oculatezza, ha assunto - con la presenza di un simbolo facilmente e volutamente confondibile con quello del Prc - più la funzione di lista di disturbo che di una forza politica che scende in campo con proprie ed autonome idee per le quali chiedere il consenso.
Potevano, quindi, esserci tutte le condizioni per un risultato disastroso ed irreparabile. In molti lo speravano. Così non è stato. Tutti dovranno continuare a fare i conti con una forza politica autonoma ed antagonista che antepone al quadro politico il merito delle questioni e gli interessi dei cittadini più indifesi.
Questo risultato se da un lato ha dimostrato la nostra capacità di resistenza e di difesa dalle varie insidie, dall’altro ci ripropone la nostra difficoltà ad intercettare quel disagio che nasce e si sviluppa nelle varie periferie urbane e sociali. Si tratta di un disagio sociale che spesso non riesce ad esplodere in conflitto e quindi si trasforma in rassegnazione e passivizzazione e si annida nel vasto universo dell’astensionismo. 
Il voto al Prc, inoltre, ci conferma, in particolare al sud e nel nordest dove si continua a registrare un basso consenso, la difficoltà ad intercettare un positivo voto d’opinione necessario per un partito non ancora radicato sul territorio e nella società. 
L’altro elemento che risalta è il voto negativo dei Ds che alle provinciali perdono il 3%. E’ presto per dare un giudizio definitivo sull’effetto del governo D’Alema, ma certamente la tendenza non dovrebbe fargli fare sonni tranquilli. Si potrebbe affermare che l’elettorato sembra non apprezzare che partiti che si autodefiniscono di sinistra pratichino una politica di centro. Invece, in virtù di questa sciagurata politica dei Ds e dei suoi partiti subalterni, sonni tranquilli, in particolare al sud, li possono fare le formazione del centro dello schieramento politico. In particolare al sud, il voto - con all’affermazione del Ppi ed in particolare dell’Udr (a Benevento si è presentato con due liste, riscuotendo in totale il 23 % dei consensi) che, grazie alla legittimazione avvenuta con l’ingresso nella maggioranza, attraverso un’azione trasformista avallata dai Ds e dal Pdci, e alle note capacità clientelari di Mastella - ha attestato che il grande centro (o la rinata Dc) è ormai un fatto reale. 

Salvatore Cerbone
Resp. naz. Dipartimento
“Stato e Autonomie"

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Tesseramento e pratica politica

La campagna di adesione al Prc deve essere un'occasione di interloquire e indagare la società

La campagna tesseramento del 1999 si presenta come un terreno fertile per farci operare quel salto di qualità necessario al rilancio del processo di rifondazione.
Naturalmente occorre da subito sgomberare il campo dall’idea che il tesseramento sia solo “fredda tecnica”, quasi una consuetudine burocratica da dover sbrigare avendo come massimo elemento di stimolo l’infantile gara sui numeri con questo o quel circolo, con questa o quella federazione. In realtà questi atteggiamenti hanno spesso depotenziato un’occasione permanente di apertura e di sperimentazione, spersonalizzando sia chi lavorava al tesseramento sia chi si accingeva all’adesione, magari per la prima volta.
Se l’idea di ritessere equilibri più avanzati socialmente, stimolando per questo le forze di sinistra e democratiche, deve essere per tutti un orizzonte a cui tendere nel medio periodo, diventa altresì determinante attrezzarsi per un’interpretazione ed un’azione a livello decentrato, su un territorio diventato strategico per la messa a valore, da parte liberista, di ogni interstizio vitale. E’ proprio al livello del territorio che le persone sono “in presa diretta” con i grandi guasti e le sempre più grandi debolezze del modello dominante, ne vivono gli aggiustamenti e le varianti locali come devastazione del legame sociale in un crescendo di conflitti orizzontali: questa azienda contro quella, quel lavoratore contro quell’altro, quel giovane contro quell’anziano.
La radicalità di tali fenomeni attraversa figure molto diverse tra loro ed interi ceti: sono i luoghi d’elezione della sinistra antagonista che sono frammentati e recalcitranti a una lettura agevole. Architettare azione e movimento politico di ampio respiro non è semplice, implica passaggi e tappe che non accettano scorciatoie. D’altro canto per noi non è neanche possibile eliminare il “qui e ora”, il confrontarsi con problemi9 e dislocare linee di resistenza ed embrioni di progetto che si sappiano organicamente legare con il senso più complessivo dell’alternativa.
Siamo dunque chiamati al duplice sforzo di lavorare a una riflessione culturale strategica  con la necessità di stare nella società e nelle sue aspre contraddizioni. Per portare avanti questo impianto non bisogna perdere mai di vista il nesso tra i due livelli, occorre anzi farli interagire, far sì che uno travasi nell’altro. Così come occorre valorizzare al massimo il rapporto con la soggettività e le aggregazioni della sinistra sociale che vuole, sulla base di un’interazione autentica, mettere alla prova l’idea di un antagonismo diffuso. Deve essere una prova e una possibilità anche per Rifondazione comunista, interessata ad annodare mille fili con chi ricostruisce legame sociale, con le geometrie variabili di chi pratica tentativi di autogestione e di contrasto all’eterodirezione delle forme di mercato.
La nuova stagione del tesseramento non può che farsi attraversare da tutti questi temi così complessi. Assieme alla tessera, alla sua diffusione, si deve muovere un’idea di partito e la sua capacità di insediamento di massa. Nulla di scontato dunque, ci serve la massima attenzione verso l’articolazione sociale in cui siamo immersi. Uscire dai circoli, dalle federazioni per trasformare la campagna di tesseramento in una preziosissima azione politica. L’andare in un quartiere con le tessere ed un banchetto può e deve essere occasione per imbastire un nuovo lavoro di inchiesta, così come il tesseramento di un disoccupato può e deve diventare il tentativo di costituire un coordinamento di chi si trova senza lavoro. L’adesione al partito della Rifondazione comunista potrà contribuire in modo determinante a una ricomposizione di classe, che continua a essere uno degli obbiettivi prioritari per costruire l’alternativa.

Alberto Deambrogio
Segretario della 
federazione di Alessandria

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In Europa si cresce

Per poter lavorare meglio, la federazione europea si divide in tre

Alla fine della prossima primavera, i cittadini e le cittadine dell’Unione europea (15 paesi, oltre 300 milioni di elettori) saranno chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento europeo con il sistema proporzionale per l’assegnazione di circa 600 seggi. L’Europa è il terreno principale di iniziativa politica internazionale del nostro partito. A partire dal 1992 abbiamo partecipato a numerosi incontri tra partiti comunisti – a Sesto San Giovanni nel 1992, a Parigi nel 1995 l’incontro con il Gue, la Marcia europea per il lavoro conclusasi ad Amsterdam e poi Lisbona, Madrid, Roma e Vienna. Gli ultimi due incontri come tappe di avvicinamento ad un iniziativa comune in vista delle elezioni europee. C’è quindi un lavoro comune con i partiti comunisti europei e c’è poi il lavoro nostro tra le centinaia di emigranti – 368 nel 1998 - che si sono iscritti al Prc. 
La federazione dei paesi aderenti all’Unione europea, costituita nel 1996 ha fatto passi in avanti. Nel 1997 il tesseramento si era chiuso a quota 172 e i circoli erano 9 (sei in Germania, uno ciascuno in Inghilterra, Lussemburgo e Svezia). Con il 1998 possiamo dire di aver fatto un balzo in avanti: 230 iscritti e 10 circoli (fondendone due in Germania e facendo due nuove reclute: Bruxelles e Parigi). Siamo però sicuri che molti altri italiani che vivono e lavorano fuori dall’Italia sono iscritti al Prc nei comuni che hanno lasciato quando sono stati costretti a partire. Le compagne e i compagni delle federazioni dell’Ue chiedono di sapere chi sono per poterli coinvolgere nell’attività del partito all’estero.
Ricapitolando: un dato organizzativo europeo confortante, il raddoppio degli iscritti in Svezia, l’aumento del 10 % in Lussemburgo – dove il circolo ha a disposizione una pagina a settimana del quotidiano del Pc lussemburghese -, 22 iscritti a Bruxelles e 20 a Parigi. Il circolo “tedesco” di Dormstadt ha ormai nella sua agenda la Festa di Liberazione (nel ’99 si terrà il 23 febbraio) ed è passato da 35 a 43 iscritti per il ’98. A Parigi il circolo ha organizzato, nell’ambito della festa dell’Humanité, proprie iniziative, mentre a novembre ha distribuito davanti all’università del materiale per spiegare le ragioni dell’opposizione del Prc al governo D’Alema.
Nei circoli europei uno dei lavori privilegiati è all’interno delle associazioni degli immigrati. Ora si tratta di fare un salto politico e organizzativo: politico perché più chiare si fanno le questioni che pongono i comunisti europei; organizzativo perché moltissimi sono gli emigranti italiani in alcuni paesi e alle scorse elezioni europee il Prc hanno contribuito al risultato eccellente ottenuto nel voto che i residenti all’estero hanno espresso nei consolati (il 9 %).
Per queste ragioni il comitato federale dell’Ue ha accolto la proposta di superare l’esperienza della federazione unica e andare alla costruzione di 3 federazioni (Scandinavia, Germania e Benelux che, per adesso, si vede aggregati i circoli di Londra e Parigi). Diventeranno così quattro le strutture del nostro partito in Europa che daranno vita, dopo il congresso, al coordinamento delle federazioni in Europa.
Le difficoltà del lavoro dei compagni e delle compagne che lavorano nell’Ue sono grandissime: 200 km separano il circolo di Bruxelles da quello di Lussemburgo e 1000 tra questo e Stoccolma, Liberazione non arriva, i volantini devono essere autoprodotti e non si possono affigere manifesti di propaganda politica. Eppure questi compagni si sono cercati, organizzati, hanno lavorato e lavorano assieme (grazie anche ad Internet, strumento molto più diffuso in Europa che da noi), tutto lavoro fatto in maniera volontaria.
Per favorirne il lavoro, creare migliori condizioni per partecipare alla vita di partito, per costruire iniziativa politica all’estero, radicare il Prc e metterlo in rapporto con i problemi degli emigranti italiani (e non solo loro), per pensare a soluzioni assieme al resto del partito, si è deciso di costruire questa nuova esperienza organizzativa.

Enzo Jorfida

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Diffusione militante: spunti per un rilancio

Come avrete senz'altro visto il 22 novembre Liberazione è uscita rinnovata.
Giornale comunista contro il pensiero unico come lo ha definito il nuovo Direttore Sandro Curzi che assieme alla compagna Rina Gagliardi si accinge in questa nuova impresa di rilancio del giornale. I primi positivi apprezzamenti non hanno tardato ad arrivare.
In questa importante giornata si è organizzata una diffusione straordinaria che ci ha permesso di  raddoppiare il numero delle copie vendute e in assoluto si è raggiunto il più alto numero di copie vendute tramite la diffusione militante.
Questo ci porta a pensare, se mai ce ne fosse stato bisogno, che esistono delle potenzialità enormi di diffusione del giornale, basti tra l'altro pensare al rapporto lettori/iscritti al partito che è di 1 a 10.
Il problema è quindi come riuscire a rendere sistematico ed organizzato questo lavoro, arrivare cioè alla definizione di responsabili della diffusione militante che seguano la vendita, la promozione, la campagna abbonamenti, per raggiungere obbiettivi quali la diffusione domenicale (o di sabato), la diffusione straordinaria ogni prima domenica del mese, la diffusione alle scuole e nelle fabbriche, banchetti in piazza e alle feste di liberazione.
Un lavoro che non può essere lasciato ad un singolo compagno, ma deve investire tutto il partito dalla direzione nazionale passando dalle istanze intermedie del partito per arrivare al direttivo del singolo circolo.
I problemi da affrontare, e sui quali sollecitiamo un contributo di approfondimento da parte di tutti gli attivisti, possono essere sintetizzati in alcuni punti: scarso senso di appartenenza del giornale, difficoltà nel mantenere continuativo un lavoro di militanza, la necessità di un rinnovato approccio al problema della diffusione, scarsa valorizzazione dei compagni impegnati nella diffusione.
Si deve quindi intervenire su due fronti un miglioramento della fattura del giornale che sappia primo rispondere alle esigenze dei nostri militanti ed iscritti, secondo investire tutto il partito in un' ampia discussione politica che sensibilizzi e valorizzi il lavoro della militanza. 
Sul primo punto il lavoro è iniziato, la sfida è riuscire a fare un giornale che sia sentito dai compagni come la propria voce, il proprio argomentare critico, contro e alternativo ad un pensiero omologato, aperto al contributo dei militanti che informi e socializzi la vita e le esperienze delle varie istanze di base del partito.
Sul secondo punto l'apertura del congresso può essere un momento importante per iniziare questa discussione.
Credo che ha tutti i compagni non sfugga l'importanza del lavoro di diffusione militante che oltre ad essere un elemento fondamentale di autofinanziamento è l'occasione per un rapporto diretto e costante con gli iscritti, con i nostri elettori e con i simpatizzanti, rapporto oggi ancor più importante di ieri visto l'assoluto black out che è stato fatto nei nostri confronti dai grandi mezzi di informazione.
Già da oggi due impegni richiedono l'impegno di tutti i circoli. 
Il primo: la campagna abbonamenti. Ogni circolo deve porsi l'obbiettivo minimo di raccogliere 2/3 abbonamenti, il primo al circolo poi agli eletti nelle nostre liste, ai compagni che hanno incarichi istituzionali, alla camera del lavoro, alla casa del popolo, al centro sociale, alle cooperative, all'Anpi, ecc.
Il secondo: dal prossimo anno la diffusione straordinaria ogni prima domenica del mese (la direzione del giornale sta valutando la possibilità di realizzare dei numeri speciali).
Ciò darà continuità ad un lavoro che favorisce la formazione di responsabili o di piccole strutture che permanentemente si occupino del problema della diffusione e promozione del giornale e in generale di tutta la nostra stampa, per arrivare magari alla costituzione di una associazione di amici di Liberazione, ma di ciò ne riparleremo più avanti. 
Per qualsiasi informazione tecnica  sui modi e sui costi della campagna abbonamenti e delle diffusioni straordinarie rivolgersi all'ufficio Diffusione del giornale ai numeri 06/44183228 (tel.) e 06/44183229 (fax).

Mauro Cimaschi

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Una ricostruzione attiva

La federazione di Pisa dove il percorso di riorganizzazione e necessariamente legato a nuove modalità di lavoro.

E’ difficile descrivere in poche parole l’esperienza vissuta negli ultimi mesi dalla nostra federazione. Una scissione che a livello di gruppo dirigente ha colpito più che altrove. Forse conviene partire da ciò che è stato in questi anni il partito a Pisa. Un partito in cui era ed è forte un’estrema generosità dei militanti, che veniva fuori soprattutto nell’organizzazione delle feste, un partito che ha saputo scegliere alcuni rappresentanti nelle istituzioni capaci di avere un ruolo non subalterno nelle alleanze con il centrosinistra (e sono i compagni rimasti nel partito), un partito tuttavia che perlomeno negli ultimi anni aveva visto un’inaridirsi progressivo dell’attività, concentrato sul versante istituzionale, mentre all’interno il prevalere di logiche di controllo ha quasi sempre impedito la valorizzazione di risorse importanti e bloccato il processo di radicamento sociale. La selezione dei gruppi dirigenti è sempre avvenuta secondo criteri di affidabilità e di controllo assai meno rispetto alla capacità dei compagni e delle compagne di essere punti di riferimento per la mobilitazione e la battaglia politica. Insieme a questo esisteva una diffidenza teorizzata per ogni forma di aggregazione sociale che rivendicasse il diritto ad un’esistenza autonoma fuori dal partito, diffidenza che valeva per le associazioni più tradizionali come l’Arci e a maggior ragione per un mondo associativo multiforme che, soprattutto in città è estremamente ricco e vitale. Infine le stesse logiche di controllo hanno impedito da sempre la costruzione di commissioni di lavoro di settore che avrebbero comportato come corollario indispensabile un decentramento di incarichi. Così negli ultimi due anni, a titolo di esempio, non esistevano in questa federazione i responsabili organizzazione, lavoro, cultura, scuola e università. Tutto si teneva comunque insieme per un forte senso di appartenenza a un partito che osava ancora definirsi comunista e, per chi viveva il disagio locale, per l’identificazione nella linea nazionale.
Ora si apre un lavoro difficile di ridefinizione. Abbiamo dovuto ricominciare con una campagna elettorale gestita in condizioni estreme, in una sede provvisoria, senza nessuna attrezzatura, con pochissime risorse. Il tutto in una città dove, crediamo, si sia tentata la resa dei conti definitiva con il nostro Rifondazione comunista. Complice l’estrema visibilità dei fuoriusciti, il centrosinistra, con l’eccezione dei Verdi, ha rifiutato qualsiasi confronto per la scadenza amministrativa, nonostante si uscisse da quattro anni di governo comune e ha rotto l’alleanza alla Provincia e ha rotto a Santa Maria a Monte nonostante l’accordo programmatico già raggiunto.
Per parte nostra abbiamo cercato di far capire quanto la partita che si gioca a livello degli Enti locali sia rilevante. Con i processi di privatizzazione dei servizi pubblici locali, con l’esternalizzazione dei servizi sociali, con i massicci finanziamenti ai privati che operano nel settore educativo. Ma si è trattato di messaggi lanciati sui media affiancato da un lavoro porta a porta. Il vero lavoro di ricostruzione comincia ora. A Pisa, come ovunque, dobbiamo attrezzarci per riuscire a mettere in campo una massa critica sufficiente a conseguire risultati da una collocazione all’opposizione. Costruire vertenze per la qualità della vita nelle periferie, mettere in comunicazione lavoratori e utenti dei servizi locali, rompere una normalizzazione  che qui è particolarmente visibile nel mondo accademico, spezzare con la propria capacità di iniziativa i molti tentativi di integrazione del mondo dell’associazionismo. Occorrerà quindi capacità di interlocuzione e conflitto al tempo stesso. La scommessa che abbiamo di fronte credo sia duplice: costruire un partito che nella capacità di ritessitura capillare di relazioni sul territorio e nei luoghi di lavoro, riesca a dimostrare la propria necessità e utilità sociale, l’efficacia della propria azione sul terreno del conflitto di classe e la condizione sociale da un lato, dall’altro riuscire a a declinare la propria alterità nelle modalità quotidiane di funzionamento della macchina. Se la democrazia è malata, se la politica si struttura oggi secondo logiche di esclusione/cooptazione, bisognerà tentare di costruire un partito che quotidianamente sia esempio della possibilità di esistenza di un organismo sociale complesso, inclusivo, capace di una vita democratica vera, che non può essere solo strumento per fini lontani, ma approssimazione quotidiana di un progetto di trasformazione sociale.

Roberta Fantozzi
Segretaria della 
federazione di Pisa

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