PARTITO DI MASSA

Partito della Rifondazione Comunista - Direzione 
Dipartimento Organizzazione - Bollettino interno - NUMERO 20 - GIUGNO 1998
 

VERSO L'ASSEMBLEA DEI QUADRI MERIDIONALI di Giovanni Russo Spena

ECCO IL PUNTO! di Milziade Caprili

SARNO: IL DIARIO DI UNA ESPERIENZA di Ivana Esposito e Enzo Sansone
GLI ELETTI COMUNISTI INCONTRANO I CITTADINI di Franco Iachini
LA FEDERAZIONE DEL PRC DI CROTONE APRE NUOVI CIRCOLI di Giorgio De Santis
IL PARTITO NEL MEZZOGIORNO di Enzo Jorfida
STUDENTI A PALERMO di Marco Assennato

VERSO L'ASSEMBLEA DEI QUADRI MERIDIONALI

Giovanni Russo Spena
A me pare che uno dei temi principali della “Conferenza dei  quadri meridionali” debba essere l’attenzione puntigliosa,  rigorosa che dobbiamo portare alla costruzione del partito. E’  una priorità che le compagne e i compagni hanno voluto  giustamente sottolineare anche nella lunga, articolata,  processuale fase preparatoria. Ne sono evidenti i motivi: da un  lato, cresce disgregazione sociale, il vero e proprio sfibramento  del sociale, la sua sussunzione dentro la politica istituzionale;  dall’altro, perché nel Sud possente è il portarsi dell’elemento di  coazione implicito nel meccanismo dell’accumulazione  capitalistica sul terreno diretto della politica (la logica del  mercato e dell’impresa tendono, insomma, a pervaderla fino al  tentativo di svuotarne ogni strumento democratico, di  controllo, di regolazione).  Noi vogliamo rovesciare l’ordine del discorso e delle cose: il  Sud da retrivo luogo di disperanti contraddizioni, tipico di un  meridionalismo interclassista e piagnone a luogo privilegiato  di “laboratorio progettuale”.  Stando attenti ad evitare l’autoreferenzialità e  l’autosufficienza. La nostra direzione di marcia è quella di “un  partito di massa che si faccia società”. Sottolineando entrambi i  concetti: “partito di massa”, che si costruisce, in realtà, solo se  sappiamo diffondere “socialità”, “socializza-zione”. Io penso,  cioè, a una identità meridionalista “forte”, a una  connotazione, a una specificità meridionalista molto marcata,  nel modo stesso di vivere il tempo, lo spazio, di agire la  ricchezza delle proprie culture, non a un partito meridionale  che sia mera “ridotta”, mero distaccamento passivo  dell’applicazione della linea nazionale; un partito, nel  Mezzogiorno, che sappia rielaborare, riarticolare  (l’articolazione è elemento culturale e di prassi fondamentale);  e, nello stesso tempo, che sappia incidere sulla linea nazionale,  alimentarla e pretendere presenza; cambiarla, se occorre.  Rifiuto, invece, le tendenze, presenti anche in “famosi” sindaci  del Sud, tese a identificare una sorta di “patto meridionalista”,  un “partito meridionale” di tipo trasversale, interclassista, che  mette allo stesso tavolo, in una sorta di sublimazione della  concertazione, industriali, enti locali, sindacati: il Mezzogiorno  ha molti nemici, io credo, al suo interno e il conflitto di classe  non può essere appannato dalla retorica di un generico ed  indistinto “sviluppo del Mezzogiorno”. Noi non ci stiamo a  questa operazione che vuole trasformare il Mezzogiorno in  una enorme, indistinta, “zona franca” di 20 milioni di  persone, luogo di massima precarizzazione e di salari molto al  di sotto dei minimi contrattuali. Abbiamo proposto un  progetto “altro”, un conflitto che si articoli su proposte  precise. Occorre pensare al Sud d’Italia come area centrale del  Mediterraneo, valorizzando il suo ruolo geopolitico,  costruendo nuove relazioni economiche tra paesi delle diverse  sponde del Mediterraneo, alimentando cooperazione e  sviluppo, sconfiggendo la logica della “zona franca  mediterranea” imposta dal WTO alla Conferenza di Barcellona;  restituendo al Mezzogiorno d’Italia la sua vocazione storica di  tramite tra l’Europa unificata e il Sud del mondo. Una funzione  storica di cooperazione e di pacificazione.  Le 35 ore, allora, i lavori a valore d’uso sociale, l’Agenzia per  l’occupazione, sono un disegno unitario; alludono al conflitto  per imporre strategie industriali e anche la redistribuzione  produttiva sul territorio nazionale. Alludono alla costruzione  di reti formative qualificate, ai sistemi di ricerca integrata, alla  costruzione di acquedotti e ferrovie.  E si accantoni, definitivamente, presidente Prodi, quel  devastante e micidiale mostro che è il progetto del Ponte sullo  Stretto di Messina! Per noi, la “nuova questione meridionale”  significa lottare per politiche attive che facciano del lavoro la  variabile perseguita; un lavoro per uno sviluppo di qualità, che  sappia porsi anche il tema della metropoli meridionale, della  riqualificazione urbana.  Io temo molto che tanti quartieri delle nostre metropoli, tante  periferie, stiano diventando veri e propri deserti di socialità,  privazioni di senso. Organizzare il conflitto, progettare  l’alternativa, ricostruire una socializzazione; questo è il  compito che ci diamo come comuniste e comunisti! Sono  convinto che l’Assemblea dei Quadri Meridionali di metà  giugno costituirà un importante primo momento di verifica  del lavoro che da un anno collettivamente svolgiamo e ci  permetterà, soprattutto, un salto di qualità nella costruzione di  strutture di movimento e di lotta. E’ una via obbligata per non  vivere una preoccupante involuzione da partito militante di  massa a partito che vive di rimessa rispetto all’immagine  nazionale e rispetto al solo, importante, insediamento  istituzionale 
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ECCO IL PUNTO!

Milziade Caprili
Il 13 e 14 giugno a Napoli vedrà  una prima conclusione il percorso che  abbiamo costruito attorno alla  Assemblea dei quadri meridionali. A  Napoli, appunto, proprio mentre si  sta sviluppando un movimento con  caratteristiche anche contraddittorie  sui temi del lavoro che non c’è,  che continua a non esserci connotando  così la vita di intere generazioni.  Per la prima volta con con queste  modalità il quadro dirigente del  partito sarà chiamato a riflettere  sui nodi strategici della nostra  presenza nella società meridionale.  Con “questa modalità” intendo  precisamente il lungo e partecipato  lavoro di predisposizione del  documento preparatorio; le riunioni  degli organismi dirigenti convocate  per discutere del documento stesso; le  iniziative pubbliche che sono state  organizzate in quasi tutte le regioni  meridionali. Con l’espressione   “questa modalità” intendo soprattutto  il lavoro che metteremo in campo  dopo il 13/14 giugno, gli sviluppi  che sapremo garantire all’Assemblea.  Non è stata e non è cosa di poco  conto. E perché si determini una  condizione tale da rendere possibile  un qualche avanzamento, dobbiamo  partire dalle cose come realmente  stanno e non da come pensiamo sarebbe  bene stessero. Intanto si dovrà dire  della indubbia vitalità delle nostre  organizzazioni meridionali che hanno  visto tutte (o quasi: l’unica  eccezione appare la Calabria)  incrementata la loro forza  organizzata. Ciò è tanto più  rilevante ove si considerino le  condizioni di partenza, le difficoltà  materiali, la struttura della società  civile, la presenza di poteri  criminali ed il loro impasto con punti  , personaggi, luoghi della  politica. Dei molti aspetti di cui si  dovrà parlare a me interessa qui  richiamarne uno solo. E’ del resto,  questo di cui voglio parlare,  materia viva nell’impegno quotidiano  di molte nostre compagne e molti  nostri compagni a Napoli prima di  tutto, in Campania e nelle altre  regioni meridionali. Dobbiamo  liberarci di certe modalità della  politica, non c’è dubbio.  Conosco  alcune realtà dove attorno alla  necessità di costruire le zone come  dimensione di aggregazione di  circoli altrimenti deboli perché  troppo piccoli o come modalià  organizzativa in grado di renderci  più capaci di far fronte a tematiche  particolarmente complesse di  determinati comparti territoriali o  attorno alla volontà di aprire nuovi  circoli, attorno a tutto questo ho  contato anche sei riunioni degli  organismi dirigenti “preposti” per  poi, magari, “non farne di nulla”.  Oppure gli “strascichi” delle  competizioni elettorali. Tutto questo  – ho già avuto modo di dirlo –  entra, e per fortuna, sempre più in  collisione con il senso di una nuova  militanza di tante compagne e tanti  compagni. Un partito che come il  nostro accresce il proprio  radicamento, non può che patire  profondamente tutti i tentativi di  portare le cose indietro, di vivere  di soli  equilibri nei gruppi  dirigenti. Quello che si chiede è  una ulteriore innovazione come  condizione per non regredire. Già  abbiamo fatto ma dobbiamo ancora  “caricare” di più sul tema del  lavoro. Lo abbiamo detto a  Chianciano e mi pare che possiamo  dirci di nuovo oggi della  drammatica condizione della società  meridionale. In particolare la  precarizzazione, la provvisorietà,  la flessibilità sono divenute  categorie del quotidiano; la  disoccupazione di massa nel  Mezzogiorno ha determinato un  distacco tra paese legale e paese  reale; la sfiducia e la disperazione  di intere generazioni non trovano  ascolto e rappresentanza nelle forme  tradizionali d’organizzazione sociale  e politica della sinistra e del  movimento operaio, ecco il punto!  Ancora oggi il partito ha difficoltà  a intercettare il fenomeno di massa  più dirompente di questa fase del  capitalismo italiano: la  disoccupazione come elemento di massa  e permanente. Nel Sud l’offerta di  manodopera inoccupata ha raggiunto  livelli non più tollerabili, nonostante  la flessibilità di fatto che permea  il malcerto sistema produttivo e  riduce a lavoro nero gran parte  dell’occupazione non pubblica; qui  disoccupazione equivale a  ricattabilità e quest’ultima non  genera coscienza critica collettiva,  ma passività e adeguamenti. Il  partito stesso appare qualche volta  stretto tra difficoltà oggettive,  mancanza di strumentazione  culturale, abbondanza di beghe e  di liti che ingessano l’iniziativa.  Da qui si dovrà partire, dunque,  dalla materialità delle condizioni  del partito meridionale per capire  meglio dove andare..  Anche da questi punti di vista è  servito il percorso verso l’Assemblea  dei quadri meridionali e, ne sono  certo, servirà la discussione del 13  e 14 giugno. 

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SARNO: IL DIARIO DI UNA ESPERIENZA

Il giorno 7 maggio, dopo più di ventiquattro ore  dall’alluvione, un gruppo di Giovani comuniste e comunisti  napoletani si è dato appuntamento, di mattina presto, nei  pressi della federazione napoletana del Partito. Avevamo  poche notizie: quelle via radio, che parlavano ancora di una  tragedia dalle “dimensioni ridotte”, e quelle, ben più  allarmanti, dateci da alcuni compagni dirigenti regionali e  provinciali che già dal giorno prima erano corsi sul posto,  memori di quella antica sciagura (il terremoto del 1980) che  ancora oggi resta indelebile nelle menti di chi lo ha vissuto.  Un piccolo autobus della fondazione Idis, messo a disposizione  con tempestività, ci ha portato nel paese di Sarno, provincia del  salernitano, in realtà molto vicina a Napoli, come il prefisso  telefonico, uguale a quello della provincia partenopea,  dimostra. E lo “spettacolo” offerto alle incredule viste, ancora  adesso, è difficile da spiegare a chi non è stato sul posto. E,  soprattutto, era ben differente da quanto gli organi  di  informazione, e la stessa protezione civile, che continuava a  parlare di “situazione sotto controllo”, andavano dicendo in  quelle frenetiche ore.  La realtà dei fatti superava, abbondantemente, ogni  immaginazione: Episcopio, la frazione di Sarno più prossima al  monte e agli squarci della terra, era completamente coperta  dal fango. Una intera compagine sociale sembrava di colpo  cancellata, interi quartieri non erano più visibili ad occhio  nudo, ma solo immaginabili, provando a ricostruire,  mentalmente, quello che doveva esserci prima, a partire da  quelle tracce remote che per caso erano state risparmiate dal  disastro. E qualche container spazzato via, dove ancora viveva  chi aveva perso la propria abitazione il 23 novembre di  diciassette anni fa, ci aveva fatto capire, subito, quanto forte è  stata, in questi anni, l’assenza dello Stato.  Poi, oltre ai danni, quella atmosfera imperante: silenziosa,  come solo dopo una tempesta, e, ancora, l’odore pungente del  fango, il totale stato di abbandono, la mancanza di qualsiasi  forma di aiuti. E un’unica reale presenza, quella di alcuni  volontari dei vigili del fuoco.  La scelta di dare vita a quelle che poi abbiamo chiamato  “brigate di solidarietà 5 maggio” è stata pressoché immediata,  ed è sembrata un’esigenza non rinviabile proprio per quella  visibile assenza di aiuti alle popolazioni colpite. Da venerdì 8  maggio, dopo innumerevoli lungaggini burocratiche, e per  tutti i giorni successivi, abbiamo organizzato le brigate  raccogliendo l’adesione dei Giovani comunisti appartenenti a  tutte le provincie della regione.   Dall’inizio siamo stati presenti con la nostra identità, senza  rinunciare, come ci era stato incredibilmente chiesto da  qualche burocrate del “volontariato”, alle magliette con il Che  Guevara.  Nei primi giorni l’intento che ci ha guidati è stato quello di  salvare qualche vita umana. E ritrovare vivo Roberto, dopo  quasi settandue ore, è stato, forse, l’unico momento di gioia.  Venerdì, il primo giorno, ancora non era stato istituito un  centro operativo, era ancora assente una qualunque forma  organizzata di soccorso, ed eravamo presenti soltanto noi  volontari e le popolazioni disastrate. Le forze dell’ordine del  posto a cui ci siamo rivolti ci hanno indirizzato al cimitero,  coperto anch’esso dal fango: abbiamo lavorato a turno,  alternandoci con le poche pale che eravamo riusciti a  recuperare qual e là, immersi nel fango quasi fino alla vita. E  alcuni compagni hanno sistemato i cadaveri nella bare. Nelle  ore e nei giorni successivi abbiamo proseguito scavando  laddove ce lo chiedevano gli stessi cittadini.  Dopo il primo impatto abbiamo iniziato ad organizzarci  meglio, trovando noi stessi gli strumenti, messi a disposizione  da alcuni lavoratori dell’Alisud, che hanno anche loro aderito  alle brigate, portando in questa nostra corsa la solidarietà delle  forze democratiche e produttive della regione. Come nel 1980,  come nel Polesine.  Nei fine settimana compagne e compagni dei Giovani  Comunisti di diverse città  italiane hanno partecipato alle  brigate.  E, lavorando anche nelle abitazione dei cittadini, quelle dei  poveri del posto che non potevano, come hanno invece fatto i  ricchi, rivolgersi a ditte private, si è cominciato ad instaurare  con la popolazione anche un rapporto solidale. Ma quella  frustrazione di chi si è sentito abbandonato dallo Stato,  colpevole non solo per il mancato intervento dopo il disastro,  ma anche per le responsabilità pregresse, è rimasta, tutta  intera.  L’assenza di una pianificazione e di un controllo urbanistico, la  costruzione selvaggia delle case laddove dovrebbe esserci la  terra, ma soprattutto questo modello di sviluppo sono  i  mandanti morali di questa tragedia. Un modello di sviluppo  che, in tutti questi anni, ha messo il mercato, i profitti, e non i  bisogni della gente in carne ed ossa, al centro del proprio  intervento. Al centro della propria politica.  Adesso potremmo dire che l’avevamo detto in tempi non  sospetti. Che eravamo stati tra i pochi a denunciare questo  stato di cose. Adesso, diciamo, invece, un’altra volta, che  bisogna cambiare direzione, e sul serio, prima che sia troppo  tardi.
Ivana Esposito 
Coordinamento provinciale  Giovani Comunisti Napoli
Enzo Sansone
Coordinamento regionale  Giovani Comunisti Campania
  

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GLI ELETTI COMUNISTI INCONTRANO I CITTADINI

“Gli eletti comunisti incontrano i  cittadini”: in tanti hanno partecipato a  questa iniziativa svoltasi nella sala del  Consiglio della X Circoscrizione.  Rappresentanti di Comitati di quartiere,  centri anziani ed associazioni hanno  preso la parola per avanzare  suggerimenti, critiche, proposte per  affrontare insieme i problemi grandi e  piccoli del nostro territorio e delle  190 mila persone che ci abitano. Altri  cittadini hanno lasciato per iscritto le  loro osservazioni su una scheda  predisposta.    Questo incontro pubblico è servito per  lanciare una iniziativa permanente del  nostro circolo. Tutti i lunedì, dalle  ore 18 alle 21, i compagni nelle  istituzioni ai vari livelli (Parlamento,  Comune, Circoscrizione) sono presenti in  sezione (Via G. Chiovenda,62 - tel.  7217789) per raccogliere  sollecitazioni, notizie, problemi dai  cittadini, dalle associazioni, dai  comitati e per fornire loro il nostro  punto di vista, risposte concrete,  proposte di iniziativa e di impegno.  Sulle questioni di interesse più generale  si metteranno in piedi iniziative di  lotta e vertenze. L’attivazione di  questa sorta di “sportello”, in un  periodo non elettorale, ha anche  l’intento politico di mostrare il modo di  agire degli eletti comunisti come parte  integrante del Partito. Uno sportello  diverso dagli uffici che alcuni politici  hanno aperto nella nostra zona con lo  scopo di assicurarsi una clientela per la  propria rielezione. Il bilancio di  queste prime settimane è incoraggiante:  molti cittadini si sono rivolti a noi e  decine di schede ci sono pervenute sulle  situazioni più disparate che stiamo  seguendo informando costantemente gli  interessati.   Questa idea è nata dall’esperienza  positiva di questi anni durante i quali  il rapporto costante tra circolo e  compagni nelle istituzioni ha permesso di  mettere in piedi diversi movimenti di  massa di cui il nostro Partito è stato  parte fondamentale: per la riapertura  del Parco archeologico, contro la  chiusura del consultorio, per la difesa  degli inquilini degli enti pubblici,  sulla viabilità.    Esemplare è stato il caso della  battaglia contro la chiusura dei  poliambulatori e la privatizzazione  dell’ex clinica Don Bosco. Questa  battaglia ha preso lo spunto da un  progetto della ASL RMB di  privatizzazione dell’ex clinica Don Bosco  di proprietà pubblica. Progetto  “clandestino” di cui sono venuti in  possesso i nostri eletti in Circoscrizione e  su cui immediatamente tutto il Partito  si è mobilitato per contrastarlo. Il  movimento messo in piedi ci ha permesso  di creare un Comitato che ha raccolto  oltre cinquemila firme con una media di  tre - quattro banchetti a settimana.  Qualche risultato è già stato  conseguito: il Tg regionale ha fatto un  servizio su questo movimento; il Consiglio  circoscrizionale ha approvato un ordine  del giorno presentato dal nostro  Partito; il presidente della ASL si è  affrettato a dichiarare pubblicamente  che si trattava solo di uno studio di  fattibilità, ma che tutto è ancora da  decidere! Ma se non ci fosse stato  questo stretto rapporto tra compagni  nelle istituzioni e Partito il movimento  sarebbe nato, l’ordine del giorno  sarebbe stato approvato, il presidente  della ASL avrebbe fatto un primo passo  indietro?    Crediamo anche che questo modo di  lavorare sia il vero antitodo  all’elettoralismo che talvolta investe  anche il nostro partito o al rischio di  separatezza tra chi sta nelle  istituzioni, chi nelle sezioni e chi nei  movimenti.
Franco Iachini
Segretario del circolo "Luigi Longo" - X Circoscrizione di Roma

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LA FEDERAZIONE DEL PRC DI CROTONE APRE NUOVI CIRCOLI

Comincia a essere visibile il  difficile ma costante lavoro  organizzativo e politico della  federazione del PRC di Crotone.  Dopo il risultato positivo avuto nella  competizione elettorale  amministrativa a Roccabernarda,  dove il PRC ha raddoppiato i propri  voti, contribuendo in maniera  determinante al successo della lista  presentata insieme al PDS, cominciano  a concretizzarsi anche gli sforzi  organizzativi che sta producendo il  nuovo gruppo dirigente eletto dalla  Conferenza di Organizzazione del 17  gennaio scorso.  Pur tra mille difficoltà, anche di  natura economica, comunque il  Segretario della Federazione e il  Responsabile dell’Organizzazione  stanno portando avanti il programma  che prevede l’apertura dei circoli  di Rifondazione Comunista nei comuni  dove il partito è assente e, dove è  possibile, anche nei luoghi di lavoro  con la costituzione dei circoli  aziendali.  La presenza e il ruolo del Partito  della Rifondazione Comunista sono  fondamentali non solo per arginare un  disegno politico che vorrebbe  imporre alla Calabria e a Crotone in  particolare uno sviluppo basato sulla  flessibilità e sul precariato, ma  soprattutto per una battaglia di  progresso civile, sociale ed  economico della nostra provincia.  Non a caso il PRC di Crotone, anche  se da solo, si è battuto contro il  “contratto d’area” e ha denunciato  il tentativo delle forze padronali e  conservatrici di scardinare,  attraverso i contratti d’area e i  patti territoriali, il Contratto  Nazionale e le tutele normative dei  lavoratori dipendenti.  Abbiamo ribadito che il contratto  d’area (con altri contenuti) può  essere uno strumento utile allo  sviluppo solo se viene limitato alle  sole aree per cui è stato previsto,  perché altrimenti diventa un’altra  cosa, e per questo abbiamo proposto  uno sviluppo basato sulle  infrastrutture e servizi, sulla difesa  del tessuto produttivo esistente, sul  superamento della legge 442 per  introdurre il turn over nei cantieri  forestali, utilizzando i lavoratori  nella difesa dei boschi e nella  sistemazione idrogeologica del  territorio, sulla creazione di nuovi  posti di lavoro attraverso la  riduzione dell’orario di lavoro a 35  ore a parità di salario e proponendo  una fiscalità di vantaggio che renda  conveniente il trasferimento delle  imprese a Crotone, senza toccare i  diritti e i salari.  Abbiamo voluto collegare queste  nostre iniziative sui temi del lavoro  e dell’organizzazione a un maggiore  radicamento del partito. Proprio in  questa direzione nei giorni 8 e 9  giugno si inaugureranno ben quattro  circoli: CRUCOLI TORRETTA, CIRO’  MARINA, BELVEDERE SPINELLO, GERENZIA
Giorgio De Santis
della Federazione del PRC di Crotone

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IL PARTITO NEL MEZZOGIORNO

Premessa

Il PRC aveva nel 1991 nelle 9 Regioni  del Mezzogiorno 44 Federazioni mentre  nel 1997 ne aveva 47.  Questa differenza è determinata dal  fatto che le Federazioni di Matera e  Potenza si sono costituite nel 1993,  mentre la Federazione della Gallura è  nata nel 1996, “ritagliandola” dalla  Federazione di Sassari.  Sino al 1993, perciò, in Basilicata non  avevamo iscritti, mentre nella Gallura  alcune decine di iscritti erano  organizzati dalla Federazione di  Sassari. 
Andamento delle adesioni al partito negli anni dal '91 al '97

Il PRC nel Mezzogiorno e la dimensione  Nazionale

Nel 1991, al 1° Congresso del Partito  (quello costitutivo), il numero degli  iscritti nel Mezzogiorno era di  42.701, pari al 37,8% del totale  (112.835), che però scendono a  41.105 nel 1992 pari al 35,9% del  totale (117.511), hanno un ulteriore  calo nel 1993 a 40.778, pari al  33,7% del totale (120.911) e  raggiungono il livello più basso nel  1994, con 38.426 iscritti pari al 33,8%  del totale (113.495).  E cioè mentre nei primi 3 anni il  Partito a livello Nazionale cresceva di  circa 8.000 iscritti, nel Mezzogiorno  il calo era di circa 2.000 iscritti.  Con il 1995 il Partito ha una svolta e  a fine anno gli iscritti nel Mezzogiorno  ritornano ai livelli del 1993 e cioè  40.818 iscritti, pari al 35,2% del  totale (115.984), che salgono  ulteriormente nel 1996 a 48.722, pari  al 38,2% del totale (127.610) e alla  fine del 1997 raggiungono i 50.668,  pari al 38,8% del totale (130.509).  Il partito nel Mezzogiorno è aumentato  dal 1991 al 1997 di circa 8.000  iscritti, e cioè del 18% rispetto al  1991, mentre a livello nazionale la  crescita totale è stata di circa  18.000 iscritti dal ’91 al ’97, pari  a un + 15,6 % sui dati del 1991. 

Il Partito nel Mezzogiorno e la  dimensione meridionale

Dall’atto costitutivo e sino agli inizi  del 1995, il Partito nel Mezzogiorno  ha avuto un calo di oltre 4.000  iscritti.  Infatti il tesseramento del 1992 chiude  con un – 3,8% rispetto al 1991 (-  1.596 iscritti), quello del 1993  chiude con un – 0,8% rispetto al 1992  (- 327 iscritti), nel 1994 chiude con  un – 5,8 % sul 1993 (- 2.352 iscritti).  Con la fine del 1995 il Partito nel  Mezzogiorno ricomincia a crescere  passando a un + 6,2% sul 1994 (+ 2.392  iscritti), a un +19,5 nel ’96 rispetto  al ’95  (+7.954 iscritti) e ad un +  3,8% nel ’97 sul ’96 (+ 1.876  iscritti).  Il Molise è l’unica Regione del  Mezzogiorno che ha avuto sempre un  andamento in crescita quasi triplicando  gli iscritti (+ 263%), mentre la  Calabria ha avuto il più alto numero di  iscritti nel 1993 (7.168) non ancora  recuperati completamente ed è quella  che ancora mantiene, nel 1997, un  numero di iscritti più basso rispetto al  1991 (- 4,6%).  Naturalmente il computo degli iscritti a  livello Regionale e il relativo  andamento è derivato da quello delle  singole Federazioni, che a livello di  singole Regioni risentono di un andamento  non omogeneo.  Così, ad esempio, mentre vi sono  Federazioni che raddoppiano gli iscritti  fra il 1991 e il 1997 (Latina,  Tivoli, Avezzano, Benevento, Campobasso,  Lecce, Agrigento), vi sono Federazioni  che diminuiscono di molto  (Civitavecchia, Crotone) e altre che  sono statiche (Rieti, Viterbo, L’Aquila,  Teramo, Taranto, Reggio Calabria,  Caltanissetta, Trapani). 

Dimensioni delle Federazioni nel  Mezzogiorno

1991 - 44 Federazioni 
  • 15 Federazioni (36,5% del totale) con  più di 1000 iscritti; in Italia le  Federazione con più di 1.000  iscritti sono 41
  • 13 Federazioni (35,1 del totale) con  più di 500 e fino a 999 iscritti, in  Italia sono 37
  • 16 Federazioni (44,4% del totale)  con meno di 500 iscritti; in Italia  sono 36
1997 - 47 federazioni 
  • 20 Federazioni (40% del totale) con  più di 1000 iscritti; in Italia sono  50
  • 15 Federazioni (38,4 % del totale)  con più di 500 e fino a 999 iscritti;  in Italia sono 39
  • 12 Federazioni (44,4% del totale)  con meno di 500 iscritti; in Italia  sono 27
Su 41 Federazioni che nel 1991  avevano più di 1000 iscritti, quelle  del Mezzogiorno erano 15 (36,5%).  Mentre nel 1997 passano a 20  Federazioni, pari al 40% del totale  (50), quelle che si collocavano fra i  500 e i 999 iscritti, nel 1991 erano  in totale 37 Federazioni, di cui 13 nel  Mezzogiorno (pari al 35,1% del totale)  e nel 1997 su 39 Federazioni nella  classe 500/999 iscritti, quelle del  Mezzogiorno sono 15 (pari al 38,4% del  totale).  Infine le Federazioni con meno di 500  iscritti.  Nel 1991 su un totale di 36  Federazioni, quelle del Mezzogiorno  erano 16 (pari al 44,4% del totale).  Nel 1997 sono 12 su 27 Federazioni  (44,4 % del totale). 

Le Federazioni sopra i 1000 iscritti  nel Mezzogiorno

Sono 20 le Federazioni con più di 1000  iscritti e sono il 42,5% del totale delle  Federazioni del Mezzogiorno.  Ad esse aderiscono 35.974 iscritti/e,  rappresentano il 71% del totale degli/ delle iscritti/e nel Mezzogiorno, e sono  il 27,5 % del totale degli aderenti al  PRC. 

I Giovani Comunisti e il Mezzogiorno

Nel 1997 risultavano iscritti al PRC  nelle 9 Regioni del mezzogiorno 6.934  fra compagne e compagni, pari al 53,8%  del totale dei Giovani Comunisti  (12.891), al 13,7% del totale degli  iscritti nel Mezzogiorno e al 5,3% del  totale degli iscritti al PRC. 

Le Donne Comuniste nel Mezzogiorno

8.574 erano le compagne che hanno  aderito nel 1997 al PRC nelle 47  Federazioni del Mezzogiorno, e  risultavano essere il 30,5% del totale  nazionale delle iscritte al PRC, il 17%  del totale degli iscritti nel  Mezzogiorno e il 6,6% del totale degli  iscritti al PRC. 

I Circoli nel Mezzogiorno

Abbiamo censito, nel 1997, 2.833  Circoli del PRC, sia in Italia che  all’Estero (15).  Del totale, il 44,9% (1.272) sono  quelli del Mezzogiorno.  La Regione con il maggior numero di  Circoli è stata, nel 1997, il Lazio con  241 Circoli, quella con il numero più  basso il Molise, con 35 Circoli.  Dei 1.272 Circoli del Mezzogiorno, 53  sono Aziendali, pari al 38,5% del totale  dei 137 Circoli Aziendali censiti nel  1997. 
(*)
Dipartimento Nazionale di  Organizzazione - maggio 1998 
(a cura di E. Jorfida)
(*) Nel numero su carta ci sono le tabelle con il dettaglio dell'andamento del tesseramento al Partito nel Meridone negli anni 1991 - 1997

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STUDENTI A PALERMO

Non è facile essere studenti a Palermo: un ateneo da 60.000  iscritti, molti dei quali fuorisede, una cittadella universitaria  nella quale primeggiano le “grandi incompiute” (il numero  delle opere ultimate è pari al 3% di quelle finanziate), una  percentuale di laureati tra le più basse d’Italia (circa il 25%  degli iscritti), servizi e strutture insufficienti se non assenti  drammaticamente. Un contesto governato dalla solita, caotica  logica affaristica e clientelare, dalle solite famiglie di baroni  mafiosi. E come in un gioco di scatole cinesi questo caos è  immerso nell’altro caos, la Regione Siciliana, che nell’ultimo  anno ha tagliato i fondi per più di 1.000 borse di studio  utilizzando invece il gettito ricavato dall’istituzione della Tassa  Regionale per il Diritto allo Studio (applicata  indiscriminatamente e senza nessun tipo di esenzione) per  coprire parte dei numerosi vuoti presenti in un bilancio  regionale ormai fallimentare.  E’ in questa situazione, nella quale i pulcini fascisti di Azione  Giovani primeggiano avallando lo status quo, che nasce il  circolo Universitario di Rifondazione Comunista. E’ un  progetto ambizioso il nostro, almeno quanto necessario. Il  circolo nasce per raccogliere i messaggi forti di disagio della  popolazione universitaria, per catalizzare le energie e le  intelligenze di quei rappresentanti della cultura democratica  presenti nella nostra realtà al fine di costruire un’azione  politica riformatrice per l’ateneo, partendo dall’interno di  esso, partendo dagli studenti. Il modo di “stare dentro” i  movimenti, di muoversi da studenti tra gli studenti, a Palermo  non basta. Obiettivo del circolo è “crearli” i movimenti, fare da  trampolino per il rilancio di una stagione di riflessione, analisi  ed elaborazione politica complessa, per l’organizzazione (in  questo momento, a fronte delle proposte di riforma  ministeriali) di azioni conflittuali e costruttive. E’, dicevo, un  progetto ambizioso, ma possibile.  Quest’anno abbiamo costruito importanti momenti di  confronto con la realtà studentesca palermitana, basti pensare  all’esperienza dell’occupazione della Facoltà di Lettere,  momento in cui siamo riusciti a essere i principali interlocutori  del movimento, a riflettere assieme su contenuti e prospettive  politiche. O ancora al problema eterogeneo dei medici  specializzandi con i quali abbiamo iniziato una importante  riflessione sulla connessione complessa tra università e lavoro.  Dobbiamo adesso fare un passo in avanti che possa rendere  l’analisi e la critica proposta politica.  Dobbiamo partire dalla questione del diritto allo studio (e  questo ha un immediato e preciso significato in una regione in  cui esiste una tassa e non una legge sul diritto allo studio),  riprendere il disegno di legge proposto all’ARS dal gruppo  parlamentare del PRC e migliorarlo alla luce del nuovo DPCM  “Berlinguer” e il lavoro dei compagni della commissione  nazionale Diritto allo Studio dei Giovani Comunisti per farne  strumento e piattaforma di movimento, convinti come siamo  che le riflessioni sull’Università debbano necessariamente  partire dai problemi legati al diritto allo studio. Su questo a  Ottobre lanceremo un’iniziativa pubblica, un incontro con la  città che sappia legare la nostra critica dell’esistente a un  rilancio su questi temi. Ma per creare radicamento stiamo  lavorando a due importanti inchieste: una sul caro fitti per gli  studenti e l’altra sulle dichiarazioni di reddito degli studenti  per accedere ai servizi dell’Opera Universitaria (momento  quest’ultimo in cui si registrano brogli ed evasione fiscale).  Dal mese di Ottobre il circolo Universitario sarà presente nella  cittadella universitaria di viale delle Scienze con 2 tavolini la  settimana, per distribuire materiale di analisi critica e rilancio  sulla riforma dell’Università. Accanto a questo lavoro  cerchiamo di spingere per la formazione di collettivi nelle  singole facoltà (che possono costruire vertenze legate alle  diverse realtà), che si aggiungano a quelli già presenti a  Medicina, a Lettere, a Economia e a Giurisprudenza.
Marco Assennato
Segretario del circolo universitario del PRC di Palermo

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10-6-98

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informazioni: Umberto Ilari
dal 27-5-98 h 16.35 
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