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Direzione nazionale 9 ottobre 2025

Gianluigi Pegolo

Ancora una volta il dibattito nella Direzione ha assunto il carattere della tribuna congressuale. In vari interventi si sono riproposte le tesi generali, mentre l'analisi dei fatti è stata molto superificale. Ciò non è positivo, perché si può discutere in un modo diverso, senza rinunciare alle proprie idee. Cosi si rischia invece di rendere il confronto nel partito un fatto sterile che non arricchisce le capacità di comprensione della realtà. Mi limiterò a poche considerazioni. La prima riguarda il movimento a sostegno della Palestina che si è sviluppato in queste settimane.

E' stato certamente un fatto straordinario, la mobilitazione è stata cosi estesa da essere ripresa negli organi di stampa e nei mass media a livello internazionale. Abbinata alla vicenda della flottiglia, ha certamente scosso l'opinione pubblica internazionale. E , insieme alle altre manifestazioni in tutto il mondo, ha certamente influito sull'iniziativa di Trump. Tuttavia mi pare che nel nostro dibattito vi sia stato il larvato tentativo di farne l'espressione di un radicalismo montante. E quindi la manifestazione di una rottura con l'establishment sia della destra che del campo largo. Questa tesi non è credibile. La forza di questo movimento è stata essenzialmente la sua unità e il carattere prevalentemente umanitario. Così ascrivere ai sindacati di base e in particolare all'USB un ruolo decisivo nello sviluppo del movimento mi pare poco verosimile.

L'indizione dello sciopero del 22 è stata una intuizione importante, ma la mobilitazione si sarebbe espressa comunque, anche se tale sciopero fosse stato indetto da altri soggetti. Questa lettura del movimento, tra l'altro, ha un'importante implicazione e cioè che esso può ridimensionarsi nel momento in cui si è giunti a un accordo fra le parti, sulla base del piano Trump. Inoltre lo stesso movimento deve ora necessariamente affrontare la sfida di un'iniziativa che dal piano umanitario dovrà progressivamente spostarsi su un piano più politico e cioè la battaglia per la costituzione di uno stato palestinese indipendente. Su questo dovremo ragionare perché si tratta di una sfida meno facile di quanto si possa pensare. La seconda osservazione riguarda la vicenda delle elezioni regionali. Anche qui i compagni del secondo documento leggono il risultato nelle Marche e in Calabria come il fallimento della linea emersa a livello congressuale. Denunciano le tendenze al compromesso con il centro sinistra; sottolineano il fallimento del campo largo; insistono sull'inesistenza dell'iniziativa autonoma del partito. Il tutto motivandolo col fatto che non solo la destra ha vinto, ma che i risultati del partito sono stati modesti, nel caso della lista presentata nelle Marche, e addirittura negativi nel caso della Calabria, per l'assenza di una nostra presenza esplicita e autonoma. Qui davvero si misura la diversità di prospettiva con cui si guarda ai risultati.

La prima considerazione è che laddove ne esistono le possibilità (per profilo programmatico e caratteristiche delle candidature), dobbiamo assumere la priorità di battere le destre e quindi operare per la costruzione di un largo schieramento. Questa scelta, che so non essere condivisa dai compagni che oggi costituiscono la minoranza del partito, discende da un'analisi del quadro internazionale e nazionale e punta a impedire un'affermazione definitiva di uno schieramento reazionario. Ci divide in questo la tesi, sostenuta dalla minoranza, secondo la quale esisterebbero i tempi (e la necessità) di una battaglia autonoma da entrambi gli schieramenti. Questa idea si scontra con un'accelerazione della crescita della destra, sollecitata peraltro dalla vittoria di Trump.

In secondo luogo, non è più concepibile un approccio alle elezioni in termini di presenza testimoniale, astraendosi totalmente dai vincoli posti dalle leggi elettorali. Questa idea, che poi discende da una lettura delle istituzioni come terreno secondario e poco rilevante della battaglia politica, ci ha ridotto ai minimi termini come partito e non è più praticabile. In terzo luogo, le forme della nostra presentazione vanno misurate non solo in termini di consenso elettorale, ma anche di costruzione di condizioni più favorevoli all'azione del partito. Il caso della Calabria è in tal senso esemplare. Non presentiamo - è vero - una nostra lista, ma eleggiamo un consigliere vicino alle nostre posizioni e otteniamo che un compagno importante in Calabria e la sua area militante di riferimento aderisca al nostro partito. Facciamo quindi un passo avanti importante. Un esito che non dovrebbe essere sottovalutato.

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