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Direzione nazionale 9 ottobre 2025

Alberto Deambrogio

Il nostro partito si trova di fronte a una situazione divaricante con molti aspetti preoccupanti rispetto al suo ruolo nella politica e nella società del Paese. Da una parte si assiste all'insorgere di un vasto movimento collegato alla tragica vicenda palestinese. Si tratta di un fenomeno che si voleva completamente escluso dall'orizzonte del possibile, invece ancora una volta, come sempre nella storia, il freno a mano per sterzare dalla direzione della barbarie è nelle disponibilità delle donne e degli uomini, del loro essere enti naturali generici, quindi con una incomprimibile capacità creativa. Ci hanno provato decenni di dispositivi capitalisti a mettere a tacere quest'ultima ma non è stato possibile. Naturalmente la spinta principale, non più contenibile, è stata di tipo empatico: non si poteva più fare pace con la propria coscienza. In piazza però si è riversata una grande massa quando la sua radicalità è stata riconosciuta negli appelli, fuori dal traccheggiamento abitudinario del quadro politico dato: centro destra e centro sinistra.

Ora, questo movimento non ha certo caratteristiche omogenee, ma ha sicuramente, oltre la ferma indignazione morale, una disponibilità a considerare criticamente le basi fondanti di un sistema che è disponibile a eliminare fisicamente popolazioni ritenute in eccesso. Quale investimento il nostro partito intende fare su questa enorme novità? A me non pare affatto chiaro quale sia il nostro intendimento. Eppure qui ci sarebbe un lavoro positivo da fare su un terreno di alterità di fondo già scelta rispetto agli attori politici noti e lontani dalle vite di chi è sceso in piazza. Ci sarebbe da mettere i/le nostri/e militanti a disposizione per collegare, evitare settarismi, facilitare incontri, impostare connessioni fra tematiche, sapendo bene che una totalità come quella non si organizza, ma che dentro di essa ci si organizza, senza egemonismi, in rinnovate istituzioni di movimento. Qui dunque una possibilità concreta, tutta da attraversare anche dialetticamente, per rilanciare un percorso di alternativa sociale e poi politica.

Da un'altra parte, con un più preciso e riconoscibile impegno, c'è il lavoro per affrontare la stagione delle elezioni regionali abbandonando ogni infingimento o tattica congressuale, per portare la maggioranza dei posizionamenti nell'alveo del centro sinistra. Persino l'autonomia della nostra organizzazione, che pure il documento prevalso al congresso aveva ritenuto centrale da salvaguardare e rilanciare, viene miseramente sacrificata in questa discesa veloce verso l'accordo purchessia entro il campo largo. Una impostazione che ha derubricato qualsiasi regola di coerenza politica a orpello. In Veneto un incredibile balletto che ci ha visti descritti a mezzo stampa come "rifiutati" dal PD dopo aver accettato tutto il suo programma, per inseguire col fiatone una ipotesi con il PCI, scaricato vergognosamente per una riconversione a u nel centro sinistra su pressione, udite udite, dei movimenti. In Calabria siamo finiti ad appoggiare candidature non nostre in liste diverse per collegio. In Puglia ci affidiamo a un candidato presidente verso cui siamo stati iper critici sino a ieri e che vota per le armi e la guerra. Una ricognizione desolante.

Se le opzioni in campo sono le due descritte, io credo sia necessario, oggi più di ieri, abbandonare molto velocemente la via disastrosa del frontismo progressista, non in grado di produrre idee e pratiche utili per sconfiggere stabilmente la destra sul suo terreno. Abbiamo una storia, una tradizione importanti non da imbalsamare, ma da utilizzare creativamente. Si scelga la strada della Rifondazione migliore, quella sperimentata una prima volta a Genova 2001, per far crescere, curare, allargare il movimento prodotto dallo scempio di Gaza. Si orienti così la strada per il nostro lavoro sociale e politico per l'alternativa, dandogli tempo, ma senza deviazioni deleterie.

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