Partecipa e contribuisci all'attività di Rifondazione Comunista con 10 euro al mese. Compila questo modulo SEPA/RID online. Grazie
Direzione 27 aprile 2023
Intervento di Rino Malinconico
Mi permetto una piccola riflessione a proposito della battaglia sull’antifascismo e per l'antifascismo. Noi la decliniamo come riproposizione della spinta a una società più giusta, spinta che caratterizzò effettivamente ampi settori della lotta di Liberazione; e io credo che facciamo bene a farla così, e che ci sia ancora spazio per farlo. Tuttavia, proprio in questi ultimi giorni il nostro schieramento, lo schieramento per questa battaglia e per questa impostazione, ha dovuto vistosamente arretrare, ed è in piena offensiva l'idea che “antifascismo” significhi soprattutto “guerra patriottica”.
Pure in passato la tesi della “guerra patriottica contro l’occupazione tedesca” ha avuto cultori e estimatori (anche perché poggia su elementi di verità storica, seppure da non assolutizzare); essa però non era stata mai, fino a oggi, maggioritaria. Maggioritaria è stata invece l’interpretazione della Resistenza come scontro prevalentemente antifascista e antinazista, ovvero come conflitto tra opposte concezioni del mondo. Ma proprio a ridosso di questo 25 aprile 2023 a me pare che l’altra lettura abbia fatto un deciso passo in avanti; e vada configurando, anzi, una sua prevalenza, in uno con la legittimazione, persino su questo piano, della Presidente del Consiglio.
Ma se la nostra battaglia sull’antifascismo e per l’antifascismo si vede costretta a ripartire da una situazione più arretrata di quella che c'era prima di questo 25 aprile, occorrerà necessariamente riarticolare anche i nostri discorsi. D’altronde, la battaglia culturale e politica sulla dicotomia fascismo-antifascismo, noi già una volta l'abbiamo persa. Diversi compagni e compagne lo ricorderanno, perché appartengono come me alla generazione che urlava in piazza “la resistenza è rossa, non è democristiana”. Quello slogan costituiva una palese forzatura sul piano della ricostruzione storiografica; ma noi lo gridavamo con convinzione e con ostinazione. Non poteva bastare, ovviamente.
E non bastò. Noi non l'abbiamo spuntata: i democristiani non solo rimasero più legittimati della sinistra extraparlamentare a commemorare il 25 aprile, ma progressivamente sono riusciti a egemonizzare l’intero quadro politico. Di fatto, a cavallo tra XX e XXI secolo, sono stati davvero tanti gli ex iscritti del vecchio Partito Comunista Italiano che hanno applaudito con soddisfazione a segretari nazionali e dirigenti autorevoli formatisi nell’ambito della DC e delle sue propaggini, o nelle realtà ad esse collaterali. Io vorrei che evitassimo una nuova, e ben più bruciante sconfitta. Penso, a tal fine, che non sia sufficiente, e forse neppure adeguata, l’insistenza sul carattere “di popolo” della lotta partigiana, e che dovremmo invece recuperare con maggiore convinzione, accanto alla dicotomia fascismo-antifascismo, proprio la dicotomia che più specificamente ci appartiene, e alla quale più specificamente noi apparteniamo: quella tra sfruttati e sfruttatori, tra il basso e l’alto della società. Non so quanti, più giovani di me, conoscono una canzone del 1965 di Ivan Della Mea.
Parlava di un vecchio partigiano che aveva il colore rosso nei “giorni della lotta”, ma “nell'ora del ricordo” si ritrovava a portare il tricolore: “Tricolore era la piazza / tricolori i partigiani / «Siamo tutti italiani» / «Viva viva la nuova unità»”. Tutta la Piazza, un unico tricolore: “E che festa e che canti / e che grida e che botti / e c'è Longo e c'è Parri / e c'è anche Andreotti. / E c'è pure il mio principale / quello che mi ha licenziato / quello sporco liberale / anche lui tricolorato”. È a quel punto che c’è la reazione: “E mi son tolto il fazzoletto / quello bianco verde e rosso / ed al collo mi son messo / quello che è solo rosso. / E mi hanno dato del cinese / mi hanno detto "disfattista". / Ho risposto secco secco / «Ero e sono comunista»”.
È chiaro che si tratta di una canzone interna al contenzioso fascismo-antifascismo per come lo visse il Lungo Sessantotto italiano, e io non intendo affatto ripetere le logiche di quella stagione sul tema dell’antifascismo: non solo perché già allora l'abbiamo persa la battaglia sulla “proprietà morale”, ma anche perché siamo ora in condizioni molto più difficili. Penso, però, che dovremmo costantemente accompagnare il contenzioso sull’antifascismo con la dicotomia sfruttati/sfruttatori. Senza sovrapporre indebitamente i due piani (come fece velleitariamente il Sessantotto), e però mettendo in evidenza la presenza, non esclusiva ma comunque ampia, delle rivendicazioni sociali nella lotta di Liberazione, come pure nella Costituzione che, in qualche modo, l’ha poi sintetizzata.
Per quanto riguarda il referendum sull’invio delle armi in Ucraina e la Staffetta per la Pace, la logica venuta fuori dal dibattito mi pare giusta: e cioè che alcune cose le possiamo fare pienamente nostre, ma altre le dobbiamo far nostre relativamente. Sapendo che è difficile - ha ragione Galieni su questo; ma, in particolare il referendum proposto da Mattei dovremmo appoggiarlo mantenendoci a distanza e utilizzarlo politicamente. Il che significa inserirlo in una prospettiva più generale: non solo di battaglia pacifista ma anche di pressione per un più giusto ordine internazionale, a partire dallo scioglimento di tutte le alleanze militari.
Concludo, informando brevemente su una iniziativa che sta partendo in Campania. Assieme ai principali sindacati di base, a Pap e ad alcune significative realtà di volontariato solidaristico abbiamo avviato una raccolta di firme in calce a una Petizione Popolare rivolta al Consiglio Regionale della Campania per chiedere una MIR, misura integrativa sul reddito, che metta una pezza all’incipiente, drastico ridimensionamento, quantitativo e normativo, del Reddito di Cittadinanza. Tenteremo di chiudere questa raccolta entro il 30 di giugno. Orbene, una tale iniziativa la facciamo esattamente con l'idea di costruirla politicamente: perché facilita la costruzione di una mobilitazione (ci siamo posti l'obiettivo di 30.000 firme) e indica un chiaro obiettivo vertenziale: premere sull’Ente Regione in difesa del Reddito dei disoccupati e delle famiglie in condizione di fragilità sociale.