Direzione del 17 febbraio 2023 - Gianluigi Pegolo

L’esito di due importanti elezioni regionali, come quelle della Lombardia e del Lazio, costituisce un’occasione per il nostro partito per riflettere sull’efficacia della sua linea politica e sulla giustezza dei comportamenti assunti. Io concordo con la sostanza della relazione del segretario che, tra l’altro, mi pare ricalchi coerentemente le decisioni assunte a maggioranza nell’ultimo CPN. Il risultato di Unione Popolare non è stato positivo. Certamente le due situazioni regionali hanno evidenziato comportamenti diversi dell’elettorato.

Nel caso della Lombardia, considerando sia il dato in valori assoluti che quello in percentuale, possiamo parlare di una “tenuta” di Unione popolare. Nel caso del Lazio si tratta invece di una vera “débâcle” e cercare, come ho sentito fare in alcuni interventi, di sorvolare sulla portata della sconfitta (tre quarti dei voti persi fra le politiche e le regionali) o attribuirla allo scarso impegno di pezzi del partito, mi pare surreale, prima ancora che sbagliato. In realtà questo voto, a leggerlo attentamente ci rivela – almeno a mio avviso – che una collocazione di opposizione in solitaria nel migliore dei casi riconferma il peso (modesto) di UP. Nel caso in cui invece all’opposizione si presenti anche uno schieramento progressista o altri soggetti di sinistra, vi è un’emorragia di consensi in due direzioni: o come voto utile verso il raggruppamento maggiore, o come voto fortemente identitario. Si spiega così il risultato del PCI, modesto ma addirittura superiore al nostro.

Dovremo anche ragionare sulla dinamica dell’astensionismo che ha caratterizzato queste elezioni. Il voto lombardo dimostra che nella sua tenuta UP intercetta essenzialmente un elettorato piccolo e più politicizzato, subendo in modo meno marcato di altre forze politiche il fenomeno dell’astensionismo, ma tale politicizzazione non costituisce una garanzia assoluta della fidelizzazione dell’elettorato. Esiste nell’elettorato potenziale di UP (e lo si vede bene nel voto Laziale) una fluidità che può tradursi (più che in astensionismo) in trasferimenti di consensi ad altri soggetti politici. Se mi sono soffermato cosi tanto sui risultati elettorali, è perché da essi si traggono spunti importanti sulla linea di Unione Popolare. In primo luogo, mi pare evidente che una politica basata sulla crescita progressiva di UP fino a farla coincidere con il polo liberista che si vorrebbe costruire sia una pura velleità. Senza una politica di alleanze il polo antiliberista è destinato a restare una pia illusione.

In secondo luogo, senza un’apertura ad alleanze, è la stessa sopravvivenza di UP a essere in gioco. L’errore della segreteria regionale del Lazio – per tutta la prima fase sdraiata sulle posizioni isolazionistiche di PaP – sta in questo. Purtroppo, ed è l’aspetto più preoccupante, questa riflessione non è neppure iniziata in Unione Popolare, dove non si fa che parlare di formule organizzative e non si produce né uno straccio di analisi della situazione sociale del Paese, né una riflessione sulla propria adeguatezza. Alberga, infatti, in UP una cultura politica (concentrata in PaP, ma che a quanto pare sta facendo proseliti nel nostro stesso partito) di tipo autoreferenziale e settario. Viene cioè celebrata in modo ottuso la propria diversità dagli altri. Dal “mai col PD” si passa spesso a “mai con chiunque abbia avuto relazioni con il PD”. Una posizione primitiva e infantile.

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