Direzione del 17 febbraio 2023 - Andrea Ferroni, Antimo Caro Esposito, Stefano Vento, Anna Belligero, Marco Giordano, Federica Fuoco

“Strappare lungo i bordi”

A novembre del 2021, Michele Rech, in arte Zerocalcare, lanciava la sua prima serie animata, dall’esplicativo titolo “Strappare lungo i bordi”, che si è subito configurata come una denuncia –l’ennesima- della condizione di assenza di certezze in cui versa ormai più di una generazione.
Abbiamo imparato a chiamarli millennials, e sono quelle persone nate tra il 1981 e il 1995, ovvero tra la fase apicale del grande sogno borghese degli anni ’80 e la radicale crisi, politica, economica e sociale che attraversa gli anni ’90. Per molti sono i sempre giovani, ma, in questo conglomerato di vite, c’è chi si appresta a compiere, nel 2023, anche 42 anni.
Una generazione che è cresciuta all’ombra del grande sogno dell’Europa unita, nata con la prospettiva di portare stabilità e benessere, di educare i popoli alla pace e a una nuova idea di fratellanza. Una generazione che aveva davanti a sé l’orizzonte che si profilava come il più limpido della Storia e che oggi fa i conti con la nebbia delle crisi perpetue: la crisi del debito pubblico, scaturita da un sistema finanziario predatorio e deregolamentato; la crisi pandemica, che ha mostrato la solitudine dei soggetti politici e delle persone in carne e ossa; la crisi dell’Europa, un tempo baluardo del welfare state, oggi ridotta a soggetto decadente, anche per non essere mai riuscita a sganciarsi dal ruolo di provincia sbiadita dell’Impero a Stelle e Strisce. E lo dimostra la totale incapacità dell’Unione Europea di giocare un ruolo di mediazione nell’assurdo conflitto tra Russia e Ucraina, che ha fatto scoprire a quella generazione di cui sopra il terrore di una guerra nel cortile di casa. Un brutto risveglio per chi aveva creduto, e propagandato, la favola della “fine della storia”. La storia non è finita e noi abbiamo il diritto, e forse anche il dovere, di contribuire a scriverne un pezzo della nostra.

E mentre i millenials arrancano nel tentativo di trovare il loro posto nel mondo, storditi dalle profezie di un futuro radioso che si sono infrante sullo scoglio di un presente tenebroso, la generazione Z si è presa di prepotenza le piazze per porre al centro del dibattito la questione dei cambiamenti climatici. Sono i nati e le nate tra il 1997 e il 2012, che il mondo ha imparato a conoscere come generazione Z. Ragazze e ragazzi che, ispirati da Greta Thunberg, hanno urlato nelle piazze della necessità di “cambiare il sistema e non il pianeta”, facendo della lotta ambientale una lotta totale e globale. Emergeva in molte assemblee la spinta generosa di questa generazione verso le ingiustizie perpetrate dal capitalismo, di mercato e di stato, ai danni dell’ambiente. Una generazione cresciuta a pane e cultura neoliberale, per la quale pareva impensabile che potesse immaginare e agire un’alternativa, poiché annichilita da vent’ anni di berlusconismo, di tecnocrazia, di individualismo elevato a sistema. A questa generazione però, è stato insegnato che il comunismo è solamente una delle tante ideologie sbagliate che hanno insanguinato il Novecento, alla stregua dei fascismi europei e del nazismo. E difatti, per buona parte di questa generazione, il sistema da cambiare non è altro che una variante dell’attuale “sistema operativo”. È un po’ come aggiornare Android dalla versione 12 alla 13 dove l’ultima però è green.
Il covid poi ha contratto fortemente il movimento, svuotando le piazze e costringendo gli adolescenti a vivere in isolamento gli anni più importanti della propria formazione, anni che sappiamo essere centrali per il confronto diretto con i propri coetanei. Questo ha giocato sulle menti più giovani dei brutti scherzi, portando i ragazzi e le ragazze, in molti casi, ad abbandonare gli studi o a vivere veri e propri stati di pesante fragilità. E non è da escludere che queste tendenze possano aver avuto un ruolo nel cambiamento che c’è stato a livello elettorale. I principali istituti di analisi del voto hanno messo in evidenza una specie di ribaltamento dello schema che un tempo era sotteso al voto delle giovani generazioni.

Italia Viva, un partito a matrice unica neoliberale è il primo partito tra gli elettori e le elettrici della generazione Z, raccogliendo il 17,6%; questo risultato, sommato a quelli di altri partiti liberali, ci consegna la misura di quello che è stato l’impatto della controrivoluzione liberale sulle generazioni più giovani e fragili.
Gli scontri generazionali non sono certo una novità nella storia ma è certamente curioso, se non addirittura pericoloso, che in questa fase i più giovani non riescano neppure a immaginare un sistema economico e di relazioni alternativo a quello esistente. E sarebbe troppo semplice addossargli tutta la responsabilità di questa incapacità. Il mondo dei garantiti, che cerca di dare lezioni dal pulpito di conquiste che altri hanno strappato per loro, dovrebbe fare un minimo di autocritica. Per decenni sono stati propugnati modelli di lavoro, di vita, di relazioni, di stabilità, che risultano quasi sempre inaccessibili per chi oggi ha dai 20 ai 40 anni.

Una nuova sfida per il paese: il fronte progressista

Le elezioni del 25 settembre ci consegnano un quadro politico drammatico.
Per la prima volta dal secondo dopoguerra una forza esplicitamente di destra, che non fa mistero dei suoi legami con la tradizione del fascismo, diventa primo partito ed esprime il Presidente del Consiglio. Giorgia Meloni è la prima donna della storia della Repubblica a ricoprire questo incarico, e lo fa esibendo cultura e pratiche violentemente antifemministe.
Come Presidenti di Camera e Senato ci ritroviamo due nemici giurati della democrazia e della libertà, che riteniamo rappresentino un evidente pericolo per la nostra Costituzione. L’idea di Paese che costoro hanno in mente è in netta opposizione alla nostra, ma anche a quella di quanti e quante si riconoscono nella Repubblica nata dalla Resistenza. La scuola e la sanità pubbliche, la libertà delle donne, delle persone migranti, gay, lesbiche, trans, bisessuali e non binarie è sotto attacco. E dal punto di vista sociale il quadro è ugualmente spaventoso: nessuna politica di contrasto alla povertà, né di effettivo sostegno al reddito è prevista da questo governo.
Di fronte a questo scenario, serve un adeguamento della nostra tattica, come la storia dei comunisti e delle comuniste, a cui ci rifacciamo, ci insegna. Non vogliamo ridurci alla testimonianza di un glorioso passato, che non abbiamo neppure vissuto, né tantomeno restare impantanati nella ricerca di una purezza mitologica, tanto astratta quanto autoreferenziale, che non è affatto in grado di interpretare la complessità della realtà.
Un partito politico, che si pone l’obiettivo di “trasformare lo stato di cose presente”, non può prescindere dal consenso, che è sociale ed elettorale. Partecipare alle elezioni in un sistema democratico, per quanto imperfetto, significa accettarne le regole, e quella del consenso è una regola da cui non si sfugge se si vuole davvero incidere. Soprattutto se si opera in una fase di riflusso dei movimenti sociali.
Riteniamo pertanto che la proposta più efficace e consona alla fase politica e storica che il Paese attraversa consista nella costruzione di un Polo progressista, che si organizzi a partire dalle forze di sinistra presenti nelle istituzioni, dalle organizzazioni di massa, dalle relazioni politiche e sociali con i movimenti di lotta.

Mai come in questo momento è necessario mettere assieme tutte quelle forze che si richiamano ai valori della pace, dell'ecologia, della giustizia sociale, del trans-femminismo e dell’uguaglianza tra i popoli. Metterle assieme in forma autonoma rispetto al Partito Democratico ma con l’ambizione di lavorare sulle sue contraddizioni perché non è per niente vero che le “basi” sono sempre speculari alle “altezze”.
Crisi della democrazia e delle strutture democratiche di prossimità in assenza di una proposta politica.
Le elezioni regionali mostrano ancora una volta l’evidente crisi democratica in cui versiamo. Le ultime elezioni regionali infatti, quelle del 2018, avevano registrato un’affluenza pari al 66,55% nel Lazio e al 73,81% in Lombardia. Nel 2023 nel Lazio ha votato il 37,20% degli aventi diritto (-29,35%) e in Lombardia il 41,61% (-32,2%). Alle politiche dello scorso anno (ovvero di qualche mese fa) in entrambe le regioni sono state toccate soglie vicine al 70%.
In questo contesto i risultati del Lazio e della Lombardia mostrano perfettamente come in Italia manchi un’alternativa in grado di sfidare questa destra, che risulti credibile per chi deve presentarsi al seggio. Parliamo di una Destra che riesce con astuta opera camaleontica a nascondere i suoi peggiori tratti eversivi e che sta svuotando le sue componenti liberali.

Da un lato M5S e Pd non riescono a mettere al centro un progetto che parta da temi e proposte concretamente alternativi a quelli della destra, dall’altro la sinistra e gli ambientalisti risultano ancora troppo deboli e frammentati, non riuscendo così ad incidere nella definizione di una sfida alla destra e alle sue politiche. Pensiamo che il ruolo della sinistra e dei comunisti non possa essere quello di commentare mestamente questo quadro, bensì quello di lavorare per incidere, anche attraverso la costruzione di una coalizione progressista e alternativa alla destra, che non rinunci alla radicalità della sua proposta

Per far questo riteniamo insufficiente la costruzione di una soggettività politica come Unione Popolare, inadeguata tanto tanto nella modalità con cui è stata messa in piedi, quanto nei risultati ottenuti. Si aggiunga a quanto la rinuncia ad allearsi persino nel Lazio, dove si era presentata l’opportunità di sperimentare l’alleanza con M5S e Sinistra Italiana, come tra l’altro la stessa UP aveva richiesto solo qualche mese fa, in occasione delle elezioni politiche. La distanza da quello che noi riteniamo urgente e necessario è abissale e per questo crediamo che sia importante immaginare e costruire un altro progetto politico, soprattutto perché non riteniamo realizzabile un mutamento della cultura politica prevalente in Unione Popolare

Il terrore che “Il mondo che vorrei” non sia l’incipit del desiderio di cambiamento ma una condanna, proprio come nella canzone di Vasco “Qui si può solo perdere, e alla fine non si perde neanche più”. Perché non si è pensato mai neppure per scherzo alla possibilità di vincere le elezioni in Lombardia e in Lazio; e proprio perché non abbiamo mai provato a vincerla, non le abbiamo neppure perse. Ecco perché “non perdiamo neanche più”, perché ormai si discute solo della partecipazione ma in molti casi, e la politica è uno di questi, non ci si può sempre consolare e autoassolvere raccontandosi che “l’importante è partecipare”.
Riteniamo dunque che Rifondazione Comunista debba ripartire dal riallacciare i rapporti con le soggettività aderenti alla Sinistra Europea, anche in vista delle elezioni europee del 2024; quello europeo è un terreno di confronto politico da sempre ritenuto fondamentale nel nostro partito.

Conclusioni

Per finire, vorremmo riprendere il titolo di questo documento, preso in prestito dalla famosa serie e che tanto sentiamo nostro. Vogliamo “strappare lungo i bordi”, con cura e precisione; vuol dire che vogliamo farlo con il rispetto e la delicatezza che merita la comunità politica a cui siamo legati ma che non sentiamo più rappresentativa delle nostre esigenze, della nostra idea di efficacia, del nostro impegno. Ci piacerebbe (o ci sarebbe piaciuto?!) avere uno spazio davvero libero in cui poter discutere di prospettive e progettualità politiche, anziché ulteriori luoghi opprimenti in cui si gioca al Risiko dei gruppi dirigenti, perché non ci interessa questa partita, ma quella che si gioca nel Paese, nel campo democratico, progressista e antifascista. L’obiettivo non può essere, ancora una volta, cambiare esclusivamente il/la segretario/a, mantenendo inalterate le pratiche interne e la linea politica perché il nostro è, invece, quello di cambiare rotta. Non è importante il timoniere, ma che si prenda la giusta direzione per sfuggire alla violenza della tempesta. Anche se questo dovesse portare passeggeri ed equipaggio su un’altra nave. L’obiettivo per noi è salvare loro e non una barca che, perdonate la brutalità, ma da tempo ormai, fa acqua da tutte le parti.

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