Le elezioni del 25 settembre disegnano uno scenario allarmante e non solo per il successo di una destra che non nasconde le sue propensioni iperliberiste, xenofobe e antidemocratiche, ma anche perchè la sinistra si riduce a una porzione limitata, penalizzata da una tendenza al rifugio nell’astensione di una parte rilevante del suo elettorato popolare. Il risultato di Unione Popolare è deludente e non può essere giustificato con il tempo limitato che avevamo a disposizione. Quello che invece va sottolineato è la scarsa rappresentatività di una lista che anche con la presenza di De Magistris non ha ottenuto riscontri apprezzabili. L’errore che oggi bisognerebbe evitare di fare è quello di illudersi che una strutturazione organizzativa di Unione popolare, in un nuovo partito o in un quasi-partito, possa risolvere il problema della nostra debolezza. Si tratterebbe di una fuga dalla realtà che metterebbe in ombra i limiti oggettivi di una coalizione che resta elettorale, che non ha oggi un suo progetto politico e che è attraversata da contraddizioni e diversità non facilmente superabili. Una scelta che comporterebbe lo scioglimento di fatto di Rifondazione Comunista. La fase che ci sta di fronte, con la necessità di costruire un ampio fronte sociale e politico di opposizione, richiede all’opposto una aggregazione matura, determinata e unitaria, con una capacità superiore di proposta e priva di ogni residuo di settarismo. Per evitare quindi che si riproponga la situazione di quattro anni fa con PaP, è necessario dotarsi di una struttura di raccordo nazionale che funzioni sulla base del principio di condivisione e non di maggioranza, evitando la moltiplicazione di organismi. E’ sulle prossime campagne elettorali e sulle iniziative concrete che potrà maturare una progetto efficace. Unione popolare deve essere concepita, quindi, come una prima aggregazione di una sinistra antiliberista che va assolutamente allargata, non il suo contenitore predefinito.

Gianluigi Pegolo

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