Vedo due tesi opposte, entrambe sbagliate: salvare e rilanciare UP (e abbandonare un’ormai esausta Rifondazione al suo destino) oppure, al contrario, consegnare al rottamaio l’ennesimo tentativo di coalizione a sinistra per concentrarsi sulla “rigenerazione” di Rifondazione. Il “dilemma” è frutto di una confusione politica che vede Up e il Prc come opzioni fra loro concorrenziali. Ma la concorrenza esisterebbe solo ove si ritenesse che UP deve trasformarsi in un partito. Ma la costruzione di un partito non è un’improvvisazione, una suggestione da politicanti. UP nasce come coalizione elettorale. Supponevamo di disporre del tempo necessario per estendere questa iniziale aggregazione ad altri soggetti sociali e politici, a movimenti, ad intellettuali e singole persone. Questo dovrà diventare il nostro cimento nei mesi a venire: un processo inclusivo che non può relegare chi vi aderisce ad ospite gregario di un direttorio nelle mani degli azionisti di maggioranza. Ogni decisione dovrà essere assunta con il criterio della condivisione, perché se si scatena una feroce concorrenza interna fra chi deve detenere la golden share, oppure se si afferma una logica bonapartista, con un uomo solo al comando, il cortocircuito diventa inevitabile. Mi pare che si possa dire così: UP è un soggetto politico e sociale che agirà unitariamente sui temi delineati nel proprio programma e si presenterà ovunque possibile con il suo simbolo alle consultazioni elettorali. Mentre al Prc compete il progetto di una generale trasformazione della società, la lotta culturale e ideologica, l’organizzazione del conflitto sociale e della lotta di classe. Tale compito resterebbe anche se UP dovesse diventare una forza molto più consistente di quella appena apparsa sulla scena. Ovviamente non potremo trattenere chi si è invece persuaso che il partito comunista ha esaurito la propria funzione storica e che non rimane che adeguarsi ad un mondo allevato nella greppia del libero mercato.

Dino Greco

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