La loro crisi, le nostre proposte

Documento approvato con tre astensioni dalla direzione nazionale del 14 gennaio 2020.

La crisi di governo rappresenta un’ennesima pagina della degenerazione del sistema politico del nostro paese, ancora più grave perché si innesta in un quadro di crisi, gravissima, sia sanitaria che sociale, con milioni di lavoratrici e lavoratori, dipendenti o autonomi che siano, che vivono con poche centinaia di euro al mese o sono addirittura senza alcun reddito, con la prospettiva fra qualche mese di doversi confrontare con la fine del blocco dei licenziamenti e degli sfratti.

Dopo due decenni di leggi elettorali incostituzionali, adesione al pensiero unico neoliberista di tutti gli schieramenti, celebrazione del leaderismo e della spettacolarizzazione siamo giunti a una crisi di cui la maggior parte delle italiane e degli italiani non capisce nemmeno l’oggetto.

Chi nella maggioranza critica la deriva personalistica di Renzi dovrebbe riflettere sulle proprie responsabilità. Mentre il “pilota automatico” decide sull’essenziale, la dialettica politica scade nella faziosità e nella polemica becera in cui i vari personaggi e soggetti politici devono ritagliarsi uno spazio che non possono conquistare con la forza della prospettiva ideale e di impianti programmatici alternativi.

Il risultato degli apprendisti stregoni dell’attuale maggioranza è che la vittoria delle destre in caso di elezioni anticipate sarebbe di dimensioni enormi per effetto della legge elettorale in vigore e del taglio del numero dei parlamentari e consentirebbe ai trumpiani nostrani di eleggere il Presidente della Repubblica e di stravolgere la Costituzione con il presidenzialismo e un ancor più forte “regionalismo differenziato”.

Va respinto il riproporsi della polemica contro i “partitini” che ha già condotto dal 1994 al progressivo svuotamento del parlamento e a un sostanziale restringimento del pluralismo e della democrazia nel nostro paese. Mentre con gli sbarramenti sono state estromesse dalla rappresentanza le forze non allineate come Rifondazione Comunista, le leggi elettorali hanno amplificato il trasformismo e la fine dei partiti come organizzazioni popolari con una fisionomia ideale e programmatica e un radicamento nel paese. Il gruppo parlamentare di Italia Viva nasce da una scissione di elette/i nelle liste PD e della sua coalizione guidata dall’ex-segretario di quel partito.

Respingiamo indignati il paragone che in questi giorni è stato brandito in maniera ricorrente tra le battaglie di Rifondazione Comunista e Renzi. E’ un’analogia priva di fondamento. Il renzismo è un prodotto della lunga stagione dell’Ulivo e del centrosinistra, a Prodi ricordiamo che Renzi è figlio della sua politica non della nostra. Rifondazione Comunista ha rotto con i governi e si è scontrata col centrosinistra per dire no a guerre, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, per difendere scuola, sanità, servizi pubblici e beni comuni. Rifondazione Comunista ha difeso in parlamento gli interessi di lavoratrici e lavoratori, disoccupate/i, pensionate/i i cui diritti sono stati spesso e volentieri massacrati dal centrosinistra. C’è una differenza abissale tra chi chiede il MES e chi non votò il Trattato di Maastricht mettendo in guardia rispetto a regole europee che tutti oggi ammettono che si debbano cambiare. La nostra proposta di riduzione dell’orario di lavoro a 35 ore settimanali divenne legge in Francia e anticipava un dibattito che oggi è aperto in tutto il mondo. Rifondazione Comunista ha sempre portato in parlamento le istanze dei movimenti sociali e della classe lavoratrice, Renzi è solo uno dei tanti ventriloqui di Confindustria e dei grandi gruppi capitalistici spesso parassitari e certo non ne mancano nelle forze che sostengono il governo. Basti pensare a come hanno affrontato la questione delle concessioni autostradali dopo la strage del Ponte Morandi.

Si esce da questa fase di confusione e trasformismo solo rimettendo al centro i problemi del paese e chiare alternative programmatiche.

Il nostro giudizio su Renzi è di lunga data e le sue proposte a partire dal MES le consideriamo dannose. Ma questo non cancella la nostra critica alla linea del governo.

Nel Palazzo oggi non c’è una proposta politica e programmatica di sinistra.

LA NOSTRA CRITICA AL RECOVERY PLAN

Oggi più che mai è indispensabile riportare l’attenzione sui problemi enormi che vive il paese.

Visto come si sono susseguite le formulazioni, un giudizio definitivo sul Recovery Plan si potrà dare solo alla fine di un percorso ancora molto incerto nelle postazioni delle risorse, nelle strutture operative e gestionali, nei tempi di completamento e nei contenuti delle “riforme” richieste da Bruxelles per la sua approvazione. Possiamo intanto rilevare alcuni gravi limiti.
Il più grave consiste nell’utilizzo di un terzo dei fondi disponibili, la metà dei prestiti, in sostituzione di risorse ordinarie per interventi già programmati invece che in nuovi investimenti. E’ una scelta in linea col pensiero economico neoliberista, clamorosamente smentito dai fatti, che da molti anni persegue la riduzione del debito attraverso i tagli con le disastrose conseguenze note sia per le gravi sofferenze sociali che per il debito e per l’insieme dell’economia.
I fondi già scarsi vanno assolutamente utilizzati tutti per nuovi investimenti se vogliamo cominciare a sanare i danni prodotti dalla pandemia e soprattutto i gravissimi ritardi e storture economiche e sociali prodotti da decenni di politiche neoliberiste.
La destinazione delle risorse poi, fatto salvo il rispetto delle grandi linee indicate dalla Commissione europea, viene fatta in assenza di una politica industriale che definisca gli assi economici e le filiere produttive da privilegiare, confidando in quella discrezionalità dei mercati e delle imprese che sono responsabili delle difficoltà del sistema economico e produttivo italiano.
Sono totalmente insufficienti le risorse destinate al Pubblico nel suo insieme, alla sanità e alla scuola in particolare, che richiederebbero risorse ben più significative sia per le strutture che per il personale.
Manca totalmente un piano per il lavoro che proprio nell’assunzione di almeno 500 mila nuovi dipendenti pubblici avrebbe un punto di forza cui aggiungere almeno:
– la creazione di lavoro in un grande piano di risanamento idrogeologico del territorio,
– la subordinazione dell’erogazione delle risorse alle aziende a precisi vincoli occupazionali in connessione con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, in sostituzione di politiche attive da rivedere insieme al reddito di cittadinanza e agli incentivi alle imprese che producono impatti negativi in campo ambientale. E’ gravissima la distribuzione non equilibrata dei trasferimenti e degli investimenti tra nord e sud.

Un punto di particolare gravità del Recovery Plan, evidenziato anche dalla scomparsa della parità di genere dalle linee strategiche dell’ultima bozza, riguarda la mancanza di un piano vero per l’incremento della quota di donne occupate per il quale ci si affida a quella che in una sottomissione viene definita inclusione sociale che come è ovvio riguarda sia gli uomini che le donne. Mentre il fatto che i fondi dedicati siano quelli del react eu destinati a copertura di misure urgenti per i danni della pandemia nel sud conferma la mancanza di una prospettiva strategica che sarebbe necessaria.

Manca totalmente un piano per le case popolari la cui urgenza è drammaticamente sottolineata dai numeri allarmanti degli sfratti esecutivi momentaneamente bloccati, delle procedure in corso e delle domande di casa popolare senza risposta.
Un capitolo rilevante, soprattutto per la gestione inaccettabile che si intende farne, è quello che riguarda le infrastrutture idriche cui sono destinate risorse per circa 4 miliardi ma senza ripubblicizzazione del servizio idrico integrato. L’uso delle risorse destinate in gran parte al sud è legato infatti all’affidamento del servizio a gestori idrici integrati dotati di un organizzazione industriale adeguata con l’obiettivo, sottolinea l’Arera, della “prosecuzione del processo di razionalizzazione e consolidamento del panorama gestionale”. Lo scopo è un ulteriore attacco all’acqua pubblica sottraendo la sua gestione anche ai comuni del sud per affidarla alle grandi multiutility del nord e inferendo nuove gravissime lesioni alla democrazia e alla volontà popolare.
Riteniamo infine gravissimo che in un documento che spende moltissime parole sulle disuguaglianze non ci sia nulla su quella legata alla distribuzione del reddito di cui i salari italiani, tra i più bassi d’Europa, sono la componente principale, quella che deprimendo pesantemente la domanda è la principale responsabile del rallentamento economico.
Al questo riguardo riteniamo indispensabile l’avvio di un percorso complesso in cui si intreccino vincoli precisi alle imprese che ricevono risorse, tra cui i rinnovi contrattuali, lotta vera alla precarietà, all’economia illegale e ai contratti pirata con un provvedimento immediato: l’introduzione di un salario minimo legale di dieci euro al netto di ferie, tredicesima/quattordicesima e festività.

Nei mesi scorsi abbiamo indicato una serie di misure indispensabili per affrontare l’emergenza sociale e la pandemia.

Ribadiamo la nostra denuncia della gravità di un piano pandemico che esplicitamente legittima la selezione dei pazienti da assistere mentre si ignorano gli appelli a misure coerenti di contenimento del contagio. Riteniamo indecente che si continuino a spendere miliardi in spese militari mentre emerge gravissima la carenza di personale e strutture nella sanità, nella scuola e in tutto il settore pubblico.

In questa situazione mentre in parlamento e sui media si sviluppa una crisi incomprensibile riteniamo doveroso che il nostro partito si mobiliti in tutto il paese avanzando le nostre proposte per affrontare la crisi sociale e sanitaria e difendere la democrazia.

La Direzione Nazionale impegna, in particolare, tutte le federazioni e i regionali una giornata di mobilitazione nazionale per il prossimo 23 gennaio con presidi e iniziative.

Il 18 gennaio si terrà un presidio a Roma in Piazza Montecitorio a partire dalle ore 14.

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