Direzione
del 25 luglio 2015
Sintesi della relazione alla Direzione Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista del Segretario Nazionale Paolo Ferrero - 25 luglio 2015
Oggetto di questa relazione sono la vicenda greca e la questione dell’unità a sinistra in Italia.
Per quanto riguarda la vicenda greca che do per acquisita nei suoi caratteri generali, mi preme sottolineare quanto segue:
La vicenda greca.
La vicenda greca parla in primo luogo dell’Unione Europea. Questa si è mostrata completamente impermeabile alle legittime richieste del governo e del popolo greco. A differenza della Repubblica Italiana definita dalla Costituzione repubblicana, dove è stato possibile una forte dialettica politica e sociale, nell’Unione Europea questa dialettica non si dimostra possibile. Se la Repubblica nata dalla Resistenza era – pur nelle mille contraddizioni e in virtù di un fortissimo scontro sociale che ha visto centinaia di morti ammazzati dalla repressione poliziesca- un territorio “aperto”, questa Unione Europea si configura come un territorio “nemico”.
L’Unione Europea si presenta quindi come una gabbia d’acciaio neoliberista, fortemente gerarchizzata al suo interno in cui la Germania svolge una funzione imperialista e per certi versi neocoloniale. La vicenda greca ha fatto sì che milioni di persone in Europa capissero questo fatto e che quindi vi sia oggi una presa di coscienza maggiore del carattere dispotico dell’Unione Europea stessa. Come abbiamo detto più volte il problema non è la Grecia ma l’Europa e nello specifico la Germania.
Questa Unione Europea, questa gabbia d’acciaio non è quindi modificabile attraverso una azione riformista di accumulo di forze ma deve essere scardinata, come condizione per poter costruire una Europa dei popoli.
Syriza e il governo greco.
In questo quadro dobbiamo analizzare il ruolo di Syriza. Quella che è avvenuta è indubbiamente una sconfitta: il confronto tra il programma di Salonicco e cosa prevede il diktat dell’Unione Europea non lascia margini di equivoco.
Il primo punto da porsi è di chi è la responsabilità di questa sconfitta. Su questo non si può essere ambigui o avere incertezze: Syriza è stata sconfitta a causa dei rapporti di forza sfavorevoli, non in Grecia ma in Europa nel suo complesso. La sconfitta non è quindi addebitabile al governo Greco ma alla nostra – di tutte le sinistre del resto d’Europa – incapacità di costruire un movimento di massa adeguato a spostare i rapporti di forza in senso favorevole alla proposta del governo greco. Il punto fondamentale su cui concentrarsi riguarda l’isolamento del governo greco, cioè l’incapacità a costruire una risposta generale contro l’austerità nel momento in cui un governo dell’Unione stava aprendo una sfida chiara contro le politiche di austerità. Chi analizza la vicenda greca senza prendere atto di questo elementare punto relativo ai rapporti di forza, straparla ed è semplicemente alla ricerca di capri espiatori.
Se i rapporti di forza hanno determinato la sconfitta, vuol dire che il programma di Salonicco era sbagliato? Penso di no. Syriza si è presentata alle elezioni con un programma di governo razionalmente realizzabile. Ha investito su questo al fine di modificare la situazione data e ha costruito su questo una coscienza nel popolo greco, così come si è visto nella vittoria del NO nel referendum. Il programma di Salonicco è diventato un programma del popolo greco – una bandiera piantata nella testa della gente per dirla con Engels – che continuerà a produrre risultati: ha costruito un punto di vista anche se questo punto di vista non si è ad ora realizzato. Un partito che opera per la trasformazione sociale non è un sindacato e il suo ruolo è quello di costruire programmi, non piattaforme. Anche attorno all’opportunità della rivoluzione Russa del ‘17 vi fu un dibattito e Kautsky riteneva che questa fosse del tutto inopportuna visto lo scarso sviluppo delle forze produttive. Continuo a pensare che la lotta per il socialismo e la trasformazione sociale non è un percorso pianificato ma la capacità di cogliere le occasioni che la storia presenta, sia pure in forma contraddittoria.
Legato a questa riflessione occorre interrogarsi sull’entità della sconfitta: abbiamo perso una battaglia o abbiamo perso la guerra? Penso molto nettamente che abbiamo perso una battaglia. Visto che in questi giorni vi è il Tour de France uso una metafora ciclistica: abbiamo perso una tappa, non la gara. Così come non si può non vedere la sconfitta, non ha nessun senso dilatare la sconfitta fino a farla risultare totale ed epocale come taluni tendono a fare. Numerose sono le contraddizioni che questa sconfitta ha aperto, non solo nel campo nostro ma nel campo avversario: ha destrutturato l’immagine che la Germania aveva costruito di se rendendo evidente a livello di massa il suo ruolo padronale in Europa. Ha aperto una contraddizione sul tema del debito tra controparti, tanto da far prendere posizione al FMI sulla necessità di ristrutturare il debito. Ha reso evidente che il dickat imposto alla Grecia non ha alcuna razionalità economica ma è frutto di una modalità nazista di reagire a chi si ribella: colpirne uno per educarne 100. Ha reso evidente a livello di massa il carattere classista, reazionario e antipopolare dell’unione Europea a trazione tedesca. Nello stesso tempo è fallito l’obietto politico di far saltare il governo Tsipras e questo permette di riorganizzare da parte del governo una linea di resistenza contro il dictat e le politiche ad esso sottese.
Il Piano B
Il ragionamento sin qui fatto, spiega quindi la sconfitta con i rapporti di forza sfavorevoli e ritiene - nella sostanza - che il governo Greco non avesse significative alternative praticabili. Ovviamente ogni cosa si può sempre fare meglio e diversamente, ma nella sostanza il governo ha fatto quello che poteva fare. A questa tesi si contrappone la tesi del possibile PIANO B a cui il governo greco avrebbe dovuto accedere, non essendo possibile fare un buon accordo con l’Unione Europea. La tesi del PIANO B è quindi una tesi che dice che Tsipras non solo ha subito una sconfitta ma che ha fatto un errore grave e che doveva fare diversamente. Ho provato a confrontarmi con alcuni dei punti di vista che più autorevolmente hanno sostenuto questa tesi e devo dire non mi hanno convinto.
Varoufakis, ha sostenuto che sarebbe stato necessario attuare un piano B non per uscire dall’Euro – cosa che Varoufakis non propone – ma per attuare una diversa tattica contrattuale. Nello specifico Varoufakis ha sostenuto che sarebbe stato necessario dopo il referendum attuare alcune misure (doppia circolazione monetaria, etc.) che avrebbero nei fatti fatto presagire una possibile uscita dall’euro in modo da fare la trattativa con due ipotesi sul tavolo: l’accordo dentro l’Euro o l’uscita della Grecia. Trattandosi di un escamotage di tipo contrattuale – teso cioè a rafforzare la posizione contrattuale del governo greco – a me pare che questa idea abbia una enorme contraddizione interna: essendo l’uscita della Grecia dall’euro l’obiettivo della Germania – principale controparte nella trattativa – che rafforzamento avrebbe avuto il governo Tsipras nel minacciare esattamente cioè che voleva la Germania? A mio parere questa posizione avrebbe determinato un esito solo: l’uscita dall’euro secondo la volontà tedesca. Mi pare quindi che il ragionamento portato da Varoufakis non definisca una reale alternativa contrattuale.
Un’altra posizione ha invece sostenuto che la Grecia avrebbe dovuto perseguire il PIANO B inteso proprio come uscita dall’Euro, contrattando ovviamente le condizioni migliori possibili. Nell’argomentare questa posizione, Emiliano Brancaccio evidenzia come il problema da risolvere per praticare questa soluzione sia dato dal consistente deficit della bilancia commerciale greca, che ammonta a vari miliardi di euro. Brancaccio sottolinea come per alcuni anni – necessari per porre in essere politiche che portino ad un riequilibrio della bilancia commerciale – la Grecia avrebbe dovuto trovare chi finanziava questo deficit. Nel prosieguo dell’argomentazione Brancaccio stesso prende atto che la Cina e la Russia non si sono dimostrati disponibili a colmare questo buco. A me pare che questa constatazione tagli la testa al toro. L’assenza di un finanziatore esterno significa che la Grexit non avrebbe la condizione basilare che lo stesso Brancaccio evidenzia: la copertura del disavanzo commerciale. Ovviamente la Grexit sarebbe in questo caso possibile unicamente alla condizione di limitare le importazioni fino a raggiungere il pareggio della bilancia commerciale, ma questo significherebbe una riduzione bestiale delle condizioni di vita del popolo greco, cosa che nessuno auspica. A me pare quindi che, sulla base degli stessi presupposti che Brancaccio indica come indispensabili, il PIANO B inteso come uscita della Grecia dall’Euro, sarebbe stato e sia irrealizzabile.
Se i ragionamenti fatti sopra sono veri io penso che occorra prenderne atto. Il PIANO B, inteso come possibilità di risolvere i problemi della Grecia uscendo dall’euro, non esiste nelle condizioni date per la Grecia. Non perché Tsipras non l’abbia voluto elaborare o praticare ma perché la fuoriuscita dall’Euro avrebbe determinato una riduzione del livello di vita delle classi popolari in Grecia peggiore di quelle del dictat. Inoltre, mai in Grecia Syriza ha preso un voto – che si tratti di quello alle elezioni o per il NO al referendum – proponendo l’Uscita dall’euro, cosa che la grande maggioranza del popolo greco palesemente non vuole. A me pare politicamente incomprensibile continuare a proporre il PIANO B come se fosse la panacea di tutti i mali se questo PIANO B porterebbe concretamente esiti peggiori del dictat. Non vi sono scorciatoie o soluzioni già pronte: se l’Unione Europea è una gabbia di ferro, non è così semplice uscirne semplicemente perché lo si vuole.
La discussione sull’euro
Aggiungo a questo riguardo quattro considerazioni più generali. Come sapete nei documenti congressuali abbiamo detto che l’ingresso nell’Euro è stato un errore. Detto questo una cosa era non entrarci e altra – molto più complessa e discutibile nella sua utilità – è l’uscita dall’euro. Giova cioè ricordare che la realtà è dialettica e non meccanica: quasi mai i processi sociali ed economici sono irreversibili.
In primo luogo, tra coloro che sostengono l’uscita dalla moneta unica vi è a mio parere una sopravvalutazione arbitraria delle virtù salvifiche del dar vita ad una moneta espressione di un’area economica omogenea. A mio parere la moneta ha un suo posto rilevante ma non determina il complesso delle relazioni sociali e dell’organizzazione produttiva ed economica di una nazione. La centralità assorbente che la moneta ha in taluni discorsi a sinistra mi pare più un riflesso dell’ideologia monetarista dominante che la fotografia di come funziona effettivamente il capitalismo.
In secondo luogo mi pare che il termine sovranità monetaria venga arbitrariamente dilatato nel suo significato facendolo coincidere al termine di sovranità sull’economia tout court. Come se avere una moneta propria con la propria banca centrale determinasse di per se una sostanziale sovranità sulla propria economia. Questo era abbastanza vero in un contesto di economie sostanzialmente nazionali ma non è vero nel contesto della globalizzazione e dell’integrazione delle aree macro regionali. In un contesto di economie aperte, la concorrenza internazionale non si ferma certo di fronte alla sovranità monetaria e certo nessuno può pensare che il raggiungimento di un equilibrio nel cambio tra le monete possa dar luogo ad una capacità della propria industria di stare sul mercato nazionale ed internazionale e di determinare in automatico il pareggio della bilancia commerciale. Si porrebbe quindi il problema di investimenti e visto che per fare gli investimenti servono capitali, il tema del ricorso al mercato internazionale torna a rientrare dalla finestra dopo essere uscito dalla porta in nome della sovranità monetaria.
Da ultimo faccio notare a coloro che motivano il tema dell’uscita dall’euro per ragioni specificatamente politiche al di là della sua realizzabilità o della sua utilità sul piano economico, mi pare che nella coscienza del paese vada crescendo una critica radicale all’Unione Europea senza che questo si traduca in un aumento della quota di italiani che pensa opportuno uscire dall’Euro. Se questa impressione – confermata da alcuni sondaggi – fosse vera, la posizione più in sintonia con il senso comune del paese si dovrebbe muovere proprio nella direzione di difendere gli interessi del popolo italiano contro l’Unione Europea, senza per questo mettere in primo piano o addirittura come obiettivo fondamentale, l’uscita dalla moneta unica.
Qualcuno sostiene che la vicenda greca dimostra che la nostra proposta di disobbedienza ai trattati non funziona. Faccio sommessamente notare che la Grecia non aveva la forza per disobbedire ai trattati perché completamente dipendente dagli aiuti dall’estero. Per poter praticare la disobbedienza ai trattati occorre avere un grado di sovranità economica che la Grecia – purtroppo – non ha. Per questo la vicenda greca non c’entra nulla con la disobbedienza ai trattati e questo tema – da articolarsi nelle forme opportune – è tra gli strumenti che abbiamo a disposizione per costruire una linea politica per contrastare efficacemente – a partire dall’Italia – l’Unione Europea e le sue politiche.
La nostra proposta politica: unità dei popoli europei contro questa Unione Europea e sviluppo dell’autonomia nazionale.
Se l’Unione Europea è oggi un territorio nemico, una gabbia d’acciaio neoliberista asservita agli interessi tedeschi, occorre innanzitutto definirsi rispetto a questa. Noi riteniamo che per costruire un’Europa dei popoli, sia necessario rompere questa gabbia e che quindi occorre opporsi frontalmente ad ogni tentativo di implementare la medesima. L’Unione Europea non è negativa perché incompiuta ma perché sbagliata: è realizzata su misura del capitale finanziario per realizzare politiche neoliberiste. Per questo la retorica della costruzione dell’Europa politica deve essere contrastata duramente in quanto non farebbe altro che perfezionare la governance neoliberista, cioè la gabbia d’acciaio.
Per rompere questa gabbia è necessario sviluppare rapporti di forza adeguati e questo può essere possibile solo agendo sia sul livello europeo che sul livello nazionale e presuppone la costruzione di una rinnovata coscienza di classe. Per contrastare la tendenza alla guerra tra i poveri innescata dalla politiche europee basate sulla produzione artificiale della scarsità, occorre ridefinire la centralità del conflitto di classe. In altri termini vi è una battaglia culturale e ideologica che si deve articolare attorno al tema: i nostri nemici non sono gli immigrati e i rom ma la Merkel e i banchieri di tutti i paesi.
A partire dal tema dell’unità di classe dei popoli europei contro i banchieri e i padroni europei si delinea la nostra proposta che vede innanzitutto la netta opposizione ad una implementazione dei trattati europei, salvo che non si tratti di riscritture che contraddicono radicalmente quanto fatto sin’ora. A partire dal NO al rafforzamento di questa Unione Europea si tratta di definire una strategia che metta al centro il conflitto di classe su scala europea e il recupero di margini di autonomia e sovranità da parte degli stati nazionali.
Autonomia e sovranità per uscire dall’austerità, come punto centrale su cui ricostruire il nostro intervento politico relativo all’Europa. Si tratta a mio parere della prospettiva che ha maggiori margini di possibile riuscita e nel contempo che si sposa con il senso comune di massa che ha un giudizio radicalmente negativo sull’unione Europea ma nel contempo non ritiene praticabile – ed auspicabile – una uscita dall’euro.
A partire da questa considerazione occorre agire su due versanti.
In primo luogo la costruzione di un movimento europea contro l’austerità (Alliance Against Austerity) che proponga una sua idea di Europa dei popoli basata sulla piena occupazione, sulla riconversione ambientale e sociale dell’economia e quindi sulla generalizzazione del welfare, dei diritti sociali e civili, sulla riduzione dell’orario di lavoro.
Le principali modifiche necessarie per realizzare questo progetto sono:
Modifica del ruolo della BCE rendendola responsabile della piena occupazione e del finanziamento dei debiti degli stati.
Un piano per il lavoro europeo basato su investimenti pubblici finanziati dai paesi che hanno eccedenze nelle esportazioni e finalizzati al riequilibrio commerciale tra i diversi paesi e alla riconversione ambientale e sociale dell’economia.
Una normativa fiscale che alzi i minimi fiscali in ogni paese e stabilisca una forte progressività delle aliquote stesse.
E’ evidente che – dati gli attuali rapporti di forza - questi obiettivi sono oggi chiaramente irraggiungibili, Proponiamo quindi di sviluppare due campagne per rafforzare il nostro fronte:
Una campagna sul debito che abbia il compito di svelare come si è formato il debito e di proporre l’assorbimento del debito degli stati da parte della BCE.
Una campagna per sottoporre a referendum il fiscal compact che rappresenta un ulteriore aggravamento delle politiche di austerità.
In secondo luogo la costruzione di un movimento per la difesa degli interessi del popolo italiano – cioè di chi risiede in Italia, migranti compresi - nella concretezza della lotta al’austerità e alla condizione semicoloniale in cui è inserita l’Italia. Di questo movimento punto fondamentale è la battaglia per un Piano del Lavoro, cioè la piena occupazione.
Concretamente si tratta di rafforzare gli elementi di autonomia e di sovranità nazionale al fine di poter assumere scelte che abbiano una relativa autonomia dal quadro europeo neoliberista e neocoloniale. La costruzione di margini di autonomia dall’unione Europea e dai mercati finanziari è la parola d’ordine che vi propongo al posto della parola d’ordine dell’uscita o dell’acquiescenza all’Unione Europea. La parola d’ordine dell’autonomia deve innanzitutto puntare a ridurre la capacità di ricatto dei mercati finanziari internazionali, attraverso la costruzione di un doppio circuito monetario ed una sostanziale gestione su base nazionale del debito pubblico. In un contesto di maggior autonomia dai mercati è necessario praticare la disobbedienza dai trattati al fine di avere maggiori margini per realizzare spesa pubblica e politiche industriali. Ovviamente questa autonomia passa innanzitutto per il ritiro della firma dal Fiscal Compact che non essendo un trattato europeo ma un accordo internazionale è cosa del tutto alla portata di un governo che voglia difendere gli interessi del popolo italiano.
A questi due elementi che riassumerei come la difesa delle conquiste di civiltà del popolo italiano in un contesto di lotta europea contro il neoliberismo e l’austerità, ritengo necessario aprire una consapevole campagna contro il ruolo neocoloniale della Germania. Non so se è possibile lanciare il boicottaggio dei prodotti tedeschi ma certo occorre fare una campagna specifica contro le classi dominanti tedesche e il loro ruolo nefasto sulla nostra condizione di vita.
Dobbiamo quindi costruire una sorta di CLN europeo e nazionale contro il neoliberismo.
La sinistra antiliberista
In questo quadro si colloca la nostra azione per la costruzione di una sinistra antiliberista in Italia.
Non riprendo in questa sede le ragioni della costruzione della sinistra mi limito a segnalare che siamo arrivati ad un positivo punto di svolta che si dovrebbe concretizzare entro la fine di luglio con la formalizzazione della proposta di costruzione del soggetto della sinistra da parte dell’Altra Europa a cui dovrebbero seguire le positive risposte di vari soggetti politici interessati.
Si tratta di un positivo punto di passaggio reso possibile dalla maturazione politica avvenuta nel contesto generale: L’azione di governo di Renzi, palesemente di destra, così come il devastante appiattimento dei socialisti nella gestione della vicenda greca hanno demolito ogni ipotesi politica terzaforzista, intermedia tra la sinistra antiliberista e il PD. Questo è il terreno oggettivo su cui è venuta maturando una convergenza che pone le condizioni per il processo di costruzione della sinistra come polo politico autonomo ed alternativo al centro sinistra.
Noi riteniamo che questo processo di costruzione del soggetto unitario della sinistra debba essere ampio, non avere discriminanti a sinistra, ed invitiamo a parteciparvi a pieno titolo tutti coloro che lo ritengono un progetto positivo. Se entro luglio si arriverà a formalizzare la partenza del processo di costruzione della sinistra, a partire da settembre occorrerà partire concretamente alla sua realizzazione.
Rifondazione Comunista
Nel contesto della costruzione del soggetto unitario della sinistra antiliberista dobbiamo rafforzare e rilanciare rifondazione comunista inteso sia come progetto politico che come partito.
Rilanciare Rifondazione Comunista come progetto politico perché riteniamo questo sia il nodo fondamentale dentro la crisi del capitalismo. Occorre rilanciare il tema del superamento del capitalismo e della prospettiva socialista come necessità storicamente fondata. A tal fine la rifondazione comunista non è un optional ma la condizione per riuscire oggi a proporre una prospettiva comunista che abbia fatto i conti fino in fondo con il fallimento del socialismo reale e con le enormi trasformazioni che il sistema capitalistico ha avuto in questi decenni. Il tema dell’unità dei comunisti non lo proponiamo come incontro tra chi si dice comunista salvo poi pensare dire e fare cose assai diverse, quando non opposte. Poniamo il tema dell’unità dei comunisti sul terreno della rifondazione di un pensiero e di una pratica comunista adeguata al XXI secolo, fondata sulla libertà, sulla giustizia e sul terreno di una alternativa antiliberista al PD e alle socialdemocrazie.
Rafforzare e rilanciare Rifondazione Comunista come partito perché la costruzione di una sinistra antiliberista non riassume i compiti, il punto di vista e la pratica dei comunisti: per essere antiliberisti non è necessario essere marxisti, anticapitalisti o comunisti. La sinistra antiliberista deve essere uno spazio politico ampio, deve essere una sorta di CLN antiliberista, perché oggi la barbarie da sconfiggere è proprio il neoliberismo. All’interno di questa prospettiva il Partito della Rifondazione Comunista deve essere in grado di sviluppare analisi – del capitale come della classe – individuare le contraddizioni su cui far leva, formare quadri, stimolare le lotte, operare per la loro unificazione, agire concretamente la solidarietà come concreto percorso di riunificazione di classe. Cioè deve fare il partito comunista senza più avere al centro delle proprie preoccupazioni il tema della partecipazione alle elezioni.
La costruzione della sinistra antiliberista come percorso largo e unitario si deve quindi accompagnare al rafforzamento e al rilancio del Partito della Rifondazione Comunista nella sua capacità di porre dentro la crisi di sistema il tema del superamento del capitalismo.
Infine vi segnalo tre appuntamenti:
Il 6 di settembre terremo una Direzione nazionale sulla riorganizzazione del partito e sullo stato di attuazione delle decisioni della Conferenza di Organizzazione.
Dall’ 11 al 13 settembre terremo a Firenze la festa nazionale del Partito. Una occasione di dibattiti, seminari, festa, che si concluderà con un attivo nazionale dei segretari di circolo.
Il 17 ottobre, giornata mondiale di lotta alla povertà, vedrà manifestazioni in Italia ed a Bruxelles (reti europee).