Direzione del 9 giugno 2009 - Sintesi della relazione di Paolo Ferrero Serve un salto di qualità. Vorrei innanzitutto proporre un metodo alla discussione che con la direzione di oggi si apre. Non siamo di fronte a una condizione di ordinaria amministrazione perché il risultato elettorale negativo che abbiamo avuto alle Europee, peggiorato da quello delle amministrative, necessità una discussione di fondo. Per questo propongo che la discussione della Direzione non dia luogo alla votazione di documenti ma sia libera e a tutto campo. Il CPN di sabato e domenica dovrà invece tirare le fila di questa discussione e decidere con chiarezza l’indirizzo politico su cui procedere. Vi propongo quindi una analisi della situazione e una proposta politica chiara su cui vi prego di tenere una discussione non rituale. La situazione europea Gli elementi che emergono con maggiore forza dal voto sono i seguenti: l’avanzamento delle destre, un successo delle destre estreme fuori dai confini dei tradizionali partiti conservatori (non in Italia dove l’estrema destra è interna alle forze di governo); il fallimento delle socialdemocrazie (in maniera catastrofica in Gran Bretagna ma generalizzato in tutta Europa); la sostanziale tenuta delle forze di sinistra di alternativa, con qualche avanzamento limitato ma senza la capacità di sfondare. Evidentemente, il fatto politico più significativo è l’ avanzamento di forze reazionarie e xenofobe. Si confermano analisi che già abbiamo avanzato: le politiche liberiste, varate dal governo di grande coalizione europeo, producono una crisi sociale che travolge la socialdemocrazia e non trovando una risposta forte a sinistra si traduce in guerra tra i poveri e si posizioni di destra. Il generalizzato crollo della partecipazione al voto sta dentro quel quadro. Da parte degli strati sociali più esposti alla crisi non c’è l’individuazione della politica come strumento utile a cambiare la propria condizione. La politica viene ridotta a questione di ordine pubblico e non a caso il terreno della guerra tra i poveri proposto dalle destre nella direzione della guerra tra poveri raccoglie consensi. E’ il terreno dell’alternativa economica e scoiale che tende ad essere espulso dalla politica. Il caso italiano accentua questo degrado: una campagna elettorale che ha del tutto oscurato le questioni di merito e prima fra tutte la questione sociale, non parla d’altro che di una politica completamente separata dalla condizione reale della gente. Ma, ripeto, oltre il caso italiano, si tratta di un dato comune europeo: Questo è uno dei punti fondamentali da tenere presente: non c’è solo una crisi sociale devastante ma, in più, questa si intreccia con una crisi della politica che mette in discussione l’utilizzo della politica da parte delle masse come strumento per cambiare la propria condizione. E’ questo il frutto estremo di una sconfitta storica del movimento operaio dentro il ciclo liberista. Mentre nel secondo dopoguerra le classi subalterne hanno posto il tema della propria emancipazione sul piano politico, oggi c’è un attacco complessivo alla condizione sociale che non si accompagna a una ripresa della politica come partecipazione e emancipazione. L’astensionismo è, quindi, il fenomeno più evidente di un processo complesso, perseguito dalle classi dominanti, in cui l’economia viene presentata come oggettiva e la politica ridotta a discutere di ordine pubblico e di costume. Dobbiamo avere la piena consapevolezza anche delle conseguenze del voto sul processo complessivo della costruzione dell’Europa. Il grande progetto europeista di superamento dei nazionalismi, che hanno prodotto due guerre mondiali, viene completamente vanificato dalle politiche liberiste. In altre parole, la costruzione dell’Europa liberista aggredendo le conquiste sociali e producendo guerre tra i poveri, determina il risorgere dei nazionalismi e del razzismo, come dopo il ’29. E siamo solo agli inizi: ci sono effetti devastanti derivanti dalle delocalizzazioni e dal combinato disposto della Bolkestein con Mastricht che non si sono ancora dispiegate appieno. Ne accenno una per dare il senso: la Corte Europea si è espressa già nella direzione di affermare come il principio del libero mercato non possa essere messa in discussione dai contratti di lavoro nazionali. Così che può generalizzarsi la pratica di imprese che pretendono di estendere la clausola delle condizioni del Paese di origine su salari e orari di lavoro. Dobbiamo analizzare maggiormente questi processi perché il quadro europeo non è un problema di politica estera ma è la dimensione su cui si svolge lo scontro oggi. Per come sono dislocati i poteri, se rimaniamo entro il confine dello stato nazione, possiamo fare solo resistenza. O scaliamo il livello europeo o non siamo in grado di praticare una possibilità di uscita da sinistra dalla crisi. Il fatto che non siamo riusciti ad eleggere parlamentari europei, non ci deve far abbandonare questo quadro di riferimento necessario né la partecipazione attiva e convinta nel Partito della Sinistra Europea L’Italia dopo il voto Nello specifico italiano: le elezioni hanno dato un colpo ai due progetti estremi di scardinamento istituzionale. Berlusconi non ottiene il plebiscito e ne esce ridimensionato nella sua operazione politica che andava oltre lo smantellamento del sindacato di classe e di mettere la mordacchia alla magistratura. Berlusconi ha cercato di proporre un ulteriore salto di qualità: la messa in discussione del Parlamento in funzione del rapporto diretto tra il capo e le masse. L’esposizione antistituzioanale molto forte che ha tentato in vari modi ( dalla gestione della vicenda del terremoto, alle proposte di legge di iniziativa popolare) aveva l’obiettivo di affermare un principio netto: chi ha il consenso del popolo non deve stare al rispetto delle regole. Questa offensiva di scardinamento istituzionale ha subito con il voto un colpo di arresto. Non vuol dire che la destra sia stata sconfitta: il governo è forte come prima e più radicalizzato a destra sui valori e i contenuti. In altre parole, il confronto dentro il campo delle destre, almeno in questo momento, lo ha vinto la Lega. Ciò ha conseguenze nella valutazione complessiva: non va assolutamente scambiata la battuta di arresto del progetto berlusconiano con una sconfitta del governo delle destre, che non viene scalfito neanche dal fatto che non da una risposta alla crisi sociale. Subisce un colpo anche il tentativo del PD di dare uno sbocco alla crisi del sistema politico nella direzione dell’affermazione del bipartitismo. Il voto non ci presenta un Paese bipartitico ma policentrico. Il Pd subisce una sconfitta pesante, mascherata dalla battuta d’arresto del progetto berlusconiano. Nelle amministrative lo si vede in maniera netta. Perde seccamente in parte in favore di Di Pietro che capitalizza il ruolo di opposizione a Berlusconi. Una opposizione contraddittoria, perché forte sul piano dei comportamenti e su quello istituzionale ma inesistente sul piano dei contenuti di fondo. Di Pietro ha capitalizzato un antiberlusconismo di fondo ma non lo ha riempito di contenuti. Non mi pare nemmeno che Di Pietro abbia colto in modo largo il dissenso operaio. Non è quello il dato dominante. La sua lista prende un pezzo di elettorato PD: è più un fenomeno politico che sociale. Per la Lega, invece, si può parlare di fenomeno assieme politico e di radicamento sociale. Il voto a sinistra La scissione provocata dentro Rifondazione e la scelta di fare un cartello con le sinistre non alternative, come il Partito Socialista, sono all’origine del mancato raggiungimento del quorum. Senza la scissione, discuteremmo dei deputati eletti. Trovo stravaganti, e in un certo senso istruttive, le dichiarazione di alcuni esponenti di Sinistra e Libertà che parlano del loro come un successo e un risultato inaspettato. Come se avessero presentato la lista non per superare il quorum ma per cercare di realizzare l’azzeramento della sinistra esterna al PD, con l’ossessione che occorre distruggere quello che sta a sinistra come condizione per ricostruire. Una ricostruzione non di una sinistra di alternativa ma di una sinistra senza aggettivi, con il PD. Nel fondo c’è l’idea che sia superata la distinzione tra sinistra moderata e sinistra di alternativa e che ci sia spazio per una sola sinistra non meglio specificata. Non a caso Sinistra e Libertà propone un cantiere per la costruzione della sinistra che ha tutte le caratteristiche della riedizione dell’Unione; un progetto di cui abbiamo già constatato sula nostra pelle il drammatico fallimento. Questo progetto mi pare non solo sbagliato ma destituito di fondamento perché dentro il PD ci sono tensioni ma nessuna modifica qualitativa di indirizzo politico. Dentro quel quadro, ci può essere un contrasto sulla leadership ma che non ha nulla a che vedere con una rottura con i poteri forti. Il nostro risultato Il nostro risultato, nonostante un impegno grandissimo e generoso dei compagni e delle compagne, è stato negativo. In particolare, vorrei evidenziare il dato del nord che ci pone un grande problema. Noi abbiamo capito il problema della crisi e l’urgenza di stare dentro la crisi per rompere la separatezza della politica ma non abbiamo praticato adeguatamente questa linea. Abbiamo un grande problema nel Nord: non abbiamo intercettato la crisi come dovevamo. I comitati contro la crisi, che pure avevamo lanciato come proposta unitaria e aperta, non sono partiti o siamo stati in grado di farlo a macchia di leopardo e in maniera inadeguata. Insomma, siamo più osservatori della crisi che costruttori di risposte concrete. C’è anche un problema di tempi che non ci ha aiutato: il congresso chiuso a luglio, la scissione strisciante, uno stillicidio continuato fino agli inizi dell’anno. Ci sono posti io cui non abbiamo ancora i gruppi dirigenti. Ma tutto questo non giustifica i ritardi. La declinazione del nostro essere comunisti è stato letto principalmente come appartenenza a una storia che, sia chiaro, io rivendico; ma questo è un lato della questione: non si è riusciti a declinare l’essere comunisti dal lato della radicalità della proposta. Non siamo riusciti a produrre un grado di interlocuzione con il disagio sociale pari a quello delle destre populiste o il grado di rottura con la crisi del sistema politico che ha avuto Di Pietro. Non siamo stati percepiti come una forza in grado di proporre una alternativa a questo sistema economico e politico. I risultati delle elezioni dovranno essere ulteriormente analizzati, in particolare per quanto riguarda le elezioni amministrative per capire meglio e affinare l’analisi ma dobbiamo da subito mettere mano ad alcuni elementi. La proposta politica In questo contesto dobbiamo fare un salto di qualità. La pura prosecuzione del nostro cammino non ci porta da nessuna parte per cui dobbiamo cambiare marcia. Dalla sconfitta possiamo ripartire ma occorre avere chiara la necessità del cambiamento. Il salto di qualità lo dobbiamo fare su 4 piani: · La questione sociale Deve stare al primo posto, come centro fondamentale della linea politica. Il tema del partito sociale ha l’obiettivo la costruzione del conflitto. Non ce la caviamo in autunno con riproporre alcune manifestazioni nazionali. O c’è la costruzione di una rete di conflitti e si alza di molto il livello di mobilitazione oppure non funziona il surrogato di una manifestazione nazionale che poi lascia tutto come prima nei territori. Ciò pone il tema di un salto di qualità sul ruolo politico del Partito, a partire dalle aree in cui la crisi morde di più, penso al Nord. Abbiamo un problema di riconversione della nostra capacità di stare nei conflitti, avendo la consapevolezza che il tempo non lavora a riprodurre le condizioni della nostra esistenza, a meno che noi siamo capaci veramente di interagire con le condizioni reali che si trasformano. Occorre quindi riorganizzare il partito in funzione della costruzione del conflitto e non di una tranquilla amministrazione dell’esistente. · la lettura del comunismo Deve essere rilanciata una sua lettura come investimento per la trasformazione della società. Per questo motivo, è importante coniugare il termine comunismo con quello dell’anticapitalismo. Nel vissuto di tanta parte della società, la coincidenza tra i due termini non è scontata. Dobbiamo avere il coraggio di una grande apertura, anche coinvolgendo le forze intellettuali che sono stati con noi in questa fase su come oggi si attualizzi il tema del comunismo come trasformazione radicale della società. Oggi è egemone una ipotesi reazionaria molto forte che interviene pesantemente sul piano sociale come sui diritti civili e sulla libertà delle persone. Il comunismo deve essere rilanciato come alternativa complessiva a questo processo reazionario, come processo che unisce egualitarismo sociale e libertà delle persone. · Avanzare un progetto unitario a sinistra. Dobbiamo porre con nettezza l’obiettivo di unire le forze di sinistra anticapitalista, naturalmente a partire dal coordinamento dei soggetti che hanno dato vita alla lista. Dobbiamo proporre un processo di aggregazione di un polo della sinistra di alternativa che sia in grado di avere una propria proposta politica e una capacità di iniziativa e di radicamento. L’unità delle forze comuniste e l’unità di una più vasta sinistra anticapitalista sono due facce della stessa medaglia. Non entro qui nella discussione sulle forme organizzative, perché altrimenti la discussione inevitabilmente si ferma solo su questo. Il punto della proposta politica, ferma restando l’esistenza e l’autonomia di Rifondazione comunista, della costruzione di un polo di sinistra anticapitalista sta insieme alla capacità di stare attivamente dentro la crisi e alla innovazione politico culturale sul comunismo. Questa proposta noi la rivolgiamo a 360 gradi, a tutta la sinistra, nel convincimento che i processi politici devono partire dalla condivisione dei contenuti e da una concreta pratica sociale. · Funzionamento del partito. Dobbiamo concretamente mettere mano al funzionamento del partito. Noi siamo usciti da un lungo periodo in cui progressivamente si sono sedimentate aree strutturate che sono diventate frazioni. Io penso che, anche in virtù di questo siamo riusciti ad evitare lo scioglimento del PRC. Questa costruzione, però, sta generando problemi: nei fatti, siamo una federazione di partiti. Questo meccanismo che non fa selezionare i quadri sulla base della capacità ma della fedeltà, blocca la capacità di espansione del partito. Abbiamo la necessità di una profonda autoriforma della nostra vita interna. Così come abbiamo la necessità di una profonda razionalizzazione delle strutture del partito vista la scarsità di risorse finanziarie. Voglio essere chiaro: va salvaguardato il principio del pluralismo e il fatto di avere posizioni diverse è sacrosanto. Il problema è che nel nostro funzionamento e nelle relazioni interne ci sono forme di sclerotizzazione che ci impedisce l’apertura necessaria. Dobbiamo fare un salto di qualità e propongo a tutto il gruppo dirigente di misurarsi con questo obiettivo: il superamento del modo di funzionare che ci ha caratterizzato sin qui. E’ necessario un bagno di umiltà per tutti e dobbiamo dare l’esempio dalla direzione nazionale. Di questo dobbiamo discutere e per favorire questa discussione la segreteria si presenta rimettendo il mandato al prossimo Cpn, cioè all’organismo che ci ha eletto. Credo sia utile anche a rendere più libero e aperto il dibattito. Dal punto di vista del percorso, dopo la discussione di oggi, lavoreremo ad un documento che verrà proposto al Cpn e su quella base, proponiamo di fare attivi in tutte le federazioni. In questo quadro, una ulteriore riunione della direzione dopo il Cpn sarà necessaria perché una proposta politica si coniuga a una soluzione organizzativa, anche perché dobbiamo commisurarla concretamente dentro il quadro delle risorse ridotte che abbiamo con un ridisegno complessivo dei dipartimenti. |