Direzione del 9 giugno 2009 - Interventi

Imma Barbarossa

Bisogna uscire dalla forbice disfattismo/rimozione. E’ una sconfitta prima di tutto della democrazia,poi della sinistra e della sinistra di alternativa.Mi pare che ci siano le premesse perché si profili un vero e proprio passaggio civiltà,in senso contrario a quanto sta avvenendo in America Latina e negli USA. Abbiamo salvato Rifondazione comunista,ora bisogna trasformarla. Con un grande processo di apertura e di innovazione,mettendo in discussione la forma partito e evitando la chiusura nella identità comunista vissuta come conservazione. Aprire noi una riflessione sul Novecento e sul comunismo,tenendo presenti i movimenti e le culture critiche che lo hanno attraversato,dal femminismo alla nonviolenza all’ecologismo. Ripartire da una Conferenza di progetto che rifletta anche sul lavoro inteso nei suoi nessi con i tempi di vita, né in senso economicistico né in senso sociologico, ma in senso tutto politico. Come pure la riflessione sul partito sociale secondo me va nel senso dell’autosoggettivazione dei soggetti sociali. Insomma un vero e proprio percorso che affronti le pratiche politiche e il carattere patriarcale delle politiche e del nostro partito. Ci serve un partito a rete che non sia la rappresentazione di un gruppo dirigente formato sul bilancino, ci serve una comunicazione dal basso verso l’alto, che avvii una sinistra di alternativa nella elaborazione e nelle pratiche, in cui noi siamo alla pari con movimenti, comitati, associazioni.

Claudio Bellotti

Dobbiamo riconoscere con chiarezza che il gruppo dirigente nazionale che abbiamo costruito questo autunno non è in grado di rispondere alle esigenze messe a nudo dalla sconfitta elettorale. Non si tratta solo della segreteria che rimette il mandato, dobbiamo avere il coraggio di smontare un assetto elefantiaco, che più che un gruppo dirigente per un partito che deve condurre una lunga lotta controcorrente sembra un governo infarcito di ministeri e sottosegretari. 49 dipartimenti in larga misura inefficaci, nessuna verifica del lavoro svolto, una concezione deteriore della funzione dirigente, convegni invece di lavoro metodico, frasi fatte invece che studio serio dei problemi… magari proprio da parte ci chi fa della demagogia parlando contro le nostre componenti intenre. Tutto questo mortifica il lavoro dei compagni e impedisce di raccogliere il molto di buono che viene fatto. La dissociazione fra parole e fatti, tra il vertice e il corpo militante, è abissale: come si fa a parlare del fatto che non raccogliamo il voto operaio al nord quando non abbiamo neppure in Direzione un responsabile lavoro?
Il voto a sinistra esiste ed è anche aumentato, tuttavia si tratta di un campo che rimane diviso per un motivo politico di fondo. Il Pd capisce almeno in parte che non può semplicemente pensare di fagocitare questi voti e che ha bisogno di uno strumento per agire in questo campo: questo strumento è Sinistra e Libertà, per cui la divisione su questo punto cruciale rimane e rimarrà in futuro.
Se si intende mettere seriamente mano a questi problemi, bene. In caso contrario, dico subito che non sono disposto a diventare parte del problema.

Salvatore Bonadonna

Si potrebbe dire che la scelta fatta a Chianciano dalla maggioranza ha portato ad un risultato negativo e che la presunzione e l’arroganza di chi ha fatto la scissione ha prodotto un danno a noi oltre che a loro stessi. Il quadro generale illustrato da Ferrero, decisamente spostato a destra, ci dice, però, che se non si costruisce una sinistra nuova, unita e plurale, che va oltre la lista comunista e anticapitalista, si resta in un ruolo di testimonianza isolata dalle realtà sociali degli uomini e delle donne che abbiamo l’ambizione di rappresentare. La definizione comunista o anticapitalista, evidentemente, non parla agli operai e ai lavoratori dipendenti, e agli stessi precari, se nel Nord il risultato è così negativo; rimane una etichetta che rischia di essere escludente. Certo c’è di mezzo la qualità e il lavoro del partito e anche la debolezza delle liste, la corsa ad accaparrarsi preferenze tra candidati delle diverse “aree” e non a raccogliere voti nella società grande. E’ mancata la rete delle relazioni con i mondi del lavoro e della produzione che caratterizza qualunque forza voglia cambiare la società. Bene l’indicazione di quattro filoni di lavoro e il rimettere il mandato del Segretario e della Segreteria; il punto è se si prende atto che il Congresso di Chianciano appartiene ad una realtà sociale, economica e politica, che non c’è più e, quindi, va elaborata una nuova analisi adeguata ed una nuova strategia. Francamente, una sorta di “ rinnovamento nella continuità” che veda un po’ di stretta organizzativa e un rimpasto della Segreteria mi parrebbe assolutamente inadeguato; una vera ridiscussione e ridislocazione strategica potrebbe, invece, meritare il superamento delle vere e proprie correnti che si sono consolidate. Attenzione, come nel ’29 si profila una uscita dalla crisi che in America assume la forma progressista e in Europa quella regressiva, autoritaria e razzista; la sinistra ha il dovere di uscire dalla coazione a ripetere gli errori del secolo scorso.

Alberto Burgio

La decisione della segreteria nazionale di rimettere il mandato rischia di dare un segnale sbagliato, suggerendo che le responsabilità del risultato elettorale del 6-7 giugno gravano prevalentemente sull’attuale gruppo dirigente. Intanto, si tratta di un risultato insoddisfacente (poiché non raggiungiamo il quorum del 4%) ma non di un risultato catastrofico come quello dell’Arcobaleno. Inoltre, il 3,4% della lista comunista e anticapitalista (più di quanto ottenuto dall’Arcobaleno) giunge in una situazione ben più sfavorevole (dopo la disfatta del 2008; dopo la sciagurata scissione a singhiozzo capeggiata da Vendola e sponsorizzata da Bertinotti; mentre la crisi economica accresce il disagio sociale e rafforza la presa egemonica della destra razzista; in un quadro di brutale censura della nostra lista da parte di giornali e reti televisive). Detto questo, le maggiori responsabilità di questo risultato insoddisfacente non coinvolgono certo le scelte (giuste) assunte dall’attuale maggioranza del partito da Chianciano ad oggi, bensì l’operato del vecchio gruppo dirigente che ha governato in modo autoritario il Prc per diversi anni. Non bastano pochi mesi per recuperare un’immagine decente dopo i tanti errori accumulati durante il governo Prodi e nella campagna elettorale delle politiche del 2008, né per riconquistare un minimo di credibilità dopo l’ennesima scissione a sinistra, organizzata per distruggere Rifondazione comunista. Soprattutto, non bastano pochi mesi per risanare un partito ridotto ai minimi termini, disorganizzato, sradicato dai territori e da lungo tempo assente dai luoghi di lavoro e dai conflitti. Al contrario di quel che dicono quanti istituiscono impropri paralleli tra questo voto e la disfatta dell’anno scorso, bisogna andare avanti nel lavoro appena intrapreso, impegnandosi con particolare determinazione nella ricomposizione delle forze comuniste e anticapitaliste sia sul piano nazionale che sul piano europeo.

Maria Campese

Durante la campagna elettorale ero fiduciosa sul raggiungimento dell’obiettivo del 4%, perché ho trovato un clima indubbiamente migliore a quello del 2008.
I risultati sono stati purtroppo negativi, ma non tali da poter essere paragonati col tracollo della Sinistra Arcobaleno, anzi, se sommiamo le percentuali, registriamo un netto avanzamento nei consensi. Ora occorre ragionare sull’obiettivo mancato e sulle cause che lo hanno determinato: astensionismo, un partito smantellato nel corso degli ultimi anni, una credibilità persa e da ricostruire, la sconfitta del 2008, il congresso così dilaniante, la scissione, il poco tempo per costruire la lista. Tra le altre cose, occorre dire con chiarezza ed onestà che non è stata ancora applicata la linea che ci siamo dati al congresso di Chianciano. Occorre dire pure, senza cercare giustificazioni, che abbiamo avuto poco tempo a disposizione e che il terreno perduto non si recupera in fretta.
A mio avviso ora è necessario continuare, anzi cominciare, il lavoro politico, l’autoriforma del Partito. E portare avanti e consolidare, con coraggio e determinazione, il processo unitario a sinistra a partire dai soggetti della lista comunista e anticapitalista.
Credo non sia più il tempo del ripiegamento su noi stessi. E’ certo importante riflettere, discutere, ma adesso è anche fondamentale che questo diventi il tempo del lavoro, del radicamento sociale del Partito. Un altro punto da approfondire riguarda le alleanze: ritengo vada perseguita una linea politica che non sia né di minoritarismo, né di subalternità. Le alleanze possibili vanno costruite a partire dai contenuti, che non sono un semplice orpello.
Per quanto riguarda il nostro funzionamento interno chiedo a noi tutti di dismettere la pratica delle doppie verità: il predicare bene e razzolare male. E’ questa una pre-condizione per la ricostruzione di una nostra credibilità esterna.

Mimmo Caporusso

Queste ultime elezioni dimostrano come la tendenza al bipartitismo stenti a prodursi. Il bipolarismo, al contrario, continua ad esistere: vengono infatti premiati i partiti che inseriscono all’interno delle due coalizioni. L’ Italia dei Valori raddoppia il suo risultato rispetto alle ultime europee, la Lega raggiunge il suo massimo storico attestandosi attorno al 10%. Ritengo che il dato che riguarda la nostra lista non sia un risultato positivo. Innanzitutto perché non ci ha consentito di raggiungere la soglia di sbarramento, che era l’obiettivo che ci eravamo prefissati; in secondo luogo perché rispetto alle ultime elezioni europee perdiamo i 2/3 dei voti. Mentre nelle regioni del sud si registra una tenuta in termini di voti nonostante la pesante scissione che ci ha colpito, al nord il risultato elettorale è decisamente insoddisfacente. Questo è sintomatico dello stato del partito al nord su quale credo ci debba essere un’indagine approfondita per comprenderne le cause e trovare delle soluzioni. Per quanto riguarda le elezioni amministrative, il dato è ancora più deludente, determinando di fatto una consistente riduzione della rappresentanza istituzionale del nostro partito. Dobbiamo ragionare attentamente sulle cause nostro risultato: abbiamo sicuramente subito un danno dall’alto tasso di astensione e dalla competizione con Sinistra e Libertà. inoltre scontiamo ancora le conseguenze di scelte sbagliate che hanno determinato un deficit di credibilità del nostro partito. La strada è dura, ma dobbiamo evitare lo scoramento e cercare di riguadagnare la credibilità con i nostri ceti sociali di riferimento. Condivido le proposte politiche avanzate dal segretario. In particolare le proposte sulla questione sociale e sulla realizzazione un programma unitario a sinistra, a partire dalle forze della nostra lista. Sarebbe insensato dividerci dopo questo risultato. Ritengo sia necessario consolidare la lista comunista e anticapitalista, dando vita ad un coordinamento delle tre forze politiche (Prc – Pdci – Socialismo 2000). Sulla riorganizzazione interna: dobbiamo ripartire dalla conferenza di Carrara, per un‘autoriforma del partito.

Giusto Catania

Il risultato elettorale consegna un’Europa più a destra, la crisi ha rafforzato partiti conservatori, liberali e nazionalisti, spesso impregnati di cultura xenofoba e razzista. I socialdemocratici subiscono una sconfitta storica e anche la sinistra esce indebolita, infatti il nostro gruppo europeo (GUE/NGL) ha otto deputati in meno, malgrado alcuni segnali positivi che giungono da Portogallo, Francia e, in parte, Germania. In Italia si rafforza il bipolarismo e si conferma la tendenza alla spettacolarizzazione della politica, infatti tra i più votati in tutte le liste troviamo volti noti della tv.
Il nostro risultato è deludente. Ci sono tre motivi che spiegano il nostro fallimento.
1) Una proposta politica debole, troppo caratterizzata dall’unità dei comunisti: non è un caso che i più votati in tutte le circoscrizioni sono esponenti del PDCI.
2) Qualcuno forse pensava di avere già il 4% e abbiamo fatto liste debolissime, senza una reale rappresentanza dei territori e dei luoghi di lavoro.
3) La campagna elettorale è stata organizzata per correnti senza che nessuno si preoccupasse di seguire le indicazioni della Direzione nazionale. Questa nostra divisione è la seconda ragione che spiega l’affermazione dei candidati del PDCI.
In realtà, questa pratica è stata avallata da autorevoli esponenti della segretaria nazionale, propensi a pratiche di doppiezza o di doppiogiochismo, i quali invece di fare campagna elettorale si sono concentrati a procacciare preferenze ai candidati della loro corrente, infischiandosene delle indicazioni votate, all’unanimità, dalla Direzione nazionale. Se dobbiamo ripensare all’autoriforma del partito, come propone Ferrero, bisognerebbe cominciare dallo scioglimento delle correnti, così in futuro eviteremo anche i finanziamenti ai candidati delle correnti che si permettono di ristampare il materiale elettorale eliminando i nomi dei candidati indicati dalla Direzione nazionale. Occorre uno slancio nuovo per evitare che prevalga la disaffezione tra i nostri compagni, che hanno fatto generosamente la campagna elettorale. Propongo di organizzare, subito, un’assemblea di tutte le forze politiche e sociali della sinistra per ragionare di uno sbocco politico per il futuro e per ricostruire la speranza in questo Paese.

Mauro Cimaschi

La battuta di arresto del bipartitismo e di Berlusconi, che si ferma al 35% e fa evaporare il sogno di governare indisturbato con la Lega. Il successo della Lega, che sposta l’asse delle coalizione di centro-destra sempre più a destra aumentando nel contempo la conflittualità e le contraddizioni nella coalizione. La crisi del Pd, nascosta dalla battuta di arresto di Berlusconi alle elezioni europee, che ritorna in tutta la sua gravità nel voto amministrativo. Infine, le due liste di sinistra che assieme raggiungono il 6,5%, ma che lo sbarramento lascia fuori dal Parlamento. Questi sono i nodi politici su cui concentrare la nostra analisi e la nostra iniziativa politica.
Per la lista comunista anticapitalista non aver raggiunto l’obiettivo simbolico del 4% non è un risultato positivo. Il risultato va rapportato alla situazione di partenza e ai nodi politici irrisolti che ad essa sono sottesi e che l’eventuale raggiungimento del 4% poteva eludere. La partenza è il disastroso risultato della Sinistra l’Arcobaleno, che da un potenziale elettorale del 12% precipita al 3,1%. Ma soprattutto è la condizione politica in cui il nostro partito viene a trovarsi, dal congresso di Venezia (il superamento dell’organizzazione e la balcanizzazione del partito in correnti, e il conseguente sradicamento sociale), alla fallimentare esperienza di governo (da cui ne usciamo come forza politica di cambiamento scarsamente affidabile e credibile) all’ultimo congresso di Chianciano, dove il tentativo di sciogliere il Prc viene bloccato ma al prezzo di una lacerazione profonda e dell’ennesima scissione. E’ questo il contesto da cui matura questo risultato elettorale. Questi pochi mesi post-Chianciano non sono stati sufficienti (e non potevano esserlo) per risolvere le nostre difficoltà strutturali: radicamento sociale, recupero di credibilità e affidabilità politica, utilità politica e sociale… Per questo si deve continuare con maggior decisione il percorso politico del coordinamento dei soggetti componenti la lista e della costruzione di un soggetto unitario che sappia aprirsi e interloquire con le altre forze politiche e sociali.
Il primo terreno di incontro deve essere l’iniziativa politica e le questioni del lavoro.

Stefano Cristiano

Il nostro obiettivo era raggiungere il 4%. Non averlo raggiunto rappresenta una sconfitta con 2 conseguenze a mio parere gravi: una di carattere economico, l’altra relativa alla credibilità del partito e quindi alla sua esistenza. Detto questo sarebbe sbagliato affermare che ci troviamo nella condizione dello scorso anno. Dopo anni di smantellamento sistematico del partito, dopo il fallimento dell’esperienza di governo, dopo la tragedia dell’arcobaleno che ha prodotto la nostra cancellazione dal parlamento, dopo un congresso lacerante, dopo una scissione pesantissima e a puntate, aver preso gli stessi voti dello scorso anno senza verdi, SD e vendoliani in un quadro nel quale c’è stato un calo del 14% dei votanti, è un dato da valorizzare, e una base da cui ripartire. Questo noi lo dobbiamo dire anche perché è nostro dovere rimotivare un partito e militanti che altrimenti rischiano l’implosione. Per queste ragioni considero le dimissioni della segreteria un errore che potrebbe essere frainteso.
Sulla proposta politica sono completamente d’accordo col segretario: proseguire sulla strada del consolidamento ed estensione della lista comunista e anticapitalista a partire dal varo dei coordinamenti delle forze che le hanno dato vita, e aprire noi un’offensiva unitaria rivolta a tutte le forze della sinistra costruita non su formule politiciste (cantieri o costituenti) ma sui contenuti dell’alternativa. Falce e martello rappresentano una precondizione necessaria ma non sufficiente, il nostro simbolo deve alludere ad una politica, ad un intervento e ad una pratica sociali che siano vissuti concretamente nel parere come un’alternativa politica e sociale. Per riuscire in questa difficilissima impresa l’autoriforma del partito, indispensabile anche raggiungendo il 4%, e la coesione del gruppo dirigente sono fondamentali. Riavvitarci oggi in dinamiche pseudo congressuali sarebbe la fine.

Erminia Emprin

Condivido l'analisi e la proposta del segretario. Occorre buttare il cuore oltre l'ostacolo e sostanziare il progetto politico di riaggregazione a sinistra a partire e intorno alla lista anticapitalista. Non si tratta di eludere o sottovalutare la sconfitta elettorale, ma di perseguire coerentemente il nostro progetto politico, ripensando le forme organizzative e le relazioni di gruppo dirigente per dare corpo, sostanza e valore alle pratiche e al lavoro sociale avviato da tante compagne e compagni. In politica si scontano sconfitte, arretramenti e passi indietro, che richiedono capacità di scarto e di spostamento. Si tratta di riconettersi nelle pratiche con i processi di soggettivizzazione critica con cui lavoratrici e lavoratori stanno rispondendo alla crisi. Sono state richiamate altre esperienze, altrettanto siginificative. Ma basta guardare ai risultati dell'inchiesta sul lavoro sociale che ha impegnato tante compagne e compagni insieme a una vasta espressione critica del Terzo settore, basta visitare i siti e i blog "operai sociali" che stanno nascendo spontaneamente, per cogliere la connessione tra coscienza di classe e necessità di organizzarsi su un progetto di trasformazione sociale da cui sono attraversati. A partire dall'obbiettivo di riappropriarsi delle loro vite. E proprio questo l'elemento da cogliere: parlano delle vite concrete e del complesso della loro esistenza e di quella di amici e compagne/i; non sanno nemmeno cosa sia l'astratta separazione tra diritti sociali e diritti di libertà. Come la compagna che venne, subito dopo il matrimonio, a firmare in abito da sposa la proposta di istituzione del registro delle unioni civili a Lucca, qualche anno fa, Di questa cultura politica antagonista frantumata ma non dissolta dobbiamo saperci fare strumento. Questo esige un salto di qualità, la connessione tra la teoria e le pratiche, capacità di relazione e di ascolto, di riconoscimento e di reciprocità, in primo luogo tra di noi. Questa è anche la lezione attualissima del femminismo.

Roberta Fantozzi

Non possiamo ogni volta dirci che la dimensione Europea è decisiva e poi concentrare la nostra attenzione solo sulle vicende interne. Le politiche neoliberiste e la subalternità delle formazioni che fanno riferimento al Partito Socialista Europeo a quell’impianto hanno fatto vincere quasi ovunque nei singoli paesi, le destre. La crisi esito di quelle politiche, fa avanzare le formazioni della destra radicale, nazionalista e xenofoba. E’ squadernato il fallimento strategico del liberismo temperato. E’ un punto di analisi fondativo della nostra proposta politica, che da tempo avanziamo, ma che dovremmo cercare di far diventare una “bandiera piantata nella testa della gente”. L’autonomia dal PD non ha a che vedere dunque con antropologie “settarie”, ma è fondata su una lettura di processi mai come oggi così evidenti. Va promossa da subito una mobilitazione continentale della Sinistra Europea e del Gue (i cui risultati sono di buona tenuta) contro gli scenari che si prefigurano: con la commissione europea che per bocca di Almunia, membro del partito socialista, rilancia il patto di stabilità come base delle finanziarie 2010 degli stati membri. Dati i livelli di deficit che si sono determinati per la crisi, questo significa la distruzione del welfare su scala continentale.
Il nostro risultato è negativo e va detto con chiarezza. Anche se quel risultato va collocato nel contesto: processi di sradicamento sociale che sono andati avanti per anni, e nel passato recente una rappresentazione di noi, dal Congresso alla vicenda di Liberazione, alla scissione, che ha puntato alla distruzione del nostro patrimonio simbolico. In questo quadro aver raccolto in termini assoluti i consensi della Sinistra Arcobaleno, ci consegna un quadro in cui ripartire è assolutamente possibile. Per questo i 4 piani proposti dal segretario devono marciare tutti assieme: il partito sociale cioè il passaggio difficile ma ineludibile dalla propaganda all’organizzazione del conflitto e del legame sociale; la ricerca neo-identitaria sul comunismo non come nostalgia ma come riattualizzazione di un pensiero e di una prassi di trasformazione e liberazione; la costruzione di un polo della sinistra comunista e di alternativa; lo sblocco delle cristallizzazioni di frazione che è tutt’altra cosa dalla messa in discussione di un pluralismo interno fondativo della nostra idea di partito.

Loredana Fraleone

Penso che andrebbe approfondita l’analisi del voto, accennata nella relazione introduttiva, rispetto a quelle che ormai sono da considerare tre Italie: Nord, Centro e Sud. E’ vero che al Nord la crisi morde di più, ma mentre la Lega utilizza radicamento ed insediamento per offrire una risposta, se pur di destra, noi ne siamo fortemente deficitari.
Sono d’accordo con tutti gli interventi, in particolare quello di Bruno Steri, che distinguono tra il risultato della Sinistra Arcobaleno alle elezioni politiche e quello che abbiamo conseguito alle europee.
Non solo, com’è stato detto, avendone subite, da allora, di tutti i colori, ma anche perché già da prima del congresso siamo rimasti a lungo ripiegati su noi stessi ed abbiamo avviato con molto ritardo la stessa campagna elettorale, durante la quale invece abbiamo potuto verificare che esiste una domanda sociale forte sui nodi della crisi e nuove disponibilità nei nostri confronti per affrontarli. Si tratta perciò di dare seguito alle iniziative intraprese, intrecciandole con la costruzione del partito sociale.
Sono anche d’accordo con avviare noi un’offensiva unitaria, che contemporaneamente al consolidamento del coordinamento con le forze della lista elettorale si rivolga anche alle altre della sinistra anticapitalista. La lista di Sinistra e Libertà ha ottenuto un risultato a livello d’opinione, in questo e nella sua composizione risiede la sua fragilità, che può rendere disponibili soggetti che l’hanno sostenuta. Oltre all’unità verso altre forze della sinistra anticapitalista, abbiamo bisogno anche di grande unità al nostro interno, per questo è indispensabile il superamento delle correnti, come ha detto Paolo nella relazione, condizione per avviare pratiche politiche efficaci e formazione dei gruppi dirigenti sulla base della qualità e non dell’appartenenza. Contrariamente a Masella penso che si debba avviare da subito l’iniziativa sulle prossime elezioni regionali, rispetto alle quali dobbiamo elaborare, territorio per territorio, progetti forti, intendendo per progetto la capacità d’intrecciare movimenti e conflitto con il livello istituzionale, smarcandoci così sia da alleanze in posizione subalterna che dall’isolamento politico.

Fosco Giannini

1) Occorre cogliere il nesso tra l’espansione delle forze reazionarie dell’Ue e la natura – neoimperialista – di essa, in modo che cada l’illusione che l’euroatlantismo e il liberismo dell’Ue possano essere emendati. Contro di essi serve il conflitto e la costruzione sovranazionale del movimento comunista, anticapitalista e sindacale di classe. 2) La socialdemocrazia vive una crisi di natura storica che trova le basi nella negazione da parte del capitale della redistribuzione del reddito. 3) Siamo di fronte ad un avanzamento dei partiti comunisti e delle forze della sinistra anticapitalista europea ( comunisti ceco-moravi, greci, portoghesi, ciprioti, francesi; Die Linke, Synaspismos, Blocco portoghese, Npa francese) e ciò vuol dire che – di fronte alla incapacità della socialdemocrazia di rispondere all’attacco del capitale - è come non mai il tempo dei comunisti e delle forze anticapitaliste, che debbono trovare, attraverso la loro reciproca autonomia, una unità d’azione. Non è il tempo, invece, degli alambicchi bertinottiani volti alla costruzione di partiti di sinistra improbabili dati dalla cancellazione comunista e dalla mortificazione della sinistra entro spazi non propri, come dimostra l’eclisse dell’Izquierda Unida spagnola.
Sul voto alla nostra Lista: certo non si può parlare di vittoria, ma di ripresa si: essa supera da sola il consenso ( in termini assoluti e in percentuale) delle molteplici forze dell’Arcobaleno e lo fa di fronte a infiniti ostacoli: la scissione scellerata e filo PD dei vendoliani; il peso della sconfitta storica dell’Arcobaleno, la cancellazione dei media ( sorte che non era toccata né a Bertinotti né, oggi, a Vendola), le titubanze di alcune aree del Prc nel lanciarla e sostenerla e la fragilità organizzativa del nostro Partito, eredità dello sfascio bertinottiano. Che fare, ora? Occorre ricostruire una sinistra anticapitalista per l’opposizione che abbia come cuore un Partito comunista - più forte, radicato e di lotta - dei due piccoli partiti attuali. Si pone dunque,in modo ormai ineludibile, la questione dell’unità dei comunisti.

Alessandro Giardiello

Il risultato europeo registra il tracollo delle socialdemocrazie, l’avanzata delle destre, ma anche un risultato non disprezzabile per le forze della sinistra alternativa (con l’eccezione di Italia e Spagna). Il nostro risultato è negativo, anche se c’è una ripresa rispetto alle politiche. Ma il ricordo del governo Prodi è ancora vicino.
Nella crisi non siamo stati in grado di offrire risposte adeguate. Ferrero lamenta la scarsa capacità del partito di intervenire nei luoghi di lavoro, un problema reale ma la cui responsabilità ricade in primo luogo sul gruppo dirigente nazionale. In una precedente direzione registrando i limiti del nostro apparato il segretario aveva accolto la proposta di dare vita ad un gruppo di intervento operaio. Questa proposta è poi sparita dal dispositivo finale ed è stata insabbiata e non certo dallo spirito santo. La Conferenza dei lavoratori comunisti, decisa a Chianciano è andata di rinvio in rinvio. C’è una distanza abissale tra ciò che si dice e ciò che si fa. Prevale la propaganda sterile, la trovata dell’ultimo minuto, lo slogan ad effetto piuttosto che l’analisi, lo studio approfondito dei problemi e l’intervento sistematico nel conflitto e nella crisi. La vicenda delle candidature operaie è emblematica. In questa riunione ci viene fatto un volgare attacco da parte dei compagni della seconda mozione, la nostra colpa è aver organizzato seriamente la campagna elettorale di Mimmo Loffredo, operaio della Fiat di Pomigliano come strumento per rilanciare il nostro radicamento sociale! Il segretario è sempre più connivente con questo settore istituzionale e fa una proposta sull’unità a sinistra che ricorda molto le discussioni che ci hanno portato al disastro del 14 aprile. Chianciano è un ricordo sbiadito. Sta ai militanti che più hanno creduto in quella svolta battersi per evitare che la sconfitta elettorale si trasformi in un ritorno al passato.

Claudio Grassi

In Europa per la sinistra alternativa e comunista non c’è un trend negativo. Lo dicono i risultati positivi della Germania, Francia, Portogallo, Grecia, Cipro e Repubblica Ceca. Ciò significa che le difficoltà della sinistra in Italia non sono di fase, ma dettate da nostre vicende contingenti. C’è lo spazio per ridare credibilità al nostro progetto e per ritrovare consenso elettorale anche in Italia.
Il dato politico di queste elezioni è che Berlusconi non sfonda. Si aprono quindi crepe in un edificio che sembrava incrollabile. Il Pd perde il 7% dei voti e crolla nelle amministrative.
Chi vince? Vincono i due partiti minori che stanno nelle coalizioni: Lega Nord e Di Pietro. C’è un voto estremo che non va sulle estreme. Non è dunque la fine del bipolarismo, che fa anzi un passo avanti. Semmai è uno stop al bipartitismo. In questo contesto, il nostro voto non è positivo. E' quindi doveroso che il gruppo dirigente rimetta il mandato. Non mi pare però un risultato paragonabile al tracollo della Sinistra Arcobaleno. Lo scorso anno, tutti insieme, abbiamo preso il 3,1%. Oggi, dopo un travagliato congresso ed una scissione la lista comunista è al 3,4% e Sinistra e Libertà il 3,1. Un dato quindi che ci consente di rimetterci in carreggiata, di continuare a lavorare e di ricostruire.
Il gruppo dirigente deve dare subito un segno di unità al partito. Vanno evitate azioni che alludano alla riapertura di uno scontro congressuale. Sarebbe lo sfascio di quel poco che con tanta fatica stiamo cercando di ricostruire. E occorre dare anche un segno di unità della lista comunista e anticapitalista. Va consolidata l'unità di queste forze costituendo subito i coordinamenti nei territori. Assieme a questo occorre avanzare subito una proposta di unità d'azione a tutte le altre forze a sinistra del Pd che hanno raccolto il 7% dei consensi: un patrimonio significativo che è importante inizi a sviluppare iniziativa politica e sociale se non vuole disperdersi.

Rino Malinconico

Concordo pienamente con Ferrero sull’analisi del voto. Sottolineo che il dato decisivo riguarda proprio il nostro progetto: la costruzione di una forza politica anticapitalista e comunista, che deve fare i conti con l’attuale condizione di marginalità politica. La traversata del deserto, o della palude nella quale siamo immersi, non è affatto giunta alle fasi finali. Come dovremmo attrezzarci noi comunisti? Io penso che dobbiamo lavorare anzitutto sulla nostra cultura e sulle nostre idee, recuperando, dal marxismo e dall'insieme delle teorie della liberazione, tutto ciò che ci parla di una prospettiva di nuova umanità oltre che di nuova società. In secondo luogo, dobbiamo realmente costruire un rapporto vivo col conflitto e con l'insieme dell'autorganizzazione sociale. La possibile utilità sociale dei comunisti risiede proprio nel fatto che essi si impegnino costantemente nelle “buone battaglie”: nelle vertenze di lavoro, nelle rivendicazioni democratiche delle comunità, nei comitati che intendano far valere i diritti, nelle strutture di mutualità sociale... Questo vuol dire concepire il partito (il nostro o la futura casa comune dei comunisti) come un qualcosa di non separato dalla società, come un insieme di persone capace di accogliere e partecipare, che concorrono a dar vita a realtà associative e ne facilitano l'azione. Infine io credo che come Prc, e come comunisti in genere, dobbiamo lanciare la proposta di un fronte di opposizione alle destre e alle politiche di destra, un fronte che faccia del lavoro, dei diritti e delle solidarietà l'ossatura di proposte concrete, capaci di indicare, già in questa crisi, un primo percorso di trasformazione sociale. Penso che una tale linea vada declinata in modo aperto, andando a vedere anche le carte degli altri: di Sinistra e Libertà ma anche di Di Pietro e del Partito Democratico. Penso inoltre che la questione delle possibili convergenze per le prossime regionali vada articolata meglio: si può arrivare ad alleanze organiche di alternativa se, per l’appunto, ci sono contenuti alternativi. Altrimenti andrebbe praticata una logica di desistenza verso PD e IdV, con apparentamenti solo tecnici, in modo da non regalare nulla a Berlusconi, ma senza solidarietà di gestione.

Ramon Mantovani

La battaglia per la nostra esistenza non è vinta. Siamo a metà del cammino. O meglio, siamo in mezzo al guado. In questo momento bisogna avere il coraggio di affrontare di petto due questioni. 1) E’ l’anticapitalismo la chiave per rilanciare il partito riconvertendolo letteralmente al lavoro sociale, per unire in un polo tutto ciò che socialmente e politicamente si colloca dentro i confini di questa discriminante, e per costruire un percorso di unità di tutte e 4 le forze politiche che si richiamano al comunismo. 2) Siamo d’accordo sull’autonomia dal PD? Spero di si ma io parlerei di indipendenza. E soprattutto bisogna avere la coscienza che dobbiamo considerarci antagonisti rispetto al bipolarismo e al sistema politico elettorale. La totale impermeabilità delle istituzioni al conflitto sociale e ad ogni progetto generale di trasformazione della società è sotto gli occhi di tutti. Ma non è un incidente. E’ strettamente connesso all’americanizzazione della società e del senso comune prodotto dalla ristrutturazione capitalistica. Continuare a coltivare l’illusione che i problemi si risolvano con la collocazione nel sistema, sia in alleanze sempre più prive di contenuti sia in opposizione parolaia sarebbe un vero suicidio.

Leonardo Masella

Il risultato elettorale non è neanche lontanamente paragonabile alla catastrofe della Sinistra Arcobaleno di un anno fa. Oggi le forze di sinistra nel loro insieme raggiungono il 7% e la sola lista comunista unitaria supera il risultato che prese l’Arcobaleno. Il quorum non viene raggiunto, e quindi non verrà eletto nessun parlamentare, ma questo è il prodotto diretto della scissione vendoliana, della irresponsabile teorizzazione bertinottiana del “tanto peggio tanto meglio”.
Ora per favore, basta parlare di elezioni! E’ necessario rilanciare l’unità della lista comunista e anticapitalistica, trasformandola in una struttura permanente di iniziativa, non nella autoreferenzialità politicista o ideologica, ma nella utilità concreta per una mobilitazione politica e sociale più ampia, contro Berlusconi e la crisi economica capitalistica. Sarebbe sì importante fare assieme le prossime imminenti feste o avviare un processo di unificazione organizzativa. Ma non è sufficiente. E’ essenziale costruire qualche lotta comune, anche qualche sperimentazione comune di radicamento sociale, di nuove strutture organizzate (fra i lavoratori, i precari, gli studenti, gli immigrati), in cui i comunisti escono dalle loro sedi, dalle dinamiche elettorali, istituzionali o puramente ideologiche e interne, per rilanciare il loro ruolo (la loro utilità) di parte avanzata del conflitto sociale. In questo, il ruolo dei comunisti per la costruzione di un sindacalismo unitario di classe (fuori e dentro la Cgil) è fondamentale. Serve una svolta radicale, una vera e propria nuova rifondazione di un partito comunista, in cui tutte le strutture siano ripensate, rivoluzionate, ricostruite sulla base della esigenza di costruzione del conflitto e del radicamento sociale. Questa è la condizione basilare per la costruzione di un nuovo partito comunista (di fatto oltre che di nome), perno di una sinistra più ampia e unita, in grado di costruire una vera resistenza e opposizione per liberare l’Italia dal regime reazionario e padronale di Berlusconi e del berlusconismo.

Gianluigi Pegolo

Il risultato delle elezioni europee è negativo perché non consente di raggiungere il 4 %, ma soprattutto perché indica che la nostra proposta non è capace di una spinta propulsiva. In poche parole, la sola riproposizione del simbolo dei comunisti e l’alleanza PRC-PDCI non sono sufficienti. Il fatto è che una proposta comunista capace di aggregare un esteso elettorato potenziale richiede non solo riferimenti simbolici ma contenuti e pratiche adeguate. Per l’appunto quella “rifondazione” che abbiamo sempre declamato ma raramente praticato. Questa constatazione ci impone di non disperdere il patrimonio accumulato ma, al tempo stesso, di allargare il rapporto con altri soggetti, pena il rischio di una emarginazione politica e sociale. Per questo la proposta del polo anticapitalista, comunista e di sinistra radicale va bene, ma a condizione che non si ricaschi nelle scorciatoie organizzativistiche e politiciste. E che anticapitalismo e autonomia dal PD restino discriminanti fondamentali. Occorre, tuttavia, capirsi sul significato dell’autonomia dal PD. Anche in questo caso non c’è vera autonomia se non c’è chiarezza sui contenuti. Non mi ha mai convinto un approccio alle relazioni politiche tutto incentrato sulle formule, tipo accordi sì o accordi no. Così non si viene capiti. Lo stesso risultato amministrativo analogo a quello europeo ci dice che essenziale è il radicamento reale, contenuti percepiti come rilevanti e solo dopo le modalità delle alleanze. A tale proposito le scelte compiute non sempre sono state adeguate anche perché spesso le alleanze sono state concepite in termini aprioristici, sia da parte di chi sosteneva l’accordo a tutti i costi col PD che da parte di chi sosteneva la tesi opposta. Infine, occorre prendere atto che la vita interna del partito non va bene. La logica delle componenti ha superato i limiti di accettabilità finendo per compromettere il risultato complessivo del partito. Beninteso, sono convinto che un partito plurale sia una ricchezza, che sensibilità e tendenze debbano potersi esprimere, ma a condizione che ciò non pregiudichi l’attività del partito e la sua efficacia.

Armando Petrini

Il voto evidenzia un tema principale. La necessità per noi di proseguire nella costruzione di un profilo politico chiaro e credibile, in grado di parlare all’elettorato della sinistra di alternativa, i cui voti non solo non diminuiscono ma complessivamente quasi raddoppiano.
Per farlo è necessario un lavoro di lunga lena. Abbiamo di fronte infatti due problemi. Un primo per così dire oggettivo: la difficoltà, qui e ora, di presentare un progetto di radicale trasformazione della società (la difficoltà cioè di essere comunisti). Un secondo, soggettivo: il dover fare i conti con anni di smantellamento del partito (delle sue strutture organizzative e delle sue fondamenta culturali) dall’interno del partito stesso.
Per quanto difficile, questo lavoro deve partire oggi da un segnale di unità nella chiarezza politica. Unità, nel senso che dobbiamo farci promotori verso l’esterno di un progetto di progressiva aggregazione della sinistra di alternativa. Chiarezza, nel senso che questo percorso deve muovere dalla lista per le europee e dal suo progetto politico.
In questo senso la proposta del segretario nazionale di farci promotori di un progetto unitario a sinistra è del tutto condivisibile. C’è poi da fare una riflessione specifica sul risultato elettorale del nord-ovest. Il Piemonte raggiunge alle Europee un 3,3 che, per quanto sopra la media del collegio nord ovest (3%), indica una evidente difficoltà. Come ha suggerito Ferrero nella sua relazione i motivi vanno ricercati sia nella difficoltà del partito di agire davvero all’interno della crisi, sia nel tempo limitato che il partito ha avuto, dal congresso a oggi, per invertire dinamiche e percorsi precedenti. Aggiungerei due questioni: innanzi tutto lo stato di salute generale del partito, delle sue strutture e della sua militanza (basti segnalare che in Piemonte, su 8 federazioni, 4 sono tuttora senza segretario). In secondo luogo alcuni errori commessi: penso al risultato estremamente negativo della provincia di Torino (1,8%), dove la scelta di non procedere a una lista comune con il PDCI ha per un verso impedito di eleggere un consigliere provinciale e per un altro portato il PDCI a ottenere un risultato migliore del PRC (1,9%). Entrambe le cose si potevano evitare con un percorso unitario.

Rosa Rinaldi

Ho ritenuto sbagliata la ricerca del capro espiatorio all’indomani della sconfitta dell’Arcobaleno, la riterrei altrettanto sbagliata oggi; tuttavia penso che la scelta di rimettere il mandato da parte della segreteria sia un atto doveroso di assunzione di responsabilità, che dovrà tracciare una discontinuità politica e progettuale. Ho condiviso la scelta di ripartire dal simbolo di rifondazione, tuttavia anche questa scelta si è dimostrata insufficiente, hanno pesato e pesano le rotture a sinistra, e pur ritenendo la scissione un atto grave e lesivo della possibilità di un cartello unitario, ritengo che non assolva neppure noi che abbiamo subito la scissione ma non siamo stati capaci di impedirla. La nostra gente non sopporta più le divisioni, e non distingue tra chi le pratica e chi le subisce, per questo credo che a partire dal prossimo CPN, si debba segnare una discontinuità politica e progettuale e che sia necessaria la ricostruzione di un polo della sinistra a 360° che attraversi 15 anni di diaspore. Con chi? Con tutti quelli che ci stanno! La frammentazione sociale non può ridursi a mera descrizione; il mondo del lavoro è senza rappresentanza politica, CGIl e FIOM rischiano una deriva di isolamento e marginalizzazione, sta anche a noi la responsabilità della ricomposizione sociale e politica del mondo del lavoro; la crisi morde sulle condizioni di vita di milioni di persone, abbiamo l’urgenza di approntare proposte che attraversino la crisi e ne traccino soluzioni d’uscita, rimettendo a tema il sistema di produzione e la sua riconversione fondata sull’innovazione, la ricerca e le energie rinnovabili. A questo fine è necessario uscire dall’autosufficienza, da soli non ce la facciamo! Chiediamo agli economisti, agli intellettuali di aiutarci a definire un piano di uscita dalla crisi, e per la ricomposizione di una massa critica necessaria a riavviare e dare senso al conflitto politico, insomma l’alternativa di società ha bisogno di tutti, e noi siamo una parte.

Giovanni Russo Spena

Una sconfitta elettorale non è un giudizio di Dio. Ripartiamo da ciò che avevamo iniziato a costruire negli ultimi mesi. Con alcune correzioni necessarie. In primo luogo vanno mutate profondamente le modalità interne della nostra soggettività organizzata (un nuovo “patto interno” unitario trasparente, democratico). Siamo ancora troppo partito d’opinione; il partito sociale deve, invece, diventare identità quotidiana e paradigma fondativo dell’innovazione, che non può essere intesa come una opportunistica accademia occhettiana. Non è sufficiente dirsi comunisti: esiste un comunismo italiano storicamente determinato da una linea moderata ed esistono comunismi (ortodossi ed eretici) di sinistra, capaci di vivere, nella teoria e nella prassi, le contraddizioni della contemporaneità. Penso ai comitati “noi la crisi non la paghiamo”, che vanno costruiti sistematicamente territorio per territorio come riconnessione dei conflitti; penso al tema della cittadinanza transnazionale e postnazionale. In questo senso dobbiamo più che mai rilanciare il ruolo della Sinistra europea ed essere interni al lavoro del futuro gruppo parlamentare europeo sui temi del salario, dei piani per il lavoro, per reddito di cittadinanza, dello statuto dei diritti del lavoro in una dimensione europea. Le assemblee immediate delle sinistre anticapitaliste, nazionale e locali, inizieranno un percorso che dovrà far emergere anche forme organizzative in grado di rapportarsi alle diversità in un contesto unitario. Al loro interno vivranno le accelerazioni necessarie del confronto sempre più serrato tra tutte le forze che si autodefiniscono comuniste. Le formule potranno essere diverse, ma non vi è dubbio che si dovrà trattare di sistemi a rete, di processi costituenti. L’importante è che partano subito senza che prevalga di nuovo la lenta scansione burocratica quotidiana delle pratiche di troppi gruppi dirigenti. Serve uno scatto forte nell’iniziativa; che è base per una capacità di ascolto delle narrazioni sociali e di rielaborazione di punti di vista e di concezioni anti capitaliste.

Franco Russo

In Europa, nell’astensionismo dilagante, c’è stata una vittoria del PPE e un crollo del PSE. La destra, di governo e di opposizione, ha vinto; le forze xenofobe e razziste hanno successo. Nella crisi capitalistica ci si rifugia sotto le ali dei governi conservatori nella speranza di ricevere assistenza e di garantirsi una sicurezza fatta di law and order, che si riversa contro le fasce deboli e i/le migranti. La socialdemocrazia viene penalizzata per aver gestito i fasti della globalizzazione, e le sue proposte socialliberali si rivelano impotenti. Si affermerà sempre di più l’Europa dei governi, che comprimeranno l’idea di un europeismo di sinistra. Il GUE arretra, mentre i verdi crescono. Dalla crisi si esce con un progetto di un’Europa socialmente equa e ambientalmente sostenibile, con proposte rosso-verdi, dove siano i cittadini a decidere, non i governi e le imprese tramite la governance di Bruxelles.
La relazione di Ferrero è un esempio di rimozione: fatica persino a usare la parola sconfitta. Mentre di sconfitta si tratta, tanto più grave perché non si è capaci di delineare una strategia di uscita, essendoci rinchiusi nel perimetro di partitini identitari, guidati da un ceto politico di lungo corso. Occorre aprirsi, con un’organizzazione a rete, alle forze animatrici del conflitto sociale, che non sono più nei partiti della sinistra, ridotti a piccole macchine elettorali. Non riceviamo nulla dalla CGIL, un cui autorevole rappresentante dirige il nostro giornale, avendo le sue componenti più impegnate scelto di sostenere Sinistra e libertà; non abbiamo relazioni con il sindacalismo di base, a cui non offriamo una comune prospettiva politica. Comitati, associazioni, movimenti non si riconoscono nei comunisti di Rifondazione, ma cercano nuove vie di rappresentanza.
Presenterò, spero con altri/e, un documento alternativo per rompere la consociazione di correnti che gestiscono RC, per cambiare rotta.

Bruno Steri

L’esito di queste elezioni non è soddisfacente, per l’ovvia constatazione che esso non corrisponde all’obiettivo che ci eravamo posti. Ma è bene fare una precisazione: sarebbe ingeneroso nonché del tutto infondato accostare questo risultato alla storica sconfitta rimediata dalla Sinistra Arcobaleno.
Tutto il nostro partito si è dannato l’anima in questi pochi mesi per rivitalizzare un organismo tramortito da anni di sistematico smantellamento. Il voto dell’Arcobaleno ha coronato un processo involutivo in cui è stato sciaguratamente messo in liquidazione il patrimonio politico e ideale di Rifondazione Comunista. Siamo tornati per le strade a fare politica, nonostante una vergognosa censura che ha mirato ad oscurare in particolare la nostra presenza e nonostante gli attentati istituzionali appositamente organizzati per farci fuori. Stante una tale base di partenza, possiamo dire che il nostro risultato elettorale senz’altro non è positivo, ma neanche così drammatico. Queste elezioni confermano purtroppo che la tendenza generale, in Europa, è di segno regressivo. Il dato elettorale premia uniformemente le formazioni di centro-destra, che siano o no al governo, configurando un’adesione a valori e proposte che sostengono un’uscita a destra dalla crisi. Il tracollo altrettanto omogeneo dei partiti socialisti non è altro che il rovescio di questa stessa medaglia. Non è così per le liste presentatesi alla loro sinistra, che in più di un Paese fanno registrare dei buoni risultati. Quanto a noi, ritengo che - nella percezione diffusa di larga parte del nostro potenziale elettorato - siamo ancora figli di una parabola discendente, con il corredo di colpi e contraccolpi che ha caratterizzato gli ultimi mesi della nostra tormentata esistenza politica. Siamo ancora l’effetto disastrato del recente passato e non ancora una presenza salda e rinnovata per il futuro. Dobbiamo ora rilanciare l’iniziativa politica del partito e rinvigorire il processo di costruzione dell’unità delle forze comuniste e anticapitaliste e, più in generale, della sinistra di alternativa: un processo che, oggi come ieri, assumiamo come compito prioritario, per contrastare la deriva di destra del nostro Paese.

Valentina Steri

Il voto europeo consegna alla nostra lista, nonostante la generosa campagna elettorale che tutte e tutti noi abbiamo condotto con passione e con rinato entusiasmo, un risultato senza dubbio negativo. Per di più alla luce della significativa perdita di consensi del partito democratico. Dal punto di vista simbolico non aver raggiunto il traguardo, quella soglia del 4% che la logica bipolare e bipartisan ha imposto per cancellare la nostra rappresentanza anche dal Parlamento europeo, viene vissuto e percepito dal corpo militante come un ulteriore colpo e genera, indubbiamente, scoramento e demotivazione. Io credo, tuttavia, che il nostro 3,4%, questo milione di voti che in parte recuperiamo dall’astensione, costituisca, nelle condizioni in cui in questo anno abbiamo lavorato, una base di ripartenza. Dopo il disastro dell’Arcobaleno, un congresso lacerante, una scissione che scientemente si è prodotta alla vigilia della campagna elettorale, l’oscuramento vergognoso di tutti i mezzi di comunicazione nei confronti della lista comunista e anticapitalista, il rischio reale era di essere spazzati via definitivamente. Così non è stato e se leggiamo il voto disarticolandolo, vedremo anche dei risultati interessanti al centro, al sud, in Sardegna. Il problema vero è che Rifondazione Comunista non è più percepita come un’alternativa credibile per le classi subalterne. Non è radicata nei territori, non sviluppa conflitto sociale, non è più percepita come riferimento politico e sociale delle classi lavoratrici di questo paese. In una parola è necessario che Rifondazione Comunista, dopo anni di lento smantellamento dell’organizzazione, che ne ha fatto il partito leggero e mediatico di stampo bertinottiano, riconquisti il suo originario insediamento sociale, torni ad essere un partito pesante. A questo è necessario lavorare da subito e, come proposto dal segretario nella sua relazione introduttiva, con tutte quelle forze della sinistra di alternativa che insieme a noi vorranno intraprendere questo faticoso ma indispensabile percorso di ricostruzione e di opposizione al governo delle destre, a partire naturalmente da quelle che con noi hanno animato la lista anticapitalista e comunista.

Raffaele Tecce

Abbiamo perso in Italia, come lista comunista, dentro uno spostamento a destra in tutta Europa e nel contesto di un ridimensionamento parlamentare del GUE. Ogni tentativo di minimizzare la sconfitta sarebbe sbagliato; ho considerato positiva la scelta del simbolo e della lista unitaria come terapia di “riduzione del danno” rispetto alla grave scelta della scissione, che ha reso impossibile una lista unitaria di cartello della sinistra e allo sbarramento voluto dal PD. Tuttavia il risultato evidenzia che il simbolo comunista e l’accordo col PDCI da soli non bastano. È perciò necessario andare avanti sui temi posti dall’appello di Ingrao: serve una sinistra più ampia che partendo da noi abbia chiare discriminanti: autonomia strategica dal PD, antiliberismo e anticapitalismo. Serve che dal CPN sia decisa un’immediata iniziativa unitaria che costruisca una federazione della sinistra dialogando a 360 gradi con associazioni, forze politiche ed intellettuali compresi quei soggetti di sinistra e libertà che accettano queste discriminanti. L’unità delle forze della lista comunista anticapitalista, che è un valore, non va portata avanti, perciò in maniera separata ed anticipata rispetto alla contestuale costruzione del processo federativo della sinistra.
Il nostro voto negli enti locali è preoccupante: a) perché il nostro ridimensionamento avviene nel quadro di una sconfitta del centro-sinistra b) perché evidenzia nei risultati più positivi un radicamento a macchia di leopardo del partito. C) perché non sempre le nostre priorità programmatiche sono state la base fondamentale su cui abbiamo deciso le alleanze. È utile proporre al CPN un documento dove rispetto ai ballottaggi previsti in molte province e comuni si diano una indicazione chiara ed unilaterale di voto contro la destra, prevedendo gli apparentamenti solo dove i nostri organismi dirigenti territoriali constatino un avanzamento politico e programmatico rispetto ai temi che ci avevano impedito l’alleanza al primo turno.

Sandro Valentini

Dobbiamo dire che il risultato per le europee per la sinistra alternativa e di trasformazione è negativo, in Italia e in Europa. Abbiamo subito una dura sconfitta. Siamo in presenza di una svolta a destra del continente. Il risultato è caratterizzato: dal crollo e comunque da un esito non soddisfacente, fatte poche eccezioni, dai partiti socialdemocratici; dall’avanzata delle destre e della estrema destra, sia dove sono al governo, sia dove sono all’opposizione; da un voto alle forze comuniste, alternative e di trasformazione non positivo e anche nei casi dove vi è un miglioramento delle posizioni, solo una parte esigua dell’elettorato popolare viene conquistato dalla sinistra di alternativa Il nuovo Parlamento riflette questo risultato:i il Gue, che era gia debole, perde un quinto della sua rappresentanza. Questa svolta a destra porrà, inoltre non pochi problemi al tentativo “riformista” di Obama: Quali saranno i suoi interlocutori in Europa per governare la crisi? Anche il dato italiano non fa eccezione. Il PdL e la Lega si confermano forza di governo e di maggioranza relativa. Il PdL è primo partito in 17 Regioni (anche in Umbria, Marche, Lazio, Campania) e conquista la stragrande maggioranza delle Province. Il Pd perde 7 punti rispetto alle politiche e numerosi enti locali. Si consolida il sistema bipolare (non il bipartitismo grazie il successo di IV, dei centristi e della Lega). La sinistra, non raggiungendo il quorum, subisce divisa una ulteriore disfatta. Inconsistente è infine il nostro voto nelle Regioni del nord, punto alto dello sviluppo capitalistico, dove arretriamo anche rispetto alla lista arcobaleno. D’accordo con la proposta di Ferrero: rilanciare un progetto di unità a sinistra su basi federative e ripensare una politica delle alleanze e di attenzione al PD partendo dai contenuti. Ma per fare questo occorre superare Chianciano, dove tutti hanno fatto gravi errori, occorre un nuovo gruppo dirigente e non un semplice allargamento della Segreteria.

Marco Veruggio

Dopo aver perso elezioni che per i nostri erano una prova d’appello Ferrero a un problema politico dà una risposta burocratica. Dimissioni finte e poi la fiducia al CPN per fare una nuova maggioranza. Dunque il problema non è rispondere a una crisi che disorienta la nostra gente, ma aumentare i propri numeri negli organismi. Nessun bilancio politico di quanto abbiamo fatto in un anno né del rapporto con le altre forze della lista comunista in campagna elettorale. Dunque la responsabilità non è nostra, ma di Vendola. E poco importa che i voti nostri e suoi non siano sommabili né elettoralmente (sennò l’arcobaleno avrebbe avuto l’11%) né politicamente (abbiamo detto che loro guardano al PD e noi no: o era uno scherzo?). Il successo di IDV e Lega evidenzia i nostri deficit. Partiti di un ceto medio colpito dalla crisi, compattato nel nome della legalità o della Padania, con un’identità e parole d’ordine chiare, avanzano e riescono a radicarsi anche in fabbrica. Nel vuoto di rappresentanza lasciato da una sinistra che dice di rappresentare tutti – lavoratori, “ultimi”, ecologisti, giovani alternativi, società civile – ma si rivela un (inefficiente) ufficio di collocamento per aspiranti parlamentari e assessori, che chiedono di nazionalizzare le banche e intanto sostengono giunte che chiudono gli ospedali. Qui e non altrove nasce la nostra crisi, di cui la frammentazione è un effetto, non la causa. Infine, il polo della sinistra d’alternativa, con l’unità dei comunisti dentro, è l’adattamento della linea di Chianciano alla nuova maggioranza Ferrero-Rocchi-Grassi. Una minestra riscaldata e diluita, che di fatto chiude la stagione della svolta a sinistra e segna il destino del PRC. Insomma la ricreazione è finita. E alla crisi della sinistra e alla disoccupazione che avanza il PRC risponde col reimpasto di segreteria.

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