Direzione
del 3 dicembre 2007 – Sintesi della relazione di Franco Giordano
Quel che si chiede
a questa direzione è di fare una riflessione sulla fase politica
attuale e di decidere sulle scelte conseguenti alle valutazioni in merito
alla fase stessa.
Vorrei quindi tornare a discutere del passaggio difficile contrassegnato
dal voto sul protocollo. Nella mia dichiarazione di voto in aula, successiva
alla riunione con il gruppo parlamentare, ho esplicitato un giudizio
critico sul protocollo, sia nella sua parte dedicata alla previdenza,
sia su quella dedicata alla precarietà. Noi ci siamo impegnati
con spirito unitario a modificare il protocollo, non discostandoci dal
suo impianto complessivo, tenendo conto ed interpretando l'esito referendum.
Abbiamo fatto passi in avanti in Commissione e, pur rimanendo critici
sull'impianto del protocollo, siamo intervenuti proprio sulle questioni
della previdenza e della precarietà.
Sul fronte della previdenza, abbiamo eliminato il requisito minimo delle
80 notti annue di lavoro che restringeva enormemente la categoria degli
"usuranti", limitandola ai cosiddetti "pipistrelli",
quindi inesigibile per gran parte dei restanti lavoratori impiegati
in turni di notte.
Sul fronte della precarietà, invece, era stata ridotta la proroga
ponendo un limite massimo di 36 mesi complessivi: 36 mesi riferiti alla
sommatoria non solo fra i vari contratti a termine, ma anche con quelli
interinali, ponendo un limite temporale concreto all'utilizzo del lavoro
precario.
Il governo venendo meno su questo terreno ha segnato una rottura netta,
ignorando il lavoro della commissione che era stato approvato con un
voto unitario della coalizione. Questa rottura va presa sul serio, poiché
mette a rischio l'intero assetto della democrazia parlamentare e muta
il quadro della dialettica fra partiti e della concertazione. Essa investe
sia la democrazia sia la discussione interna al movimento sindacale
e allude al tema istituzionale col rischio di degenerazione verso una
democrazia neocorporativa ed autoritaria, mentre sul livello politico
prelude ad un modello secondo cui tutta la dialettica si esaurirebbe
nel contenitore del PD e le forme di rappresentanza sociale verrebbero
garantite da una dimensione neocorporativa del sindacato, come se fosse
impossibile rappresentare politicamente il mondo del lavoro dipendente.
Non si può costituire una soggettività politica unitaria
a sinistra se essa non rappresenta socialmente il mondo del lavoro dipendente.
Nel nostro giudizio fortemente critico sul governo abbiamo rilevato
lo scioglimento di un vincolo politico, spiegando il voto favorevole
esclusivamente perché legati da un vincolo sociale. L'ipoteca
di Confindustria è stata fortissima, per questo ho parlato di
perdita di libertà da parte del governo che inizia ad essere
sistematicamente influenzato particolarmente sui temi del lavoro, oltre
che i già noti casi come quello del cuneo fiscale, di IRAP ed
IRES o della precarietà.
Non mi convince il tema della spesa sollevato da Dini nel suo voto al
Senato, perché in merito alla precarietà è un problema
che non si pone, essendo essa a costo zero.
Ripeto che si è trattato di un condizionamento principalmente
di Confindustria, più che del ceto politico.
Questo problema impedisce di determinare una modalità di intervento
sugli assetti produttivi, che rischiano di essere condizionati fortemente
da quelle forze che puntano alla contrazione del costo del lavoro ed
alla competitività di prezzo. Il rischio per noi è quello
di essere marginalizzati nella richiesta di mutamento del paradigma
produttivo, nell'investimento sulla qualità dei prodotti, sul
lavoro qualificato, sulla ricerca, sulla tutela ambientale..
Difendo, quindi, il nostro voto favorevole perché rispondiamo
ad un vincolo sociale molto netto. Guai a noi se avessimo favorito il
ritorno alla riforma Maroni che si sarebbe abbattuta come una mannaia
sui lavoratori a partire dal 1° gennaio 2008.
Abbiamo chiesto la verifica a gennaio, e non a dicembre, per una ragione
molto semplice: la verifica immediata avrebbe sviluppato una discussione
tutta incentrata su welfare e pensioni, quindi non serena, ma chiusa
in una dinamica condizionata.
Una verifica, nel senso classico del termine, si può fare solo
a gennaio, magari su richiesta di tutta la sinistra ed in un momento
sereno, quando si avrà la discussione sulla legge elettorale
che pur se da concordare in parlamento, comunque si intreccerà
inevitabilmente con la nostra valutazione sul governo.
Qual è l'oggetto della verifica?
Io penso debba esserlo l'autonomia del governo, la ridiscussione del
programma di cui non v'è più traccia, e la ricostruzione
di un legame interno alla coalizione ripartendo da alcuni punti fondamentali
come: la precarietà; i salari, già affrontati in parte
in finanziaria con l'introduzione di un possibile fondo per la detassazione
degli aumenti contrattuali nazionali; i diritti civili, accantonati
a causa dai veti di una parte della coalizione; il rapporto pace-guerra;
la formazione e la ricerca scientifica; il mutamento di paradigma in
chiave ambientale.
Propongo di andare alla verifica con un mandato preciso e vincolante,
come PRC ma da proporre a tutta la sinistra, che provenga dagli iscritti
al partito.
Sono stato dal presidente Napolitano a cui ho ribadito la nostra necessità
di ricorrere ad una verifica che possa ricontrrattare il programma con
il resto della coalizione.
Questo mandato vincolante dovrà nascere da un referendum interno
al partito in cui sia posto il tema della verifica su punti precisi.
In questa via, noi potremo ricollocare il dibattito congressuale sul
terreno più proprio, ovvero la definizione delle modalità
con cui accelerare la formazione del nuovo soggetto unitario e plurale
a sinistra.
Abbiamo pensato anche di rinviare il congresso per l'accavallarsi di
una serie di eventi delicati, in primis la verifica, ma data l'opposizione
di alcuni compagni, stiamo valutando tale opportunità.
Dobbiamo organizzare una mobilitazione democratica del partito che non
si esaurisca con la consultazione referendaria, ma che si sviluppi attorno
ad un ampio dibattito in tutti i territori e di cui siano protagonisti
tutti gli iscritti.
Sulla legge elettorale siamo fra coloro che con forza hanno chiesto
il rilancio del dibattito, proprio per evitare il referendum, per noi
letale, poiché determinerebbe una ulteriore frammentazione delle
forze politiche e lo stallo della dialettica politica.
Penso sia positivo che alcune forze ora convergano verso il ritorno
al proporzionale, dopo anni di elogi del maggioritario, anche se dobbiamo
stare attenti al fatto che le forze politiche maggiori non si cuciano
addosso sistemi elettorali a proprio uso e consumo, e che il criterio
della territorialità non privilegi forze politiche concentrate
territorialmente, penalizzandone altre diffuse e radicate su tutto il
territorio nazionale. Il modello tedesco permetterebbe libertà
di scelta nella formazione delle coalizioni di governo senza alcun vincolo
preventivo.
L'operazione di Berlusconi si è rivelata efficacissima, propone
un processo di massa populista che non va sottovalutato poiché
può avere un certo appeal fra l'elettorato moderato.
Il PD sembra spiazzato da questa operazione, si sente messo da parte
proprio da chi ha sostenuto sempre quei valori e quel modello di società
che lo stesso PD ora prospetta, una società basata sul modello
americano in cui la partecipazione è ridotta al minimo e dove
i movimenti non incidono mai sulle scelte della politica.
Oggi va lanciata una vera sfida egemonica sul terreno politico-culturale
e sull'idea di società: in questa prospettiva si inquadra il
soggetto unitario e plurale nel quale si ritroveranno associazioni,
movimenti, singoli per ricostruire una cultura nuova e rilanciare una
partecipazione diffusa nelle battaglie sui temi del pacifismo, dell'antiliberismo,
dell'ecologismo, della critica della differenza.
Le iniziative unitarie fino ad ora hanno avuto un'enorme partecipazione:
c'è una grande attesa ed è in atto un fenomeno moltiplicatore:
nei territori il dibattito è vivo e c'è grande fermento
in vista degli stati generali dell'8 e 9 dicembre.
Il nuovo soggetto deve essere ampio e partecipato affidato ad un processo
democratico ampio dove i partiti sono solo alcune fra le forze protagoniste..
Ci sono resistenze che vanno battute, da subito, a partire dall'8 e
9 dicembre, individuando le giuste modalità che possano consentire
la più ampia partecipazione.
L'8 sarà una giornata dedicata ai workshop, con diversi dibattiti
per la definizione di una piattaforma politica del soggetto unitario
ed una carta di valori che dovrà essere discussa sui territori
e votata da tutti. Dovrà nascere un segno grafico comune che
permetta di presentarci unitariamente, a partire dalla prossima tornata
elettorale di primavera.
Il nostro simbolo non è in discussione, ma se ci si presenterà
unitariamente è necessario un simbolo grafico comune e nuovo
che tenga dentro la pluralità di culture che rappresenta e le
diverse identità che caratterizzeranno il nuovo soggetto unitario
e plurale.