Direzione
ed esecutivo del 4 Giugno – Relazione Bilancio 2006
Care
compagne e cari compagni,
prima di tutto permettetemi di ringraziarvi per la fiducia che avete
riposto nell’assegnarmi un incarico tanto delicato e che sicuramente
esige una maggiore esperienza e conoscenza non solo delle questioni
economiche, ma soprattutto del nostro partito.
Sappiate che ho assunto questo incarico ben conscio delle difficoltà
soggettive, che qualche volta mi hanno portato a compiere un passo falso,
ma che a maggior ragione mi hanno spinto a richiedere il conforto nelle
mie decisioni alle compagne e ai compagni della segreteria e al Segretario
dai quali ho ricevuto sempre la massima disponibilità. Così
come ringrazio tutte le compagne e tutti i compagni che lavorano al
Partito per avermi messo immediatamente a mio agio in questo ruolo,
specialmente chi lavorando all’amministrazione ha avuto la pazienza
di assecondare la mia poca esperienza.
I segni prevalenti
del bilancio che sottopongo alla vostra approvazione sono essenzialmente
due, da una parte le maggiori entrate dovute ai versamenti delle nostre
compagne e dei nostri compagni parlamentari – ricordo anche i
versamenti dei consiglieri regionali pure sostanziosi che sono versati
ai comitati regionali -, e il maggiore afflusso di risorse ai territori
destinati alla loro autonomia decisionale. Nel 2006 i territori hanno
ricevuto oltre 1.300.000 euro in più rispetto al 2005 (compresi
anche i contributi erogati per le campagne elettorali). Queste somme
si raggiungono grazie alla decisione, assunta congiuntamente ai segretari
oltre che i tesorieri regionali - in una riunione dello scorso luglio
- di destinare almeno il 35% dei versamenti delle e dei parlamentari
ai comitati regionali e di queste somme almeno il 70% alle federazioni.
In verità quella percentuale è oggi più alta, dato
che la Direzione nazionale si è fatta completamente carico del
mancato introito dei versamenti conseguenti all’allontanamento
del sen. Turigliatto. Tendenza che trova conferma per il 2007 con un’ulteriore
iniezione di risorse pari a un milione di euro a fronte di una previsione
di maggiori entrate di circa 1.700.000 euro, insomma il 60% delle maggiori
entrate è destinato a contributi al territorio.
Una scelta che risponde all’interesse collettivo di una gestione
non centralizzata delle risorse, ma che tende a rafforzare lo strumento
partito proprio nel vivo delle sue articolazioni periferiche, quelle
che svolgono quotidianamente e con enorme generosità un lavoro
intenso di relazione sociale oltre che naturalmente politica, che però
– mi permetto di dire in un breve inciso – è sempre
possibile organizzare meglio.
Maggiori risorse sono anche destinate a specifici progetti presentati
dai comitati regionali di concerto coi tesorieri federali. La scelta
di collegare una parte dei contributi a progetti – e le Feste
nazionali di Liberazione ne sono l’esempio più grande –
è stata discussa e condivisa con i tesorieri regionali –
coi quali ci siamo riuniti già diverse volte e continueremo a
farlo - e nelle diverse riunioni regionali coi tesorieri federali. I
progetti ci consentono da una parte di verificare a breve termine l’efficacia
dei nostri investimenti, ma soprattutto di intervenire con un metodo
di compartecipazione economica e di condivisione delle scelte politiche.
Altre risorse sono destinate all’acquisto di sedi. Ovviamente
ogni proposta è studiata di concerto con i regionali e le federazioni.
Acquistare sedi, aumentare gli strumenti per la costruzione della nostra
presenza sul territorio non significa per nulla comportarsi come un’immobiliare,
ma al contrario provvedere affinché le nostre aspirazioni e le
nostre relazioni abbiano un luogo dove incontrarsi e crescere. Si tratta
di un lavoro delicato e lungo, ma indispensabile. I nostri circoli con
le loro sedi devono diventare i luoghi in cui iniziare a praticare il
nostro dibattito politico, in cui costruire i germi di una nuova e più
grande e radicata, soggettività della sinistra. Immediatamente
le nostre sedi devono essere messe a disposizione per riunioni e incontri
delle realtà che con noi costruiscono la Sinistra europea. Quante
volte invece i circoli rimangono luoghi chiusi anche fisicamente, quante
volte sono luoghi escludenti? E’ necessario invece ripartire da
qui e considerare il nostro patrimonio, il patrimonio della Rifondazione
comunista inteso anche fisicamente, come un patrimonio di tutta la sinistra
che lavora giorno per giorno, in ogni comune, in ogni frazione, ad un
altro modello di società.
Manca un lavoro
di autofinanziamento, non solo questo è episodico, ma spesso
del tutto assente. Per questo è necessario produrre un’iniziativa
affinché l’autofinanziamento diventi attività costante
dei nostri circoli. E’ necessario produrre un’apposita campagna
anche di media durata, ma che possa portare - attraverso piccole somme
in grandi quantità - ingenti risorse al nostro partito, risorse
che devono essere reinvestite a livello territoriale. Ma voglio però
qui soffermarmi sul tesseramento come fonte di autofinanziamento. La
cifra leggermente più bassa del 2006 rispetto al 2005 (a fronte
di un aumento del tesseramento), è dovuta ad una maggiore cura
dei comitati regionali nella comunicazione dei dati, cosa che ha consentito
agli stessi di pagare soltanto le tessere effettivamente compilate.
Quindi il nostro bilancio riporta questa somma, e non gli introiti ulteriori
delle quote tessere che invece troveremo nei bilanci di circoli e federazioni.
Dare più valore alla tessera significa dedicare all’attività
di tesseramento cura e minore saltuarietà: quindi ripensare regione
per regione a giornate dedicate a riscrivere le compagne e i compagni,
per poi destinare il resto dell’anno alle nuove adesioni. Ma significa
anche tentare di aumentare l’ammontare delle quote tessere, che
sono con le feste (chi le fa) la più sostanziale fonte economica
dei circoli. Purtroppo si registrano quote tessere eccessivamente basse.
E’ possibile continuare a sopportare quote annuali, e sottolineo
annuali, di cinque o dieci euro? Ho iniziato a discuterne con i tesorieri
regionali, non senza qualche difficoltà, ma non è possibile
sollevare sempre le eccezioni: definita una regola quella compagna o
quel compagno che non può neanche mettere da parte due, tre euro
al mese per il Partito verserà quanto potrà, ma non è
possibile che dietro le eccezioni si costruisca la regola!
Per quanto riguarda
altri costi, oltre quelli per la gestione caratteristica, c’è
da sottolineare una maggiore produzione delle nostre iniziative e insieme
una più intensa attività di comunicazione. La comunicazione
assorbe molte delle nostre spese, abbiamo migliorato il sito internet
del partito, ma siamo ancora ad un passo dalle nostre reali possibilità
e necessità. Comunicare il nostro messaggio e farlo nel migliore
dei modi non produce un immediato risultato in termini politici, semmai
ci serve a costruire nuove e più forti relazioni, a fare interagire
intelligenze che ruotano attorno a noi. Ci serve anche per far conoscere
il nostro messaggio in modo diretto. Inoltre proprio potenziando i nostri
strumenti di comunicazione è possibile, sul modello di altre
esperienze, praticare il binomio raccolta fondi-comunicazione politica.
L’assorbimento maggiore di risorse destinate alla comunicazione
rimane, come è noto, la partecipazione alla Mrc Spa. Di concerto
con il nuovo CdA abbiamo studiato la possibilità – nel
prossimo futuro - di un contenimento dei costi ed un aumento dei ricavi,
nel segno del risanamento iniziato già nel 2006. Ciò senza
mettere da parte, anzi implementando le attività di Liberazione,
come quella del supplemento sugli anni ’70 che ha riportato un
notevole successo sia in termini editoriali che di ulteriori entrate
pubblicitarie. I minori costi per il Partito renderà disponibili
maggiori risorse magari proprio destinate alla maggiore relazione delle
strutture territoriali col nostro giornale soprattutto con l’implementazione
delle pagine locali di Liberazione.
A margine di questa
relazione vorrei aggiungere qualche considerazione sul dibattito sui
costi della politica. Lo faccio qui in modo molto schematico, ma credo
che sia importante che il nostro partito assuma su questo terreno una
propria iniziativa, non tanto perché credo che questo tema porti
chissà quale consenso ad una forza come la nostra, quanto piuttosto
per evitare di subire decisioni e scelte prese nell’onda dell’antipolitica.
Decisioni che colpirebbero ovviamente solo quelle forze politiche, come
la nostra, che non hanno mai fatto della politica un “affare”,
insomma quando le acque dello Tsunami si ritirano chi sa strisciare
nella melma non avrà alcuna difficoltà a continuare a
coltivare i propri interessi privati.
L’entità dei contributi delle nostre e dei nostri parlamentari,
che voglio qui ringraziare, è unico, e produce indubbiamente
un effetto di moralizzazione, ma questo è effetto di una nostra
regola interna. Infatti nonostante tutti i parlamentari ricevano un
corposo rimborso per i collaboratori (che ammonta a circa un terzo dello
“stipendio” parlamentare) assistiamo alla vergognosa pratica
di utilizzare lavoro nero (mentre tutti i nostri dipendenti sono regola),
perché allora non far dipendere l’erogazione del rimborso
dalla presentazione di validi contratti di lavoro?
Si parla di ridurre il numero dei consiglieri provinciali, comunali,
circoscrizionali e chi più ne ha più ne metta, ma invece
perché non si fa una verifica di quanto è "costata"
la riforma del titolo V della Costituzione? Perché non produciamo
una forte iniziativa sul tema dell'organizzazione sociale? E’
possibile ridiscutere radicalmente le forme degli enti intermedi, a
partire dalle province? Non lo abbiamo iniziato a fare parlando di “nuovo
municipio”? Sicuramente più complesso, ma se c'é
volontà politica non impossibile. Insomma il punto non è
cosa fare (ridurre i costi), ma come farlo.
Molti dei costi di cui si parla sono però attribuiti alla politica,
perché è la politica ad averli gonfiati in modo abnorme.
E’ il caso dei compensi dei nominati nei Cda di enti e società
pubbliche, di migliaia di consulenti spesso inutili o che hanno magari
incarichi plurimi, o addirittura di parlamentari nominati in enti o
a loro volta consulenti. Oppure il caso dei magistrati distaccati presso
i ministeri che molte volte conservano lo stipendio di origine cui si
aggiunge un'indennità di servizio, pari o superiore. Fino ai
grotteschi casi di sindaci o presidenti di regione nominati commissari
di fronte ad un’emergenza, di cui sono spesso – ironia -
i responsabili stessi. Ma si sa, insieme al commissariamento si decreta
sempre il relativo – sostanzioso - finanziamento. Per non parlare
dell’utilizzo sconsiderato d’autoblu o d’ aereiblu.
E ancora, i costi propri del funzionamento caratteristico degli organismi
costituzionali ed amministrativi si gonfiano a dismisura, diventano
sprechi. E quanto costa un chilometro d’autostrada in Sicilia
piuttosto che in Lombardia? Quanto costa costruire ed attrezzare un
ospedale o una scuola? Convenzionare cliniche private? O infine, quanto
incide la preferenza unica sulle spese di una campagna elettorale, fino
a prefigurarne un vero e proprio investimento di cui raccogliere i frutti
anche economici?
Sono questi costi relativi alla politica? Credo di no. E’ però
in queste occasioni che troppe volte la politica s’intreccia col
malaffare, colpendo direttamente i servizi ai cittadini.
Ma è il potere politico che spesso fa vincere un appalto o assegna
una convenzione a società di amici e parenti. Non sono anche
questi costi, questi sprechi, e i relativi disservizi (il tempo necessario
a costruire un km d’autostrada varia in Italia secondo la latitudine,
così come quello necessario a fare delle analisi in un ospedale
pubblico) che contribuiscono a far serpeggiare nei cittadini un senso
di sfiducia nella politica, intesa anche come azione utile a migliorare
le condizioni di vita? Di questo ci si dovrebbe occupare per affrontare
il problema.
Ovvio c’è anche il problema di alcuni privilegi, forse
il più grande è quello del vitalizio dei parlamentari,
e in questo caso il nostro partito ha avanzato più volte la necessità
di rivedere il sistema, anche nel quadro di una buona riforma delle
pensioni.
Ma pensare che la democrazia non abbia costi, e che questi costi non
debbano essere sostenuti dalla collettività è insano.
Significa porre le premesse ad una politica di censo, in cui l’accesso
alle decisioni non solo si restringe, ma si riduce ulteriormente a vantaggio
di forze politiche che possono contare sul consenso di chi – magari
eludendo leggi ed evadendo le tasse – accumula potere politico
sul denaro.
Pensare quindi ad una regolamentazione dell’art. 49 della Costituzione
è un tema che, oggi a differenza del passato, può essere
affrontato per evitare la proliferazione di partiti fai da te utili
solo a raccogliere quote di contributi elettorali, contribuendo ulteriormente
ad aumentare clientele e ricchezze personali.