Riunione Direzione 
          del 17 luglio 2006
         Documento 
          finale proposto dalla Segreteria Nazionale
        La dottrina della guerra 
          permanente è lo strumento con il quale l’Amministrazione 
          degli USA intende garantire il dominio unipolare del mondo. Al contrario 
          dei suoi annunci, essa non è lo strumento per imporre con la 
          forza una soluzione dei conflitti e garantire la stabilità. La 
          guerra basa la propria possibilità di imporsi proprio sul moltiplicare 
          i conflitti ed alimentare l’instabilità del mondo.
          L'ulteriore acuirsi del conflitto in Medio Oriente e la drammatica situazione 
          del popolo palestinese, a Gaza e nei Territori Occupati, sono la evidente 
          dimostrazione di questa situazione che porta alla esasperazione dei 
          conflitti invece che alla loro soluzione.
          L’invasione del Libano deve essere fermata. A questo scopo, il 
          governo italiano, che ha già positivamente espresso un orientamento 
          in questo senso, deve diventare protagonista in sede internazionale 
          della ripresa del processo di pace tra l’ANP e Israele, secondo 
          il principio di “due Stati per due popoli”.
          La politica dei fatti compiuti, che si autogiustificano a posteriori, 
          può infiammare tutto il Medio Oriente e portare ad un nuovo scenario 
          di guerra aperta. Chiediamo che l’Italia, anche in vista della 
          sua presenza nel Consiglio di Sicurezza dal gennaio 2007, chieda che 
          l’ONU intervenga direttamente nei territori occupati per la protezione 
          delle popolazioni civili.
          La guerra preventiva ha fallito tutti gli obiettivi che dice di perseguire. 
          Il terrorismo non è stato sconfitto, anzi ha aumentato la propria 
          capacità di penetrazione in molte aree del mondo e non solo in 
          quelle dei conflitti conclamati, come in Iraq ed Afghanistan.
          Il terrorismo non è una risposta sbagliata alle contraddizioni 
          drammatiche tra il nord e il sud del mondo. Esso sfrutta queste contraddizioni 
          per espandere la propria influenza e per piegarle al proprio fine politico 
          e al proprio modello di società che sono altrettanto repellenti 
          come la guerra.
          Guerra e terrorismo nel mentre si combattono, si alimentano a vicenda 
          in una spirale perversa che semina morte e distruzione e annichilisce 
          la politica come capacità di protagonismo dei popoli e di sviluppo 
          della democrazia.
          Il loro esito è quello della precipitazione dentro il baratro 
          del conflitto di civiltà.
        Contro questo drammatico 
          arretramento politico e culturale, si è frapposto il movimento 
          per la pace che, innescatosi dentro l’onda lunga del movimento 
          contro la globalizzazione neoliberista, rappresenta la vera alternativa 
          al fondamentalismo e alla guerra di civiltà.
          Questo movimento ha informato a sé una nuova stagione ed è 
          riuscito ad essere egemone nelle popolazioni mondiali fino ad incidere 
          nelle scelte concrete fatte da alcuni governi, in particolare in Europa.
          In Italia, questo movimento è stato particolarmente forte dal 
          punto di vista della partecipazione popolare e del campo delle forze 
          politiche, sociali e culturali coinvolte ma le scelte che il governo 
          delle destre ha compiuto non sono state modificate, in quanto del tutto 
          sordo alle istanze provenienti dalla società e subalterno agli 
          interessi degli USA.
          Oggi, con l’avvio dell’esperienza dell’Unione, questo 
          movimento può segnare i primi importantissimi successi.
          Il nostro compito consiste nel connettere questi risultati con un ulteriore 
          sviluppo del movimento che ne salvaguardi l’autonomia e l’indipendenza.
        Noi non chiediamo che il 
          nostro Paese si rifiuti di partecipare a missioni internazionali di 
          pace e che non debba dare il proprio contributo per inviare forze di 
          interposizione che impediscano ai conflitti aperti di degenerare, in 
          entrambi i casi con il mandato e il comando diretto delle Nazioni Unite, 
          come è stato per esempio per Timor Est.
          Anzi, riteniamo che il nostro Paese debba impegnarsi direttamente per 
          contribuire a interventi che affrontino emergenze umanitarie drammatiche, 
          come è il Darfur, e che è del tutto necessaria una iniziativa 
          politica fortissima per impedire la precipitazione del conflitto mediorientale 
          anche con l'invio di forze di interposizione, sotto il comando ONU , 
          per la difesa delle popolazioni civili e permettere l'invio degli aiuti 
          umanitari necessari.
        Con molta forza, rilanciamo 
          l'obiettivo dell'uscita dell'Italia da teatri di guerra e da occupazioni 
          militari di Paesi stranieri che violano la lettera e lo spirito dell'articolo 
          11 della nostra Costituzione.
          In questo senso realizziamo un primo decisivo risultato.
          Abbiamo conquistato, dopo anni di lotte pacifiste, il ritiro completo 
          delle truppe italiane dall’Iraq, che costituisce di per sé 
          un passo in avanti sia per la rottura della prevalenza della politica 
          unilaterale di aggressione promossa dall’amministrazione Bush, 
          sia per l’iniziativa più generale per la pace nel mondo.
          Questo risultato è stato ottenuto in coerenza con gli impegni 
          sottoscritti nel programma dell'Unione, impegno che alcuni, anche dentro 
          al partito, avevano ritenuto incerto e ambiguo tanto da determinare 
          il loro voto contrario al programma.
          Per quanto riguarda l'intervento in Afghanistan, che non era presente 
          nel programma e sul quale dentro l'Unione vi sono posizioni contrastanti, 
          abbiamo lavorato per il raggiungimento di una mediazione che rifiutasse 
          il prevalere di una logica di maggioranza dentro l'alleanza di governo.
          La mediazione si basa su un testo legislativo e una mozione parlamentare 
          di indirizzo sull’insieme della politica estera che restituisce 
          al Parlamento il ruolo centrale nell’indicare le priorità 
          dell’azione del governo.
          Nel testo legislativo vi è il rifiuto di adeguarsi alle richieste 
          che venivano avanzate dalla Nato di estendere l’impegno militare 
          sia per l’aumento delle truppe che di mezzi, oltre che nella modificazione 
          delle regole di ingaggio e di area di intervento. In un quadro che va 
          mutando nella direzione dell'estensione del conflitto, riteniamo che 
          non modificare le regole di ingaggio né aumentare mezzi e truppe, 
          costituisca una differenza anche rispetto ad altri atteggiamenti, come 
          nel caso della Spagna, che operò uno scambio all’atto del 
          ritiro dell’Iraq aumentando l'impegno in Afghanistan.
          Nel dispositivo della mozione si tracciano le linee programmatiche per 
          una discontinuità della politica estera italiana nel segno della 
          lettera e dello spirito dell’Art. 11 della Costituzione.
          Tali linee investono anche direttamente la questione della presenza 
          in Afghanistan sia nella direzione di un superamento della missione 
          Enduring Freedom sia in quella di una verifica di fondo sull’impegno 
          e la presenza internazionale in quel Paese.
          A tale scopo è importantissima l’istituzione di un “comitato 
          parlamentare di monitoraggio” al quale vengono associate le organizzazioni 
          pacifiste e della società civile, che costituisce uno strumento 
          che approfondire la conoscenza dell’evoluzione concreta della 
          situazione afghana e di tutte le missioni militari.
          Il complesso di questi impegni rappresenta l'indicazione concreta di 
          un percorso che può consentire di individuare, anche a livello 
          istituzionale, una via di uscita dal conflitto e dall’occupazione 
          dell’Afghanistan.
          Abbiamo perseguito, quindi, una iniziativa di mediazione guidata dal 
          criterio dell’efficacia della nostra azione nella coalizione e 
          verso l’esecutivo.
          Il movimento pacifista è autonomo ed indipendente dal governo.
          La nostra iniziativa è in sintonia con l’ esigenza di sviluppare 
          il movimento per la pace, a partire dalla questione del ritiro totale 
          delle truppe anche dall’Afghanistan.
          La nostra determinazione politica resta, dunque, quella del ritiro e 
          in tale direzione ci sentiamo impegnati assieme a tutte le associazioni 
          pacifiste, le organizzazioni sociali, le forze politiche che si battono 
          per questo obiettivo.
        Sulla base delle suddette 
          considerazioni, la Direzione Nazionale esprime un giudizio positivo 
          sulle intese raggiunte in sede di maggioranza e impegna i gruppi 
          parlamentari ad esprimersi positivamente ed unitariamente nel voto.