Riunione Direzione del 13 giugno 2005 Sintesi della relazione introduttiva di Fausto Bertinotti Il referendum ha avuto un esito negativo, oltre le più pessimistiche previsioni. E’ un dato che non possiamo nascondere o sottacere ma che va indagato anche nella direzione di comprendere gli elementi che agiscono nel profondo della società. Il nostro compito è quello non di sminuire l’entità di questa sconfitta ma di collocarla dentro un asse interpretativo che ci possa permettere, per esempio, di cogliere un nesso, un filo comune tra eventi tra loro pure così differenti e di opposto valore: la sconfitta cocente del referendum in Italia e la vittoria contro il Trattato Costituzionale ottenuta in Francia e Olanda. Nell’insuccesso del referendum sulla procreazione assistita, hanno chiaramente pesato molti fattori. L’influenza pesante della Chiesa che ha puntato sulla passivizzazione come elemento più facile per ottenere un risultato. Si è espresso qui un elemento inquietante di una impostazione integralista per la quale viene affermato che spetta alla Chiesa stabilire il limite di compatibilità tra legge e morale. C’è, inoltre, una perdita di efficacia della presa dei partiti (ma anche dei grandi mezzi di informazione della carta stampata). C’è stata sicuramente anche una lontananza del tema dei referendum da un vissuto di massa e un ritrarsi da parte di molti da tematiche giudicate complesse e di difficile approccio. Ma il punto più di fondo mi sembra sia quello che questa sia stata vissuta come una battaglia di “elite”, che non è penetrata nella coscienza diffusa delle persone in una condizione generale del Paese di acuta sofferenza, in particolare, per il lavoro dipendente e gli strati più deboli della popolazione. Questo non significa affatto rinunciare a un compito che considero non rinviabile, quello dell’indagine di fondo sulla vita e sui diritti delle persone. Il punto che propongo alla riflessione è che, senza attraversare la questione sociale, non si riesce a penetrare nel fondo della coscienza popolare. Un europeismo di sinistra e popolare La vittoria del NO al referendum sul trattato Costituzionale in Francia e in Olanda apre una nuova stagione in Europa. Possiamo considerare quell’esito come la nascita di un nuovo europeismo popolare di sinistra. Le interpretazioni che parlano di un voto regressivo, di paura e chiusura sono smentite nettamente. Gli elementi di destra, xenofobi o nazionalisti, sono stati assolutamente soverchiati da una critica da sinistra all’Europa liberista disegnata dal Trattato. In Francia, il tema determinante del dibattito è stata la questione sociale e le conseguenze devastanti del prevalere delle politiche neoliberiste (il tema della delocalizzazione, della Direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi pubblici). Anche l’argomento della concorrenza del lavoro straniero (la metafora dell’ “idraulico polacco”) è stato discusso non nella direzione xenofoba di rifiuto dei migranti ma nel senso degli elementi di protezione della coalizione operaia per una dotazione di diritti e di garanzie contro la deregolazione neoliberista. In Francia, dove il voto è stato analizzato più compiutamente per la sua composizione e per i flussi, emergono dati analitici chiarissimi: - Si può ricostruire una mappa sociale dove il voto esprime una evidentissima composizione di classe: l’ 80% degli operai, oltre il 60% dei tecnici hanno votato NO; - Nelle aree politiche, l’elettorato di sinistra ha massicciamente votato per il NO (la totalità di quello della sinistra comunista e radicale, oltre il 60% di quello socialista); - E’ emerso un “rassemblemant” di sinistra che ha visto assieme dal PCF (con un ruolo fondamentale di tessitura di un fronte ampio) alla League, alla sinistra socialista a ai movimenti più importanti della società civile di sinistra del Paese, come, per esempio, Attac). Il voto francese, quindi, condanna l’Europa liberista e il trattato Costituzionale che ne è l’espressione. Questo dato parla di tre fatti di enorme portata: - In pratica, il trattato è politicamente morto; - Si apre una nuova fase che sembrava inimmaginabile su come si affronta la nuova stagione politica europea e sulla quale tutti sono chiamati a misurarsi; - Il Partito della Sinistra Europea, unica forza in Europa ad esprimersi unitariamente e nettamente contro il Trattato in nome di un nuovo europeismo di sinistra, ha avuto un successo e la sua proposta politica incontra un consenso di popolo. Noi pensiamo che si possa ripartire aprendo un dialogo tra il NO di sinistra e il SI critico, un dialogo che si misuri su proposte concrete: l’organizzazione unitaria di campagne contro le direttive liberiste; riaprire, a partire dal Social Forum Europeo, il tema di un nuovo processo costituente dell’Europa, anche sapendo che, su questo terreno, esistono differenze non facilmente componibili. Si è riaperta una strada. Per la sinistra radicale in Europa si aprono nuovi spazi e collocazioni (non solo in Francia, pensiamo alla Gran Bretagna o all’importante processo in atto in Germania con la nascita di una formazione a sinistra della SPD che può collegarsi con la PDS e che vede scendere in campo figure importanti della sinistra tedesca ed europea come La Fointaine). In Italia, stanno prendendo corpo, con un lavoro importante e il coinvolgimento di forze e personalità assai significative, nuove associazioni della sinistra che guardano con interesse l’innovazione politica che come Rifondazione Comunista e Sinistra Europea siamo andati portando avanti in questi anni. Grandi potenzialità e grandi rischi Occorre tenere un quadro di riferimento e una lettura unitaria degli avvenimenti. La sconfitta dei referendum sulla procreazione assistita e la vittoria in Francia ci parlano di una transizione non compiuta, di una situazione di grande movimento e delle potenzialità e dei rischi che ne sono connessi. Senza partire dalla faglia di rottura che ulteriormente si acuisce tra una società in alto e una società in basso, non c’è possibilità di proporre un’idea vincente di “cambio” e c’è il rischio di una involuzione. Anzi, senza la capacità delle forze del cambiamento di dare voce e rappresentanza a quella società in basso che vede ogni giorno di più inasprirsi le proprie condizioni di vita e di lavoro, il rischio è che la frattura da verticale si trasformi in faglie orizzontali, in conflitti dentro la società in basso e che il disagio sociale incontri, per questa via di scomposizione sociale, l’unificazione dell’ideologia neoconservatrice nei termini della regressione in nuove forme di integralismo e nella guerra di civiltà. In sostanza, c’è il rischio della crisi verticale della politica e dell’oscuramento della democrazia in una curvatura di destra della critica al neoliberismo. Se il conflitto tra l’alto e il basso della società non incontra lo scontro tra la destra e la sinistra, il consenso può andare a forze reazionarie e/o populiste in una generica contestazione di popolo delle elites in cui le sinistre medesime rischiano di essere considerate come tali. Insomma, se lo scontro tra l’alto e il basso della società non incontra lo scontro tra destra e sinistra o si nasconde dietro il più ambiguo scontro tra governo e opposizione (a prescindere da chi è governo e chi è opposizione) allora l’alterità che le masse popolari vivono nei confronti delle classi dirigenti può esprimersi fuori della politica intesa come processo di costruzione partecipativa dell’alternativa. In questo contesto, anche singole lotte, pure straordinarie e, in alcuni casi vincenti, faticano a sedimentarsi e a creare nuova cultura. Determinare processi di organizzazione in democrazia della società è, quindi, il terreno fondamentale per la ricostruzione di un senso politico al processo di cambiamento. La sinistra radicale non può che partire da qui e dal tenere saldo il tema della connessione tra la critica al neoliberismo e agli effetti devastanti che provoca e la rappresentanza della società in basso, a cominciare dal mondo del lavoro e dalle nuove forme di sfruttamento e alienazione prodotti nelle relazioni sociali e nel rapporto con la natura e il territorio. Una lotta per l’egemonia Siamo, quindi, in una fase di transizione e di spinte centrifughe. Dentro questo quadro terremotato e in pieno movimento, dobbiamo svolgere la nostra iniziativa e conquistare nei fatti una egemonia. Questo quadro mosso è dimostrato da molteplici aspetti, per esempio anche dalla scomposizione di blocchi di potere dentro le classi dirigenti dell’economia e della finanza e l’entrata in scena di nuovi protagonisti arrembanti. Il quadro politico si fa assolutamente instabile. Anzi, la crisi politica è talmente acuta che le forze politiche si dispongono dentro il sistema maggioritario come se stessero nel proporzionale, anche qui in una scomposizione velocissima del sistema delle relazioni. In questo contesto, l’ipotesi neocentrista avanza una capacità di incidenza. La sua forza sta proprio nel non presentarsi come una formula che chiede il riferimento di un blocco politico specifico ma nella capacità pervasiva di influenza ed egemonia sul complesso del quadro politico. Come si contrasta questo progetto? Credo, investendo su due direttrici di lavoro: - La prima è scommettere sull’Unione come risposta alla richiesta del popolo delle opposizioni di sconfiggere Berlusconi e il suo governo e proporsi come alternativa e, assieme a questo, lanciare, dentro l’Unione, la sfida sulla costruzione di una vera alternativa programmatica. Il tema della costruzione partecipata del programma è, in questo senso, la questione decisiva di fronte a noi, un impegno che pensiamo debba essere praticato con una spinta che viene dal livello nazionale e che è fondamentale suscitare anche dal basso, dall’insieme delle relazioni e delle iniziative che, a partire dai territori, siamo in grado di produrre; - La seconda ci riguarda più direttamente come Partito della Rifondazione Comunista e come campo della sinistra di alternativa, e consiste nella connessione tra questo programma e il “nostro “ programma, ovvero la costruzione dell’alternativa di società. Per questo proponiamo che il tema del “nostro programma” (in cui il termine “nostro” possa essere declinato nel senso “noi” dell’Unione, “noi” della sinistra di alternativa, “noi” partito), attraversi la campagna delle Feste di Liberazione. A questo tema del programma vogliamo dedicare la manifestazione finale della Festa di Liberazione Nazionale di Roma che, proprio per questo motivo, intendiamo trasformare in un grande evento politico, un meeting da tenere al Palazzo dello Sport di Roma il 24 settembre che sia assieme una inchiesta sulla condizione del Paese e il lancio di una Grande Riforma per la fuoriuscita dal ciclo neoliberista. Infine, pensiamo di promuovere per il prossimo autunno una marcia nazionale contro la precarietà, aperta al contributo e al coinvolgimento di forze sociali ed esperienze esterne di movimento. |