Riunione Direzione del 13 giugno 2005 Documento dell'area Prc "Essere comunisti" Le settimane appena trascorse hanno visto il nostro partito impegnato nella campagna per il Sì ai quattro quesiti referendari, proposti al fine di rimuovere le prescrizioni dell’attuale legge sulla procreazione assistita: una normativa oscurantista, che configura restrizioni e divieti in un ambito ove, viceversa, dovrebbe essere garantita agli individui – in primo luogo alle donne – l’esercizio della propria responsabilità e della propria piena libertà di scelta, nonché la possibilità di sperare nei progressi della ricerca scientifica per la cura di alcune gravi malattie. Ci siamo dunque impegnati in una vera e propria battaglia di civiltà, contrastando l’offensiva ideologica di quelle forze, confessionali e non, che hanno ostacolato con ogni mezzo - ivi compresa l’esortazione a disertare le urne - un’espressione di voto dei cittadini italiani che fosse matura ed informata. Anche in questa occasione, in cui erano in gioco problematiche connesse ad importanti diritti civili, il centro-sinistra non ha, purtroppo, dato prova di salda unità di intenti. Ciò ha certamente contribuito alla rovinosa sconfitta referendaria, che tuttavia rivela anche la non comprensione della posta in gioco da parte di una vasta area del Paese. La portata di tale sconfitta chiama in causa pesantemente: - innanzitutto, le gerarchie della chiesa che hanno attivato una vera e propria crociata dal carattere oscurantista che viola il fondamento costituzionale della laicità dello Stato - ma anche le forze politiche del centro-sinistra incapaci di dispiegare un’iniziativa all’altezza sia della violenza dello scontro ideologico che dell’importanza della posta politica che i temi referendari sottendono. Tale esito è portatore di rischi che non possiamo sottovalutare: - quello di un ulteriore spostamento su posizioni moderate delle forze di opposizione (Rutelli ad esempio cercherà di incassare i frutti della sua gravissima scelta astensionista). - il rischio di dare ora il via a una nuova sciagurata campagna contro la legge 194 sull’aborto. - infine, il rischio di un vistoso deterioramento del clima politico complessivo del Paese che riapre, per le destre, possibilità di vittoria alle prossime elezioni politiche del 2006. Ma il clima politico del nostro paese era già stato scosso dall’esito dei due referendum sul Trattato costituzionale europeo svoltisi in Francia e in Olanda, snodo politico fondamentale per i destini della stessa Unione europea. La bocciatura del Trattato, prodottasi nonostante lo schieramento compatto a favore del Sì delle principali forze politiche europee di centro-destra e centro-sinistra, ha concretizzato senza alcuna possibilità di equivoco il diffuso rifiuto di questa Europa liberista e burocratica e ha posto all’ordine del giorno il tema L del carattere marcatamente antipopolare delle politiche sin qui promosse da questa stessa Europa. Non dovrebbe più di tanto stupire il fatto che, laddove impallidisce il profilo politico delle sinistre, nel vuoto di risposte progressive all’urgenza dei bisogni sociali, possa anche crescere una pericolosa istanza regressiva, isolazionista e xenofoba. Tuttavia, tale rilievo - certamente preoccupante - non può servire a nascondere il dato saliente evidenziatosi nel voto referendario francese e olandese: il primato dell’impresa e del mercato, il dogma del pareggio di bilancio e i tagli alle spese sociali non possono trovare buona accoglienza nei quartieri operai, tra i disoccupati e i lavoratori, tra le donne e i giovani precari. Senza una tale presa d’atto, chiunque si impegni a riprendere il filo della costruzione europea - ma anche chi intenda candidarsi al governo di un singolo paese - è destinato a non andare molto lontano. L’assenza di una tale consapevolezza sembra purtroppo pesare sul nostro quadro politico interno. La secca sconfitta del centrodestra nelle recenti elezioni regionali anziché dare nuovo slancio alla costruzione di un’alternativa reale all’attuale governo e alle politiche neoliberiste, ha paradossalmente aggravato la confusione e l’afasia dell’Unione – sul piano della proposta programmatica e su quello dell’opposizione sociale ed istituzionale – e, al contrario, ha alimentato la rissosità interna e le diatribe di schieramento. Quasi che l’unico vero collante di tale potenziale coalizione sia l’antiberlusconismo. In ogni caso, i principali argomenti di discussione continuano a riguardare i futuri assetti elettorali e gli schieramenti, le contese di leadership, le liste e i listoni. Come un fiume carsico, scompaiono per poi d’improvviso riapparire sulla scena le “primarie”, senza che minimamente sia messo in questione il carattere più che discutibile di tale strumento. In questo modo, restano ancora in secondo piano e senza una definita, univoca ipotesi di soluzione i drammatici problemi del paese. La Margherita, ansiosa di catturare consensi in libera uscita da destra non perde occasione per accentuare i toni e i contenuti moderati delle sue proposte. Il candidato leader della coalizione, Romano Prodi, polemizza con Rutelli sulla questione della Fed, ma non risponde (o, nel migliore dei casi, non va oltre un’indicazione del tutto generica) sul terreno dei contenuti. Nel frattempo, le destre che sembravano moribonde, riprendono fiato e tentano un recupero che solo ieri appariva impossibile. Il nostro partito avverte la difficoltà, la pericolosità di un tale stallo, e pone finalmente allo scoperto il problema della definizione di linee programmatiche fondamentali; ma non esercita tutto il potere di condizionamento che la situazione richiederebbe. E la ragione è perfettamente chiara: aver dato sin dall’inizio per acquisita l’internità del Prc all’accordo di governo indipendentemente dai contenuti, credendo oltre tutto di rintracciare un già avvenuto spostamento a sinistra dell’asse della coalizione, ha ingessato l’azione del partito e disorientato i suoi militanti. Né una siffatta condiscendenza ha portato al partito stesso alcun consenso elettorale: al contrario, è servita solo ad appannare la fisionomia dei nostri valori di fondo e della nostra proposta politica. Ci si è legati – per così dire, gratuitamente – al carro di Prodi, anziché stringere le file della sinistra alternativa e costruire da lì – dal nucleo di forze antiliberiste e pacifiste “senza se e senza ma” – il potere di condizionamento sulla parte moderata dell’Ulivo. Abbiamo perso del tempo prezioso, lasciando che altri assumessero a sinistra l’iniziativa e l’appesantissero però con precipitazioni organizzativistiche (la federazione) o elettoralistiche (il “listino” accanto al “listone”). Ora occorre recuperare il tempo perduto e rimotivare il partito, coinvolgerlo a tutti i livelli e in modo sistematico nella discussione dell’articolazione programmatica. In tal modo va rilanciata la nostra azione sui temi che ci hanno caratterizzato e ci hanno visto protagonisti dei movimenti di massa in questi anni. A cominciare dal tema della guerra e del ritiro immediato dei soldati italiani dall’Iraq. Le timidezze e le tentazioni bipartisan del centrosinistra su tale questione debbono essere risolutamente denunciate e contrastate: questa è la precondizione di qualsiasi interlocuzione programmatica. Ma occorre anche dar fondo a tutta la nostra capacità di mobilitazione sui temi del lavoro e della lotta sociale, anche alla luce di un contratto degli statali che include elementi di ulteriore deregolamentazione e in vista della delicatissima vertenza che vedrà impegnati i lavoratori metalmeccanici nel prossimo autunno. Il nostro partito deve denunciare con forza la logica ragionieristica del risanamento dei conti pubblici (che può preludere a politiche economiche duramente restrittive e anti-popolari), la politica dei due tempi (prima i sacrifici, poi i frutti di tale condotta virtuosa) con il secondo tempo che non arriva mai. Dobbiamo dire con forza che questa è una logica truccata: si dice che occorre tagliare la spesa pubblica perché non vi sono risorse con cui alimentarla, però si constata che ad esser tagliate sono solo le spese sociali, mentre scopriamo di essere nei primi posti della classifica (sopra a Russia e Israele) quanto a spese militari. Non è certo questa la strada giusta per costruire il programma di un governo di alternativa alle destre: certamente non lo può essere per noi. Senza un profilo politico chiaro su questi temi di fondo, lo stesso governo di alternativa alle destre sarebbe del resto destinato a un futuro incerto. Per questo dobbiamo restituire la necessaria visibilità al nostro ruolo di opposizione alle politiche liberiste: tra l’altro, cogliendo l’occasione della nostra tradizionale manifestazione a conclusione della Festa nazionale di Liberazione per una grande mobilitazione di massa, aperta a tutte le istanze sociali e di movimento, contro le destre e le politiche di destra. Claudio Grassi, Bianca Bracci Torsi. Alberto Burgio, Bruno Casati, Damiano Guagliardi, Beatrice Giavazzi, Gianluigi Pegolo, Fausto Sorini |