Riunione Direzione del 13 giugno 2005

Documento finale approvato a maggioranza

La sconfitta dei referendum sulla legge sulla procreazione assistita è un dato grave sul quale è necessario avviare una riflessione di fondo. Certamente su di esso ha pesato in maniera rilevante la fortissima ingerenza delle gerarchie vaticane che hanno voluto riproporre un’idea di primato secolare e finendo per alimentare una logica da Stato etico. Su di esso ha pesato, come e più che per l’articolo 18, una insidiosa campagna astensionistica che, forzando il dettato costituzionale, ha inteso sommare all’astensionismo fisiologico, un astensionismo programmato. In questa situazione, lo strumento del referendum, garantito costituzionalmente, è stato sostanzialmente svuotato di significato e valore e reso inutilizzabile. La dimensione del risultato negativo, però, non può non interrogare le forze laiche e progressiste sul rischio della frattura che si può determinare nelle coscienze e nelle culture nel profondo della società e sul rischio di una separazione del Paese profondo dalla politica che vive una crisi sempre più evidente. Una impostazione neoconservatrice, autoritaria e ostile a ogni diversità e pluralità culturali può, in queste condizioni, essere giocata nella costruzione di una ideologia di chiusura e di avversione per ogni differenza e ogni cambiamento. Anche per le forze plurali che hanno sostenuto il referendum è necessario fare un esame autocritico: non siamo riusciti a far penetrare nel profondo delle culture e delle coscienze il carattere di libertà connesso ai quesiti referendari, né le culture del limite e della precauzione che debbono vivere con esse. Oggi, quella battaglia politica e culturale non va dismessa ma rilanciata. Una grande battaglia che connetta i valori della laicità, del pluralismo, dei diritti della persona a quella dei diritti collettivi, del lavoro e sociali sempre più messi in discussione dall’avanzare di una cultura e una politica oltranziste, legate alla fase dura della crisi della globalizzazione capitalistica. Alle cittadine e ai cittadini, alle nostre compagne e ai nostri compagni, che hanno condotto questa campagna referendaria va il ringraziamento del Partito con l’impegno a non lasciar cadere ma a rilanciare, come suddetto, i contenuti di un grande progetto di liberazione.

2. Un altro referendum, di portata storica, si è svolto nelle scorse settimane in Europa. La vittoria del NO al referendum sul trattato costituzionale in Francia e in Olanda rappresenta un successo che può aprire una pagina nuova nella costruzione di un’altra Europa. I popoli francese e olandese, con una partecipazione alle urne eccezionale, con il voto hanno rifiutato un trattato costituzionale segnato da un deficit democratico di fondo e con esso hanno respinto il tentativo di costituzionalizzare l’impianto neoliberista a cui il Trattato medesimo è ispirato. Il segno di classe del voto espresso in Francia è nettissimo: la stragrande maggioranza degli L operai, dei disoccupati, dei ceti popolari ha votato NO, esprimendo con quel voto la richiesta di nuove politiche economiche e sociali. Già il voto del Parlamento europeo aveva segnalato di un’Europa sociale all’opposizione dell’Europa dei governi. Oggi questo dato viene clamorosamente confermato. Il Partito della Sinistra Europea è l’unica forza politica della sinistra che unitariamente e senza incertezze ha subito indicato la necessità di una forte opposizione a questo trattato in nome non del ritorno indietro agli Stati nazionali o della chiusura nazionalista ma in nome di un altro processo costituente democratico e con contenuti socialmente avanzati. Oggi possiamo dire che è nato un europeismo popolare e di sinistra. La scelta della costruzione del Partito della Sinistra Europea, si è, dunque, dimostrata una decisione giusta e tempestiva, al contrario di quanti affermavano che occorresse continuare a rinviare questa scelta che, invece, si è dimostrata ineludibile. Ancora più in fondo, senza la sponda della Sinistra Europea, la rottura tra l’Europa sociale che va all’opposizione dell’Europa dei governi, sarebbe vissuta come crisi e separazione dalla politica, come vittoria dell’antipolitica e crisi verticale della democrazia. Oggi questa deriva è possibile contrastarla e l’Europa sociale, sull’onda della ripresa dei movimenti, incontra una nuova soggettività politica della sinistra radicale che ne interpreta i bisogni e le aspirazioni. Per questo, condividendo l’appello dei Presidenti del Partito della Sinistra Europea dello scorso 6 giugno, proponiamo un rilancio di una forte iniziativa unitaria per il ritiro della Direttiva Bolkestein e di quella sull’orario di lavoro, per il contrasto di tutte le misure che vogliono la liberalizzazione dei servizi pubblici, una nuova politica fiscale equa e armonizzata che colpisca le rendite e a favore del lavoro, nuove politiche internazionali di pace, uguaglianza e solidarietà. Il I Congresso della Sinistra Europea che si terrà ad ottobre ad Atene rappresenterà un momento decisivo per continuare ed allargare il consenso intorno a questa proposta politica. Su di esso intendiamo coinvolgere in una discussione intensa e capillare tutto il Partito nelle sue varie articolazioni.

3. La situazione sociale ed economica del Paese è gravissima. I dati macroeconomici sui fondamentali che descrivono la condizione della nostra economia dimostrano chiaramente che siamo entrati nella recessione. Si tratta di una crisi che per profondità e vastità è la più grave dal secondo dopoguerra. Essa non può essere compresa senza iscriverla dentro il ciclo lungo del più generale fallimento delle politiche neoliberiste e nella cornice della crisi della globalizzazione capitalistica ma non si coglierebbe la specificità del caso italiano senza il riferimento esplicito al ciclo breve del governo delle destre e al fallimento della sua politica economica e sociale ispirata a un mix di liberismo sfrenato, di primato alla rendita speculativa, di premio alle varie forme di evasione ed elusione fiscale e di tutto quanto prima poteva essere considerato economia illegale. I dati microeconomici dei bilanci familiari parlano del più grave fenomeno di impoverimento di massa degli ultimi decenni. Salari e pensioni hanno perso drasticamente il loro potere di acquisto, la condizione di fasce sociali sempre più ampie viene risucchiata dalla precarietà, fino a coinvolgere settori ampi del lavoro dipendente e di quello che viene definito ceto medio. La precarietà diviene la cifra attraverso la quale legge la condizione di lavoro e i tempi di vita. La precarietà genera insicurezza sociale, incertezza del futuro, impedisce ai giovani di poter avanzare un proprio progetto di futuro autonomo. In particolare nel Mezzogiorno, nelle grandi aree urbane, nei distretti industriali dimessi o in difficoltà sempre più grandi, si legge la crisi, che è assieme fallimento delle politiche neoliberiste e frattura della coesione sociale. L’Italia si scompone su una faglia che divide un’Italia in basso, sempre più grande ed estesa, che non ce la fa e un’Italia in alto che, attraverso le politiche di sostegno e di premio all’evasione e alla rendita speculativa, si arricchisce. La necessità di una svolta trova, quindi, nel profondo delle contraddizioni sociali che si fanno più acute e nella condizione della crisi economica, le sue ragioni di fondo. Un “cambio” è quello che chiede il Paese e ciò che la forza dei movimenti e delle lotte sociali chiede a grande voce. A questa richiesta vogliamo dare una risposta in avanti nella costruzione di un programma partecipato dell’Unione che si candida a sconfiggere le destre a prendere il governo del Paese. A questo progetto di una Grande Riforma economica e sociale e della politica di cui il Paese ha necessità si oppongono non solo le destre, che, malgrado la crisi verticale del blocco sociale che le ha sostenute, mantengono la loro pericolosità. A questo progetto si oppone il contrasto di un’ipotesi neocentrista che trova dei referenti importanti in un blocco di potere che va dalla nuova dirigenza di Confindustria, a settori importanti della grande finanza, ad ambienti della Curia vaticana e così via. Un’ipotesi che, per esprimere la propria capacità di influenza non ha necessità di un soggetto politico autonomo ma che agisce nel senso di influenzare entrambi gli schieramenti e su entrambi intende far valere la propria egemonia. Le recenti posizioni espresse dalle parti moderate dell’Unione, in particolare nella Margherita, sembrano dirigersi in maniera preoccupante ad accogliere questa istanza. Questa tendenza va contrastata decisamente ai fini di determinare un salto di qualità dell’Unione nella direzione di una qualificazione sociale del suo programma. Per questo rilanciamo come elemento di fondo che deve caratterizzare questa fase il progetto della partecipazione democratica alla costruzione del programma. I movimenti, le grandi organizzazioni dei lavoratori e della società civile che innervano il tessuto democratico e partecipativo del Paese debbono essere coinvolte in una grande discussione di massa sull’alternativa programmatica al governo delle destre. Sulle discriminanti di questa alternativa deve essere coinvolto il popolo delle opposizioni. Questa discussione va intrecciata con le lotte dei lavoratori, in particolare i metalmeccanici di fronte a una importante vertenza contrattuale che può segnare l’avvio di un nuovo percorso, con la promozione di una iniziativa di massa per il rifiuto dei fondi pensione e per la previdenza pubblica, con le vertenze territoriali per la difesa dei beni comuni e così via. Allo stesso tempo, intendiamo fornire il massimo di impulso alla costruzione di una sinistra di alternativa fondata non sull’assemblaggio di ceti politici o su precipitazioni di tipo organizzativo ma come processo partecipato che parta dalle discriminanti del movimento e sull’innovazione di cultura politica che abbiamo praticato e che possa trovare nella Sinistra Europea uno strumento fondamentale di espressione. Su questo percorso chiediamo al partito, nelle sue espressioni periferiche di costruire esperienze territoriali originali che si connettano al processo unitario che è stato avviato con il concorso di importanti personalità della sinistra politica e sociale.

4. La Direzione del Partito della Rifondazione Comunista rivolge un appello a tutto il Partito affinché si svolga una campagna delle feste di Liberazione ampia e articolata come un’occasione straordinaria di discussione sul “nostro programma” di alternativa alle destre in cui l’espressione “nostro programma” possa essere declinata nella connessione tra il tempo breve dell’alternativa al governo Berlusconi e la prospettiva dell’alternativa di società che proponiamo. I mesi che verranno saranno anche il banco di prova di una più articolata campagna sui temi della partecipazione, che potrà essere resa viva ad ogni livello, dai circoli alle stesse feste, dalle più piccole realtà fino alle metropoli. Una iniziativa che, accompagnata da una comunicazione a livello nazionale, solo il corpo vivo del partito tutto potrà rendere altamente efficace. Proponiamo già adesso che la manifestazione nazionale che tradizionalmente svolgeremo al termine della Festa nazionale di Roma e, quindi, il 24 settembre, sia quest’anno trasformata in un grande evento politico, in un meeting da tenersi al Pallottomatica (il palazzo dello sport) di Roma, un grande evento che sia assieme un’inchiesta sull’Italia e la condizione sociale e le proposte di una vera alternativa. Proponiamo, per il prossimo autunno, una marcia nazionale contro la precarietà che coinvolga capillarmente il Paese, nelle città grandi e piccole e nei luoghi di lavoro, incontri le realtà dell’emarginazione, del lavoro precario e del non lavoro, le mille forme di resistenza che si esprimono contro il neoliberismo e la mercificazione dei lavori, dei saperi e dei territori. Proponiamo che questa iniziativa del Partito sia aperta al contributo dei movimenti, delle associazioni, dei comitati, in particolare di quanti si sono già espressi e si dirigono nel campo della sinistra di alternativa che vogliamo costruire nella maniera più ampia e coinvolgente. Pensiamo che questo percorso sia parte fondamentale della costruzione del programma partecipato dell’Unione che poniamo come una discriminante di fondo della fase che si è aperta.

Primo firmatario Fausto Bertinotti

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