Riunione Direzione del 13 giugno 2005 Documento di Bellotti L'economia italiana è in piena recessione, travolta dal calo di competitività, dalla mancanza di investimenti, dalla crisi della finanza pubblica. Riemergono quelle debolezze storiche del capitalismo italiano che ci si illudeva di avere sanato grazie all’adesione alla moneta unica. Contrariamente a tali illusioni, è stata proprio la partecipazione all’Euro a mettere a nudo l’incapacità di competere sia sui mercati esteri che su quello interno. Qualsiasi proposta per contrastare questa crisi partendo dagli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari deve necessariamente prendere le mosse da un principio: per uscire dalla crisi è necessaria una politica di effettiva rottura non solo con il “neoliberismo”, ma in generale con le compatibilità capitalistiche. Anche rivendicazioni parziali necessarie ad affrontare le crisi industriali (riduzione d’orario di lavoro, forme di controllo dei lavoratori, fino alle richieste di nazionalizzazione) devono essere affrontate in questa prospettiva. La conferma della ’ L necessità di un tale approccio ci viene ancora una volta dall’America Latina, dove il movimento per il controllo operaio comincia ad assumere un carattere di massa, si estende non solo in Argentina, ma anche in Venezuela, in Brasile e si salda con una rivendicazione centrale quale è quella della nazionalizzazione delle aziende che chiudono e dei settori strategici dell’economia. Ieri in Venezuela, oggi in Bolivia, dove la rivendicazione della nazionalizzazione delle risorse energetiche è la parola d’ordine centrale di un vero e proprio moto insurrezionale al quale deve andare il nostro pieno sostegno militante. Sono indicazioni preziose che ci vengono da quei paesi dove più avanzato è oggi il processo della lotta di classe, ma che domani diventeranno di attualità anche in paesi economicamente più avanzati, in particolare in Italia, la quale rimane nonostante tutto uno degli anelli deboli del capitalismo europeo e internazionale. Non ci può essere una reale alternativa senza rompere radicalmente con tutto l’impianto delle politiche europee, a partire dal patto di stabilità per arrivare alle direttive più recenti come quella sull’orario di lavoro. Solo in condizioni radicalmente diverse da quelle attuali, e cioè in presenza di un effettivo potere dei lavoratori, il processo di integrazione europea può assumere un carattere realmente progressista e non quello regressivo, antisociale, militarista che ha oggi. Ma per giungere a quella situazione in futuro è necessario essere disposti a rompere oggi con le regole dell’Europa borghese, comprese quelle dettate dall’esistenza della moneta unica. Fuori da questa prospettiva, l’unica alternativa è quella di subire una nuova e devastante offensiva padronale. Il padronato italiano, sconfitto su tutti i mercati, ha una sola ricetta per uscire dalla crisi: tagli, tagli e ancora tagli, sui salari, sulle condizioni di lavoro e in generale su tutte le forme di garanzia sociale. Si tenta pertanto di creare le condizioni per un nuovo 31 luglio, che se non venisse raggiunto sotto l’attuale governo sarà indubbiamente al primo punto nell’agenda politica del prossimo (quale che sia). La resistenza fin qui opposta dalla maggioranza della Cgil appare più un atto dovuto che una posizione fondata su una effettiva determinazione a chiamare i lavoratori a battersi contro tale prospettiva. Lo testimonia l’atteggiamento di sostanziale cedimento rispetto a tutti i contratti di categoria firmati recentemente, compreso quello sul pubblico impiego, nonché la gestione fallimentare della decisiva vertenza dei metalmeccanici. Il Prc si rivolge pertanto a tutti i lavoratori, i delegati e i militanti sindacali affinché si organizzi una battaglia aperta nei luoghi di lavoro e nell’ormai prossimo congresso della Cgil, contro ogni ipotesi di rilancio della concertazione e in favore di una piattaforma sindacale alternativa a quella di Epifani, che proponga una effettiva rottura con le compatibilità, in particolare di fronte al dilagare delle crisi industriali e alla crisi della finanza pubblica. Riguardo al quadro politico, appare ormai evidente come il centrosinistra sia sempre più permeabile dalle posizioni più moderate. L’esito negativo del referendum sulla PMA alimenterà ulteriormente lo slittamento moderato. L’offensiva di Rutelli è stata alimenta dalla prospettiva di poter catturare ampi settori del centrodestra in cerca di ricollocazione, ma trova anche un’oggettiva consonanza con i desiderata di Confindustria, che preme affinché il probabile cambio della guardia a palazzo Chigi sia “sterilizzato” da ogni aspettativa, per quanto timida, di reale cambiamento sociale. Al di là delle ipotesi sull’esito del conflitto interno all’Ulivo, appare chiaro già fin d’ora come esso abbia avuto l’effetto immediato di spostare ulteriormente a destra l’asse della coalizione. Di fronte a una offensiva centrista, clericale, padronale portata avanti in modo persino sfacciato da Rutelli, la posizione alternativa, “di sinistra”, viene ormai – incredibilmente - identificata con la figura di Romano Prodi. In particolare il nostro partito si assume ormai apertamente il ruolo di “consigliere del principe”, rinunciando a qualsiasi demarcazione nei confronti del leader della coalizione. Così ancora prima che il centrosinistra si trovi al governo emergono in maniera lacerante le contraddizioni interne alla coalizione, contraddizioni che inevitabilmente diventeranno esplosive una volta che essa si trovi a governare, particolarmente considerato il contesto di grave crisi economica e sociale. La crisi della Casa delle libertà alimenterà a sua volta i conflitti interni al centrosinistra. La coalizione di destra rischia una vera e propria disintegrazione che può mettere a rischio non solo la coalizione in quanto tale, ma anche la tenuta interna di Forza Italia, di An e dell’Udc, lacerate a loro volta da profondi contrasti interni. In prospettiva dobbiamo partire dall’assunto che i conflitti fondamentali non si svilupperanno prevalentemente fra i due poli, ma all’interno del centrosinistra stesso. Il Prc deve pertanto porsi il problema non di essere il miglior guardiano dell’Unione, ma di tracciare una strategia credibile per inserirsi in queste contraddizioni ponendosi come perno di una posizione alternativa a sinistra che sfidi l’Ulivo su tutti i terreni. In mancanza di ciò, il rischio reale è che una volta che l’Unione giunga al governo, il nostro partito sia il primo a fare le spese delle politiche di lacrime e sangue che già da oggi Prodi annuncia ai quattro venti, per poi essere magari “scaricati” da una coalizione che grazie al crescente peso del settore centrista e dei potenziali transfughi dal centrodestra, potrebbe anche non avere bisogno del nostro sostegno. |