Riunione Direzione del 27 novembre 2003

La relazione introduttiva del segretario nazionale Fausto Bertinotti

Il crocevia tra pace e guerra

Siamo ormai convinti che il crocevia tra pace e guerra trova in questa fase uno snodo tanto drammatico quanto decisivo. Ciò necessita anche da parte nostra un approfondimento: siamo, infatti, al di là del punto di analisi che fin qui abbiamo sviluppato. Parliamo della possibilità che il movimento, la sua capacità di espansione ed incisione, la politica in quanto tale, siano messi sotto scacco dalla dinamica della guerra e del terrorismo. Possiamo dire, infatti, che siamo già dentro le sabbie mobili di una guerra mondiale che assume sempre più i caratteri di guerra di civiltà e addirittura quelli di guerra di religione. In questa prospettiva, non è più sufficiente, anche se rimane fondamentale, l'insieme del bagaglio critico che fin qui abbiamo sviluppato sulla dottrina Bush della guerra preventiva. Guerra e terrorismo non sono solo legati tra loro in una spirale perversa per la quale l'uno alimenta l'altro, vanno indagati nella loro capacità autonoma di produrre una regressione di civiltà. Il terrorismo, quindi, non è un derivato, una conseguenza della guerra. La critica ad esso non è rivolta solo ai mezzi terribili che utilizza ma, contemporaneamente, ai mezzi e ai fini che sono altrettanto repellenti.

Non violenza radicale
Per questi motivi, la non violenza diviene una discriminante decisiva per un nuovo movimento della pace, essendo l'unica condizione per far esprimere la radicalità dei movimenti. Per approfondire questa riflessione, ci proponiamo di promuovere una riflessione seminariale aperta su questa fase della guerra e del terrorismo e le prospettive che si determinano e, quindi, sul posizionamento da assumere per essere all'altezza dello scenario drammatico che si è spalancato. Altro seminario che intendiamo promuovere riguarda la non violenza come categoria dell'agire politico. Su questa base e con questa ampia riflessione, dobbiamo rilanciare una iniziativa di massa per il ritiro delle truppe dall'Iraq. Lo possiamo fare con grande energia proprio perché poggiamo questa richiesta su una valutazione di fondo della precipitazione della guerra e del terrorismo. Verifichiamo la possibilità di tramutare questa richiesta in un appello, promosso da personalità forti per autorevolezza e rappresentatività, e di raccogliere migliaia di firme con il fine di alimentare un movimento che agisca nel profondo della coscienza del paese come è stato il popolo delle bandiere della pace.

In questo quadro, valutiamo come un fatto positivo la decisione intervenuta tra tutti i partiti delle opposizioni di organizzare un'iniziativa pubblica per la pace in Palestina sulla base del sostegno all'accordo di Ginevra tra rappresentanti palestinesi e israeliani.

Il fallimento di Maastricht
In Europa, si è determinata un'importante novità che ci dà la possibilità di fare una connessione tra grandi questioni internazionali e la quotidianità. La crisi del patto di stabilità ci parla del fallimento delle politiche neoliberiste e della loro incapacità di fornire una risposta alla crisi. Maastricht come Cancun segnala con nettezza questo fallimento e l'indeterminatezza, ancora, del segno che la nuova fase potrà apprendere. Come a Cancun, c'è evidente il peso che anche i movimenti e il conflitto sociale hanno avuto nel prodursi di questa crisi. Ma, è evidente, che la messa in discussione avviene principalmente non dal punto di vista delle ragioni sociali, ma da quelle interne al meccanismo di accumulazione capitalistico e delle ragioni di scambio. L'esplosione della crisi apre un percorso nuovo per la definizione di una nuova politica da cui si può uscire da destra o da sinistra, ma non semplicemente con la riproposizione del medesimo schema di prima. In pratica o con quello che è stato definito "keynesismo bastardo", cioè con un intervento di sostegno orientato dalle lobbi militariste, nucleariste, di deregolazione di ogni vincolo ambientale oppure, al contrario, con un trascendimento delle politiche keynesiane orientate verso un nuovo intervento e spazio pubblico.

In questa prospettiva, la priorità va data ad una grande campagna per l'aumento delle retribuzioni: salari, stipendi e pensioni. Parliamo di una campagna di massa che deve essere per noi la priorità delle priorità. Con questo respiro e queste proposte, possiamo collegarci ai grandi appuntamenti di massa del conflitto, come la manifestazione di Roma del 6 dicembre promossa dai sindacati confederali, alla battaglia contro l'attacco al sistema previdenziale pubblico. In questo senso, si pone per noi l'obiettivo di accompagnare con più forza la nuova strategia della contrattazione promossa dalla Fiom, quella sulla vertenzialità aziendale. La nostra campagna sul salario, quindi, deve raccordarsi a tutto ciò se vuole avere l'ambizione di incidere realmente nel tessuto sociale del paese ed entrare nella coscienza di milioni di lavoratori, pensionati, famiglie.

Nel Mezzogiorno, specialmente, dobbiamo collegare questa vertenza con il tema del salario sociale. La vicenda dello straordinario movimento di massa che si è sviluppato in Basilicata ci parla del fatto che il sud ha ripreso la parola. E tutto ciò non potrebbe essere compreso senza l'accumulo di forze derivante dall'onda lunga del movimento delle tante esperienze di vertenzialità sul territorio che ci parlano dell'irruzione sulla scena politica di nuovi soggetti, di una nuova ricerca identitaria. Altri fatti ci parlano della medesima ricerca. Abbiamo detto di Scanzano, ma come non vedere che lo sciopero della Fiom ci consegna un messaggio analogo? Anche visivamente in quello straordinario sciopero vi è stata l'irruzione di una nuova generazione operaia che si sta misurando direttamente sul campo e formando su una nuova pratica di vertenzialità contrattuale. E, contro la censura e per la libertà dell'informazione, anche qui come non vedere l'irruzione di un nuovo protagonismo che si fa ricerca di una identità che chiede una affermazione?

Una sterzata nella iniziativa del partito
Per questi motivi, affermiamo la necessità di una decisa sterzata nel modo di lavorare, nella visibilità e nella presenza del partito nelle articolazioni della società. Abbiamo, quindi, deciso di attribuire maggiori rilievo e responsabilità al gruppo operativo centrale proprio per aiutare a rettificare quanto nel nostro lavoro rimane ancora inadeguato e aiutare a una crescita dell'iniziativa e della presenza del partito. Alcune questioni del lavoro si fanno cruciali in questo fase. La qualificazione dell'opposizione è tema che ci trova tutti d'accordo, ma il nodo che dobbiamo affrontare è come raccordarla al conflitto sociale e ai movimenti che l'animano. Tre manifestazioni sono state indette unitariamente dalle opposizioni per l'11, 12 e 13 dicembre in Lombardia sul salario, a Bologna sulla democrazia, a Scanzano contro il decreto del governo. Dipende anche da noi il rilievo che esse avranno e il coinvolgimento di massa. Anche sulla costruzione della sinistra di alternativa il problema consiste nel come noi ci investiamo politicamente e come, partendo dai livelli territoriali in maniera originale sviluppiamo una iniziativa non come semplice calco di quella nazionale. Così, infine, sulla finanziaria: qual è il rapporto che suscitiamo tra gli emendamenti che presentiamo e l'iniziativa esterna?

Non si tratta di un generico richiamo all'attivismo o alla correzione di difetti nell'iniziativa, che pure ci sono. Si tratta di connettere la riflessione, l'attività e la visibilità del partito a questa fase del tutto nuova segnata dalla precipitazione della guerra, dalla crisi delle politiche neoliberiste, dal nuovo protagonismo dei movimenti sia sul terreno del conflitto sociale del lavoro che su quello della difesa e valorizzazione dei territori.

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