Riunione Direzione del 25 settembre 2003

Il documento respinto

CACCIARE BERLUSCONI, SI. GOVERNARE CON L'ULIVO, NO.

Il governo reazionario di Berlusconi - nemico dei lavoratori, delle ragioni dei movimenti, dei diritti democratici- accresce le proprie difficoltà di tenuta. Il suo blocco sociale e politico di riferimento moltiplica le proprie contraddizioni. Poteri forti che avevano investito nel Berlusconismo (Confindustria, Confcommercio, BankItalia, settori ecclesiastici) accentuano il proprio distacco. Il governo si accinge ad una seconda prova di forza contro il movimento operaio e sindacale da una condizione di maggiore debolezza. Cacciare Berlusconi è una necessità politica e una possibilità reale anche contemplando l'eventualità di accordi puramente tecnici sul piano elettorale. Ma il punto centrale è da quale versante di classe si persegue la caduta del governo e, quindi quale sbocco sociale e politico dare alla sua caduta. Qui si registra la divaricazione di fondo tra le ragioni sociali dei lavoratori e dei movimenti da un lato, e le ragioni di classe del Centro liberale dell'Ulivo (Margherita, maggioranza Ds, Sdi, Udeur) dall'altro.

Proprio nel momento dell'indebolimento profondo del governo Berlusconi e dello scollamento del suo blocco sociale, la Margherita e la maggioranza Ds sotto la guida di Prodi e D'Alema, si candidano ad una prospettiva di alternanza liberale nell'interesse dei poteri forti del paese. Vogliono certo rimpiazzare Berlusconi: ma dal versante delle grandi imprese e delle banche, contro i lavoratori e i movimenti:

a) Annunciano un programma di completamento della "riforma strutturale" della previdenza lungo la linea della controriforma Dini; di rilancio delle liberalizzazioni e privatizzazioni contro il "neostatalismo" di Tremonti; di estensione della detassazione delle imprese, a partire dalla generalizzazione della Dit; di razionalizzazione della flessibilità del lavoro. Difendono l'Europa dei banchieri e lo sviluppo dei suoi armamenti. Rivendicano la continuità di presenza delle truppe italiane in Afghanistan e, con copertura Onu, anche in Iraq.

b) Avviano l'unificazione del Centro liberale (Margherita, maggioranza Ds, Sdi) al fine di garantire alle grandi imprese e alle grandi banche quella rappresentanza politica centrale della borghesia che Forza Italia, condizionata dagli interessi particolaristici del berlusconismo, non è in grado di costruire. Il tutto dentro il sistema maggioritario e bipolare e in funzione della sua stabilizzazione.

c) Chiedono alla Cgil, al movimento operaio e ai movimenti di massa di questi anni di subordinarsi e integrarsi in questa prospettiva di alternanza facendo da sgabello dell'operazione. Propongono al Prc di contribuire a questa integrazione subalterna attraverso un suo pieno coinvolgimento di governo e un patto di legislatura.

L'accettazione sostanziale di questo orizzonte e prospettiva da parte della segreteria nazionale del Prc è obiettivamente gravissima. Non a caso essa incontra la pubblica soddisfazione di tutto il Centro liberale, senza eccezioni. E si accompagna all'ipotesi di una comune aggregazione politica col Pdci di Armando Cossutta e Oliviero Diliberto da sempre sostenitori incondizionati dei governi borghesi ulivisti.

Si assiste ad una contraddizione clamorosa. Da un lato si afferma l'esistenza "di una nuova fase politica" nazionale e internazionale segnata da nuove potenzialità di movimento e di lotta; dall'altro in nome della "nuova" fase si avvia il ritorno del vecchio compromesso di governo con Romano Prodi (96-98): al punto da riprendere, letteralmente, gli stessi argomenti e concetti che accompagnarono il varo di quella stagione (la necessità di una sponda di governo per i movimenti al fine di "ottenere risultati"; la necessità di un "compromesso sociale dinamico" con forze imprenditoriali). E' una politica già sperimentata e già fallita in quegli anni con danni enormi per il partito e per i lavoratori (lavoro interinale, record di privatizzazioni, campi di detenzione per gli immigrati, finanziarie di tagli sociali). Riproporre oggi il compromesso di governo con il Centro liberale e gli interessi dominanti che questo rappresenta, in nome dei "nuovi movimenti", significa colpire tanto più ora le potenzialità dei movimenti e condannarci a ripetere un'esperienza disastrosa per il Prc a tutto vantaggio della borghesia italiana. Se questa prospettiva si realizzasse, se il Prc rimuovesse l'opposizione comunista verso un governo dell'Ulivo, si realizzerebbe di fatto la distruzione delle ragioni sociali e politiche del partito.

La Direzione nazionale respinge questa svolta politica. E impegna la Segreteria nazionale a convocare, a tempi brevi, un Congresso Straordinario del Prc, quale sede libera e sovrana abilitata a decidere del futuro del Prc e delle sue scelte di fondo.

Il corpo del partito è scosso e turbato della "svolta". Diffusa è l'impressione di una contraddizione profonda con la "svolta a sinistra" che formalmente si era annunciata al V Congresso. Il rischio di allontanamenti e disimpegni è reale. E' necessario da subito coinvolgere l'insieme dei militanti del partito in una discussione democratica con poteri decisionali.

Il Congresso risponde a questa necessità. In questa prospettiva la Direzione nazionale fa appello a tutti i militanti del Prc, al di là di ogni vecchio steccato congressuale, perché difendano l'autonomia di classe del partito e l'esistenza dell'opposizione comunista.

La Direzione nazionale propone al partito, in vista della necessaria verifica congressuale, un indirizzo opposto alla linea intrapresa: e al tempo stesso realmente corrispondente alle esigenze del movimento operaio e dei movimenti di massa nell'opposizione di classe a Berlusconi.

Rivendichiamo apertamente la cacciata di Berlusconi: ma dal versante dei lavoratori, non dei banchieri e dei loro portavoce liberali.

E' preoccupante che a fronte di un pesante attacco alla previdenza pubblica, di una nuova precarizzazione del lavoro (legge 30), di un aumento impressionante del carovita, manchi ad oggi un'iniziativa di lotta unificante del mondo del lavoro e dei movimenti che sia al livello della gravità dell'attacco, e che possa realmente sconfiggerlo. Non è sufficiente una manifestazione per quanto grande. Ne bastano atti rituali o vertenze locali o di categoria, per quanto importanti. E' necessaria un'azione di lotta vera e unificante che miri realmente alla sconfitta del governo e valorizzi tutte le potenzialità presenti.

Chiediamo quindi alla Cgil e a tutto il sindacalismo di classe di superare la logica perdente di iniziative simboliche e di promuovere un vero sciopero generale prolungato sino al ritiro dell'attuale legge finanziaria, alla cancellazione della legge 30, alla conquista di un forte aumento salariale unificante per l'intero lavoro dipendente.

Solo questa "spallata" di lotta può precipitare la crisi del governo e creare le migliori condizioni per una prospettiva di alternativa di classe. Per questa ragione tutto il Centro liberale si oppone alla "spallata" a Berlusconi. Per questa ragione il Prc la propone con forza al movimento operaio e a tutti i movimenti. E impegna i propri militanti a lavorare in questa prospettiva.

Più in generale la Direzione nazionale propone al movimento operaio, a tutti i movimenti di lotta di questi anni, a tutte le forze ed organizzazioni che si sono schierate al nostro fianco per l'estensione dell'articolo 18, di rompere con il Centro liberale dell'Ulivo, di unire le proprie forze sul terreno dell'azione attorno ad un comune programma di mobilitazione, di costruire un polo autonomo di classe anticapitalistico.

Proponiamo un programma di azione che congiunga gli obiettivi del necessario sciopero generale alla rivendicazione dell'abrogazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro (a partire dal Pacchetto Treu); del rilancio della previdenza pubblica contro le leggi privatizzanti varate dal 95 (P. Dini); del controllo operaio e popolare sui prezzi; di un vero salario garantito per i disoccupati, fuori da ogni scambio con logiche di precariato; della cancellazione delle privatizzazioni realizzate negli ultimi dieci anni; del ritiro immediato delle truppe italiane dall'Iraq e da ogni altro paese, assieme alla riduzione verticale delle spese militari; di una lotta coerente per la difesa di spazi e diritti democratici, contro leggi e istituti del maggioritario e della seconda Repubblica, per una legge elettorale pienamente proporzionale.

Sono tutte rivendicazioni essenziali per una svolta vera, e sostenute da un consenso potenzialmente larghissimo del popolo della sinistra e nelle classi subalterne. Sono tutte rivendicazioni incompatibili col Centro liberale e gli interessi che questo rappresenta.

Questa è dunque l'unità contro Berlusconi che noi proponiamo: l'unità nell'autonomia. E' un'unità che può tradursi in accordi elettorali tra le forze contraenti per concorrere a sconfiggere Berlusconi anche sul terreno istituzionale. Ma è soprattutto l'unica unità che può sospingere la radicalità della mobilitazione e delle lotte.

Marco Ferrando, Franco Grisolia, Matteo Malerba