ORDINE DEL GIORNO RESPINTO DALLA DIREZIONE NAZIONALE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA DEL 17 GIUGNO 2003

Pubblichiamo di seguito l’ordine del giorno respinto a maggioranza dalla direzione nazionale di Rifondazione comunista e presentato da Claudio Grassi, della segreteria nazionale e da Bianca Bracci Torsi, Guido Cappelloni, Bruno Casati, Alessandro Curzi, Gianni Favaro, Rita Ghiglione Damiano Gagliardi, Gianluigi Pegolo, Fausto Sorini e Giuseppina Tedde della direzione nazionale.

Nonostante l’esiguità delle risorse e la modestia delle forze, il partito ha dimostrato nella iniziativa referendaria e nelle elezioni amministrative una abnegazione e un impegno davvero eccezionali. E’ doveroso quindi, prima di trarre un bilancio rigoroso delle iniziative attivate, esprimere un ringraziamento alle tante compagne e ai tanti compagni senza i quali non sarebbe stato possibile sostenere questo sforzo.
E’ il segno di un partito che, comunque provato, costituisce tutt’ora la risorsa più preziosa di cui disponiamo. Non dimentichiamo che spesso (anche in occasione del referendum) Rifondazione ha rappresentato in molte realtà l’unica o una delle poche forze effettivamente impegnate nella propaganda per il Sì.
I referendum: una battaglia giusta su cui riflettere.
Il risultato negativo del referendum deve indurci a una riflessione approfondita. Ad essa deve contribuire tutto il partito. Per questo proponiamo che nei prossimi giorni si riuniscano i nostri circoli, i comitati federali e i comitati regionali per fare un esame del risultato e per capire cosa è avvenuto. Abbiamo il dovere di farlo perché il risultato è stato inferiore a qualsiasi nostra aspettativa, anche la più pessimistica. Ognuno di noi era consapevole della difficoltà rispetto al raggiungimento del quorum, ma nessuno di noi, neanche i meno ottimisti, poteva ipotizzare un risultato percentualmente inferiore al 30%. Perché è avvenuto? Come mai nelle città ad alta densità di lavoro dipendente o di presenza di piccola impresa, non vi è stata una adesione significativamente più alta rispetto alle altre città? Su questo proponiamo di aprire senza reticenze una discussione, assieme alle forze che con noi hanno condotto la battaglia referendaria, per capire cosa è successo e per fare meglio nel futuro.
Certo, sulla scarsa affluenza alle urne, hanno indubbiamente pesato vari fattori: dalla data scelta all’oscuramento televisivo, per arrivare alla scelta astensionista di quasi tutto lo schieramento politico, oltre alla crescente disaffezione dalla politica e dal voto già verificata in passato. Non possiamo accontentarci di queste spiegazioni. Evidentemente non siamo stati capaci di fare percepire agli elettori il collegamento tra difesa ed estensione dell’art. 18 e l’attacco più complessivo alla condizione sociale delle classi subalterne: dalla riduzione dei salari e degli stipendi reali (dopo il passaggio dalla lira all’euro), alla messa in discussione delle pensioni e dei contratti nazionali.
Dobbiamo prima di tutto rispondere ai 10 milioni che hanno votato Sì tenendo alta la nostra proposta politica. Il nostro compito dovrà essere quello di tenere unito questo arco di forze. Per Rifondazione Comunista è importante dare continuità a questa convergenza poiché essa può consentirci di mantenere aperta una dialettica anche all’interno dell’Ulivo su contenuti per noi avanzati: dalla difesa di importanti conquiste sociali alla lotta per la pace, poiché, non dimentichiamocelo, la scelta del governo americano – rafforzata dalla vittoria in Iraq - è quella della guerra preventiva e permanente.
Non possiamo, tuttavia, sottovalutare la prevedibile offensiva politica che si svilupperà da parte di chi si è opposto a questo referendum. In particolare ci sarà l’affondo della Confindustria e del governo delle destre che cercheranno di far passare l’848 bis, cioè la progressiva eliminazione dell’art. 18 anche sopra i 15 dipendenti, e un ulteriore attacco alla previdenza pubblica. Ma ci sarà anche l’attacco di Cisl, Uil e sinistra moderata alla Cgil, alla Fiom e all’Arci per la posizione assunta di appoggio al referendum. Respingere questi attacchi e allargare il fronte della lotta saranno i primi impegni che dovremo assumerci.
Il risultato delle elezioni amministrative. Il risultato delle amministrative va interpretato con grande attenzione. Nel confronto con le precedenti amministrative (in particolare le comunali) Rifondazione registra una flessione dello 0,4% ma, considerato che in diversi casi il raffronto si faceva con le amministrative pre-scissione (è il caso per esempio della Sicilia), tale flessione in verità è più contenuta. Il confronto con le politiche (-1,7%) non è in questo caso particolarmente appropriato data la peculiarità del voto comunale. Per quanto riguarda il voto politico fanno testo soprattutto i risultati delle provinciali (dove la flessione è dello 0,3% rispetto alle politiche del 2001, ma vale anche qui quanto sottolineato in merito ai limiti del confronto con le precedenti elezioni in Sicilia) e, a livello regionale, quelli del Friuli V.G. dove si ha un’avanzata dello 0,5% sempre sulle politiche. Il confronto con le amministrative precedenti (-1.3% nelle provinciali) è in questo caso poco significativo dato il valore prevalentemente politico di questa consultazione.
Se si considera l’insieme di questi dati, il risultato complessivo può essere letto come l’effetto, da un lato, della debolezza del partito in alcune aree (Sicilia in primis) e, dall’altro, di scelte tattiche discutibili compiute in alcuni centri, specie sotto il profilo delle alleanze. Nel complesso, presi in considerazione tutti gli elementi si può considerare il risultato complessivo come una sostanziale tenuta non priva di alcune difficoltà.
Il punto più problematico sta tuttavia nella evidente disparità fra questi risultati e l’impegno, davvero eccezionale, che il partito ha profuso nel corso dell’ultima fase sul piano dei movimenti. Ciò vale per i no global, per il sostegno alla battaglia della Fiom, per l’impegno contro la guerra, come per l’iniziativa sull’articolo 18. La discrepanza fra questo impegno del partito e i risultati ottenuti resta significativa, specie se si considera che contemporaneamente i maggiori benefici dal punto di vista elettorale (specie nelle provinciali e regionali) vanno alle forze della sinistra moderata. Nasce da qui l’esigenza non solo di consolidare il partito sui territori, di avere una gestione più accorta delle politiche locali, ma anche di riflettere sui nostri rapporti con i movimenti, sull’efficacia e sulle modalità di tali rapporti, e più in generale sulla complessiva capacità di attrazione del partito, sulla effettiva incidenza della nostra iniziativa di massa.
Rapporti col centro-sinistra e prospettiva politica. La sconfitta delle destre nella tornata amministrativa ci dice che attraverso la costruzione di programmi avanzati e con l’unità delle forze di opposizione è possibile battere Berlusconi.
Questo percorso va consolidato nelle prossime scadenze elettorali che, a meno di elezioni anticipate, e a parte le elezioni europee che si terranno con il sistema proporzionale, si svolgeranno nella primavera 2004 (numerosi comuni, province e la regione Sardegna) e nella primavera 2005 (elezioni regionali: vero e proprio test prima delle elezioni politiche).
Ma ciò non è sufficiente per farci ritenere che è possibile un accordo di programma e quindi di governo per le elezioni politiche. Abbiamo sempre, giustamente, tenuto distinto il piano locale da quello nazionale, consapevoli della diversità dei problemi in campo e coscienti delle divergenze strategiche su alcune questioni di fondo esistenti tra Rifondazione Comunista e le componenti più moderate del centro-sinistra. Ora, proprio perché è giusto porsi il problema di battere Berlusconi e proprio perché per farlo ci sarà bisogno della convergenza di tutte le forze di opposizione, occorre evitare l’assunzione di decisioni affrettate. Sono passaggi delicatissimi che il partito deve poter discutere senza trovarsi di fronte a fatti compiuti.
Su questo argomento la domanda che dobbiamo porci oggi è la seguente: sono maturate nello schieramento di centro-sinistra, sui nodi di fondo su cui ci siamo divisi in passato, delle posizioni diverse? Sulle politiche economiche, per esempio, c’è la disponibilità a rivedere le scelte di privatizzazione e di precarizzazione del mondo del lavoro? Sulle questioni istituzionali si è disposti a riconoscere i danni causati dalla deriva maggioritaria e presidenzialista? E sulle questioni internazionali saremmo in grado di scrivere nel programma che in caso di vittoria dello schieramento progressista si osserverebbe il rispetto rigoroso dell’art. 11 della Costituzione? O si accetterebbe di rimettere in discussione la presenza di basi militari straniere e di armi di sterminio sul territorio italiano?
La consapevolezza delle profonde divergenze che permangono su questi punti impone di aprire la discussione più ampia nel corpo del partito anche sul negoziato con il centrosinistra e sulla questione delle alleanze elettorali e politiche.
Rilanciare l’opposizione e consolidare il partito. Da qui nasce l’esigenza di costruire un percorso che, a partire dalla unità già oggi possibile con le forze che con noi hanno sostenuto i referendum, si cimenti nella costruzione di un programma comune qualificante, con il quale poi confrontarsi con il resto dell’Ulivo e delle forze di opposizione. Questi soggetti, partiti, forze sociali, culturali, associazioni assieme ai movimenti che hanno già maturato in questi ultimi anni un proprio programma di alternativa non solo alle destre, ma anche alle politiche neoliberiste, sono un patrimonio prezioso su cui lavorare prioritariamente.
Le questionie sulle quali questa unità potrà consolidarsi sono già di fronte a noi: attacco alle pensioni, legge finanziaria, minacce alla libertà di informazione (come hanno dimostrato anche le successive dimissioni di alcune grandi firme del giornale, attestate su posizioni politiche avanzate la vicenda del Corsera è stato tutto fuorché un “normale” avvicendamento di direttori), privatizzazioni della scuola e della sanità.
Questo impegno unitario va condotto nella consapevolezza delle difficoltà che incontrano oggi settori di movimento, a partire da quello contro la guerra che dopo l’occupazione militare dell’Iraq conosce momenti di marcato disorientamento.
Nel contempo è necessario investire di più sul partito, sul suo radicamento sociale e in particolare nel mondo del lavoro, sulla formazione dei suoi quadri, sul rafforzamento della sua organizzazione. Ciò non solo non contraddice l’impegno nei movimenti, ma è condizione essenziale del loro sviluppo e della loro maturazione politica.
Ma è altresì chiaro che tutto ciò richiede anche un mutamento dello stile di lavoro e del clima interno del partito, con il superamento di elementi esasperati di conflittualità che nuociono alla sua crescita; è quindi necessario che nelle situazioni dove ancora persistono tensioni determinate dalla discussione congressuale si vada ad una ricomposizione unitaria che tenga effettivamente conto di tutte le posizioni in campo.

Roma, 17 giugno 2003